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sabato, dicembre 04, 2010

La respirazione artistica "galleggiante"

Vengo quindi ora a parlare di questa ultima e "impossibile" respirazione artistica. Leggo e sento parlare talvolta di un canto "galleggiante". Ammesso che chi ne parla abbia effettivamente percezione di un canto leggero, aereo, "sul fiato", devo precisare che non è la stessa cosa della respirazione galleggiante.
Esiste, dunque, un terzo stadio respiratorio per chi punta alla perfezione vocale. Occorre aver disciplinato lo strumento, inteso come forme oro-faringee, in rapporto all'alimentazione (fiato). Tutta la disciplina si basa sulla possibilità di aggirare e superare l'istinto di conservazione e difesa della specie. Se e quando sarà raggiunto questo traguardo, che, lo ripeto, è da considerarsi quasi un'utopia, noi ci troveremo in una condizione molto particolare in quanto NON E' PIU' NECESSARIO ALCUN APPOGGIO. Spero si capisca la portata di questo concetto, che era contenuta nella premessa all'argomento, tre post fa. Se non c'è più necessità di appoggio, significa che il fiato non ha più altra necessità, nel senso che non è più vincolato alla condizione di mantenere abbassato il diaframma, perché rimarrà abbassato con la semplice quantità di aria presente nei polmoni, diciamo col cosiddetto fiato di riserva (ricordiamo che il diaframma si rialza in parte per la normale azione muscolare di rilassamento, ma, in maggioranza, per l'azione dell'istinto che "ordina" a questo potente muscolo di sollevarsi per esplerre l'aria). L'erezione del torace, che non deve mai venir meno, nel senso che il petto deve sempre stare "su", permetterà quella postura diritta che svincolerà totalmente il fiato dall'azione valvolare (quindi sarà venuta meno anche il 90 e più percento di pressione sottoglottica). Questo darà piena libertà alla laringe, che a questo punto si sarà trasformata in perfetto e delicato strumento musicale.
Se la respirazione diaframmatica, il primo "stadio", poteva farci ritenere il serbatoio respiratorio come un "pallone rotondo", il secondo e a maggior ragione il terzo stadio, portano il serbatoio a una forma di "pallone ovale", posto a livello dei capezzoli e fino ai muscoli ascellari.
Alla maggioranza di chi legge non sfuggirà, penso, il limite di un possibile problema che viene posto in qualunque trattato di canto, e cioè la vicinanza tra questo tipo di respirazione e la cosiddetta "clavicolare", da tutti ritenuta insufficiente e pericolosa. La respirazione clavicolare, detta anche "apicale", è una respirazione che sfrutta più intensamente la parte alta del polmone; essendo il polmone vagamente piramidale, la parte alta è costituita da "punte", che, come si può bene immaginare, contengono poca aria, e soprattutto hanno poca possibilità di agire sul diaframma. Molto erroneamente, molti teorici riferiscono che questo tipo di respirazione veniva praticato anticamente, quando le donne portavano il busto. Non possiamo del tutto controbattere questo assunto, ma mi permetto di affermare che in grandi scuole come quella del Garcia, dove c'era la Malibran, non si potessero compiere errori di tal gravità. L'opinione mia e già del M° Antonietti è che in realtà lo studio avvenisse senza busto e costrizioni particolari, per cui il fiato aveva la possibilità di un normale e corretto sviluppo e che al momento della grande carriera le buone cantanti potessero già utilizzare una respirazione toracica, che, se pur non ottimale, potesse per altro produrre un canto di alta qualità.
Per concludere, in sintesi, quindi diciamo che nella respirazione "galleggiante", non c'è solo più il cosiddetto "canto sul fiato", cioè la parola sopra il fiato, che è già un risultato straordinario e ignoto a praticamente tutti i cantanti oggi noti, ma che il fiato stesso possa "galleggiare" sul diaframma, non essendoci necessità di alcun tipo di appoggio, né sul diaframma né su alcuna parte del torace. E' sufficiente (si fa per dire) la perfetta erezione della persona, grazie alla piena, consapevole e continua erezione del torace, che non deve mai "ricadere". Il M° Antonietti, quindi, definiva "divini ladri" i superbi cantanti dell'epoca barocca, tra i quali i castrati, che non avevano necessità di grandi esborsi d'aria, ma potevano giocare su fiati brevi e rubati, che non intaccavano mai la riserva.
Ho scritto tutto ciò più per un dovere di informazione che per necessità disciplinare, perché, lo dico ancora una volta, è uno stadio a cui quasi nessuno (il quasi è una speranza) può pensare (ed è pericoloso pensare di farlo anche solo per prova) di avvicinarsi, e mai e poi mai se non c'è stata a monte la lunga e sofferta disciplina di superamento di ogni istinto che contempli la respirazione quale necessità esistenziale.

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