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giovedì, dicembre 16, 2010

Il segreto di Pulcinella (ma neanche tanto...)

Nella Storia del canto di cui abbiamo tracce, credo siano stati davvero pochissimi, poche unità, che abbiano capito realmente (e quando dico capito, intendo fatto, o meglio saputo fare) qual è il "segreto" del grande canto, che come ho scritto è pressoché un segreto di Pulcinella, nel senso che non è niente di trascendentale, ma a parole è quasi impossibile da spiegare. Questo segreto altro non è che... cantar piano. Qualcuno a questo punto già potrebbe aver smesso di leggere! Spero di no. Quando intendo cantar piano, non intendo a basso volume, anche se pure questa è una disciplina fondamentale e indispensabile all'acquisizione del bel canto, ma intendo dire che occorre lasciar scorrere il canto senza premere. Il luogo ove si può dare volume a sazietà, è sulla punta del fiato, che può essere avvertita fuori di noi, se tutto funziona a dovere; ma, appunto, prima bisogna aver acquisito questa forma mentale, che è incredibilmente difficile. L'unico grandissimo cantante che credo sia riuscito, non so in che percentuale dovuto alla scuola e nell'altra alla propria intelligenza e ricerca, è stato Tito Schipa. Io stesso devo dire che se quando faccio lezione faccio quasi sempre esempi perfetti, il che è indispensabile per chi insegna, e solo malesseri o stanchezza possono talvolta scusare la non perfetta riuscita, nel canto vero e proprio posso non raggiungere le stesse quote.
Dunque, indipendentemente dallo spessore vocale che soggettivamente ciascuno esprime, il dato fondamentale che distingue il cantante vero artista dagli altri, è la capacità di far SPANDERE la voce nell'ambiente in cui si esibisce. Se la voce spande, non esiste più grande differenza tra voci piccole e grandi, nel senso che ciascuna dovrà rimanere nell'ambito del proprio repertorio, quindi il leggero canterà opere del repertorio leggero, il drammatico quello drammatico e così via, ma senza pericolo che quello leggero non si senta. E così si spiega che pure Schipa cantò, e più d'una volta, all'Arena di Verona.
Perchè la voce spanda, occorre che l'aria dell'ambiente entri in vibrazione, cioè diventi tutt'uno con l'aria di chi canta. A teatro l'ho sentito tre volte: con Alfredo Kraus, limitatamente ai recitativi dell'opera "La favorita" di Donizetti, nel 1980, Bruson, durante le prove de "i due Foscari" a Torino nel 1984, e Tiziana Fabbricini, alla Scala di Milano nel 1990 e anche in altre prestazioni successivamente.
Qual è il segreto perché ciò possa accedere, oppure: perché ciò non accade sempre?
Come ho già accennato, il dato essenziale è quel "cantar piano". Il Maestro Antonietti aveva scoperto che alla base della voce c'è il canto sospirato. Già questo è un dato che nessuno comprende. Poi nessuno comprende che nella stessa ottica c'è il parlato. Anche miei allievi già consolidati, non sanno passare da una frase parlata a intonata senza modificare sostanzialmente l'emissione. Già solo questo potrebbe risolvere ogni problema, ma sarebbe una scuola troppo dura, non più proponibile con i ritmi del tempo odierno.
Allora il segreto nel segreto, sta in quell' "EFFETTO VALVOLARE", che ciascuno di noi, nessuno escluso, si trova ad affrontare. Per farlo capire meglio mi riferisco quasi sempre alle cinture di sicurezza. La cintura di sicurezza, se voi la tirate piano, si srotola e la potete allungare quanto volete. Se aumentate troppo la tensione, il meccanismo blocca la cintura. E' un effetto valvola. All'interno dell'apparato respiratorio-canoro, abbiamo diversi punti-valvola, ma soprattutto due: la laringe e la zona immediatamente successiva, il punto di congiunzione tra laringe e spazio faringeo. La laringe è essa stessa una volvola. Le pareti elastiche dello spazio faringeo, diciamo più comunemente la gola, sono estremamente sensibili alle modificazioni della pressione aerea e hanno molte possibilità plastiche, dovute anche al meccanismo della deglutizione. Dunque, quando il fiato esce con una pressione costante e moderata, il "tubo vocale" rimane elastico e, se ci sono le giuste condizioni di pressione, può ampliarsi fino alle massime dimensioni possibili (che, ribadisco, non sono raggiungibili con impulsi volontari). Se il fiato non si trova in queste condizioni, ma ha irregolarità di pressione, compie il proprio ruolo valvolare e, come la cintura di sicurezza, blocca, almeno in parte, il flusso, e quindi si perde irrimediabilmente la possibilità di realizzare quell'unificazione con l'aria dell'ambiente. Concludendo: se volete raggiungere l'esemplarità vocale, ma anche, più semplicemente un elevato livello canoro, dovete imparare a far fluire con leggerezza il fiato che possedete. Questo vi darà modo anche di capire che la pronuncia non è un'azione meccanica e fisica, ma mentale, nel senso che riuscirete a immettere nel fiato la pronuncia stessa, come fosse un portato della mente. Quando si avrà consapevolezza che la pronuncia è staccata dal fisico, e quindi come fosse fuori di noi, come se la producesse qualcun altro, si avrà anche cognizione del fatto che può essere ampliata, sviluppata in ogni dimensione, di colore, di volume, di intensità, senza ripercussioni organiche, perché è come se la gola fosse diventato un "tubo vuoto", inerte.

2 commenti:

  1. Anonimo3:06 AM

    Amazing description and insights. Non parlo italiano, ma posso capire leggendo (sto studiando italiano). I have been reading your posts, enjoying and learning. Thank you. Héctor (from Argentina).

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    1. Grazie per la testimonianza. Se hai domande o non comprendi qualcosa chiedi pure, senza preoccuparti della scrittura.

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