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mercoledì, febbraio 23, 2011

Esempi negativi

Pubblico questo video con Morris ma soprattutto la Huguette Tourangeau perché si possa sentire senza tante sottigliezze d'udito cosa sia il canto ingolato.
Parlo soprattutto della donna (normalmente definita un mezzosoprano, ma con miei enormi dubbi), che ha perennemente suono gutturale, duro, inespressivo... ciò che mi ha sempre lasciato attonito è il fatto che abbia inciso numerose opere con la coppia Sutherland Bonynge! Un vero mistero, che può trovare risposta solo o in una questione di potenza d'agenzia o in questioni su cui forse non è piacevole indagare. Ascoltate e prendete atto. Morris, comunque non è molto meglio, anche se ha voce bella, piena e ricca di natura, per cui è in condizioni di rendere espressivo il proprio intervento.

- il video è stato rimosso -

"Taci... il parlar ti stanca..."

Quando si legge nei miei scritti o si sente nelle mie lezioni di esercizi eseguiti sul parlato, può essere legittimo porre il dubbio se il parlare stanca, come si dice abitualmente di chi svolge attività che prevedono l'uso della parola a lungo, come insegnanti, attori, conferenzieri, ecc.
La risposta in fondo è semplice: guardate, o meglio, sentite i grandi attori, che anche in veneranda età non perdono un grammo né in bellezza, nè in diffusione, nè in espressività. Un nome per tutti: Arnoldo Foà, che a oltre 90 anni conserva ancora quella pastosità ma anche quella fluidità ed espressività che possiamo sentire in filmati anche di 40 e più anni fa. Il parlato stanca, sì, ma chi non ha sviluppato adeguato fiato, ovverosia, chi non ha elevato la parola ad Arte. Per gli attori in fondo è più facile che per un cantante, perché non hanno l'impegno dell'intonazione, anche se un uso intenso, teatrale della voce richiede comunque l'uso di una gamma dinamica e di frequenze assai più ampio del comune. Quindi la questione è sempre e solo la consueta: sviluppare il fiato. Partendo dal parlato perché, come già scritto e detto fino alla sfinimento, ma non demordiamo, il parlato è la base della voce, non ostacolata dall'istinto.

lunedì, febbraio 21, 2011

Il sostegno

Torno su questo argomento perché realizzo che può dar luogo a equivoci.
Il suo uso può essere di tipo musicale "sostenere una frase", che significa di non farne scemare la tensione o l'intensità drammatica. Possiamo dire, a livello educativo, che non deve venir meno il legato all'interno della perfetta pronuncia. Sostenere il suono invece può già dar adito a errori anche seri, infatti molti lo traducono in "spinta". In effetti si può dire che non ci sia bisogno di sostenere attivamente un suono, giacché il nostro fisico è perfettamente in grado di farlo, almeno per diversi secondi, finché non si va a incidere sull'aria di riserva. E proprio qui sta il nocciolo della questione. Occorrerebbe cantare sull'aria "in eccesso", dove la qualifica non intende aria eccessiva o esagerata, ma propriamente quell'aria di scambio che eccede la riserva. Ora bisogna fare una piccola osservazione. Come mai l'uomo conserva una rilevante quantità d'aria nei polmoni, che non viene emessa, anche dietro considerevole sforzo? Il motivo, che già ho esposto in diversi post, è legata all'erezione del petto. Il torace, in quanto esterno alla colonna vertebrale, porta a un potenziale ripiegamento del busto in avanti, cioè a una "caduta" in avanti. Per evitare questo, una parte del peso viene scaricata sui polmoni, quindi sul fiato, e quindi sul diaframma. In parole povere, il nostro fiato è quasi sempre, più o meno, compresso dal peso del petto (ovviamente nelle donne il fenomeno è più rilevante). Una quantità di fiato sempre presente nei polmoni ha, pertanto, lo scopo di evitare o contenere che la parte alta del busto si pieghi in avanti con possibili conseguenze posturali (che sono, nonostante ciò, presenti, e che rappresentano una problematica sociale molto diffusa). Il consiglio di stare ben diritti, presente un po' in tutte le scuole di canto, ma alcune in particolari, è, comunque motivato, sempre giusto e da osservare. Però noi adesso andiamo oltre. Per il sostegno del petto, si utilizza tutta una serie di muscoli presenti nella fascia lombare o poco sopra; se l'istinto è molto attivo, come può esserlo facilmente in chi inizia a cantare, la pressione muscolare sull'intestino può riversarsi sotto il diaframma e procurare un ulteriore motivazione al suo sollevamento. Ecco dunque che nei primi mesi di studio è sconsigliato adottare una respirazione di tipo "costale". Quando, a giudizio del maestro, la fase iniziale è terminata e le reazioni istintive sono più contenute, si può passare all'integrazione respiratoria costale, cioè con leggera tensione della parete addominale superiore e quindi con miglior erezione del busto. Questo è già in grado di far funzionare meglio il diaframma, in quanto buona parte del peso del petto potrà correttamente confluire sulla colonna vertebrale. Con l'andare del tempo si potrà ulteriormente perfezionare questa postura, con un sostegno sempre attivo del petto da parte anche della muscolatura sottoascellare e dorsale. Attenzione! Questo procedimento, fatto impropriamente o nei tempi sbagliati, porta fatalmente a un aumento, anche considerevole, della compressione sottoglottica, dunque sbagliato e nocivo alla vocalità! La respirazione, in questa posizione, deve risultare assolutamente libera e profonda. Quando il petto, terminata l'aria d'eccesso, tende a ricadere, forma come un cuneo di aria compressa che punta verso la cosiddetta "fontanella dello stomaco", all'incrocio della costole o plesso solare. Questo cuneo va contrastato facendo lentamente rientrare la fontanella dello stomaco. Ciò che deve essere chiaro, in questa fase, è che ciò che si sostiene NON E' il suono, ma la gabbia toracica, cioè l'involucro strutturale che contiene il fiato, e la nostra azione non deve agire su quest'ultimo, in nessun modo! Se questo procedimento prosegue correttamente, si potrà allora aspirare al traguardo della respirazione galleggiante, di cui abbiamo parlato alcune settimane fa, però ho fatto questo intervento proprio per precisare che le due cose, pur essendo correlate, non sono la stessa cosa. Se il petto viene sostenuto e non cade MAI durante la frase musicale, noi ci accorgeremo che il consumo d'aria cala sensbilmente, che il suono risulta più facile e sonoro e che la fatica, al di là del sostegno stesso, diminuisce considerevolmente. Certo, bisogna anche essere pronti ad accettare che il suono sul fiato risulti leggero e scorrevole, che contrasta un po' con l'idea comune che i suoni lirici dovrebbero coinvolgere il corpo in senso molto attivo; in effetti c'è un modo di dire, secondo cui si canta con tutto il corpo, che viene inteso come una vibrazione di tutte le parti, il che è pesantemente sbagliato, anzi quasi l'opposto, perché ciò che deve vibrare considerevolmente, alla fine, è solo l'aria esterna.

sabato, febbraio 19, 2011

Parlare intonati

Perché di norma il parlato non è intonato? Intonare un suono, considerando come è fatto l'apparato vocale, ha un "costo", un impegno, perché mantenere un suono con una determinata intonazione significa far uscire il fiato con una regolarità, una costanza, che richiedono una educazione del fiato e del diaframma del tutto fuori luogo per le nostre esigenze di vita comune. Ecco perché può essere già faticoso e complesso riuscire a farlo anche su suoni comodi e appartenenti al range del parlato quotidiano. Ed ecco perché è preferibile, prima di cominciare a fare suoni intonati, imparare a parlare facendo in modo di legare bene, pronunciare ottimamente, in modo normale, estendendo piano piano il parlato a una gamma di suoni di più ampio spettro. Per far questo non utilizziamo le note, ma la dinamica, pertanto per fare suoni più alti noi "parliamo alto". Ecco, dunque, spiegato perché si dice così! Cioè parlando più forte automaticamente usiamo anche frequenze superiori. La cosa sorprendente è che quando si arriva a cantare esemplarmente, noi torniamo un po' in quella condizione, cioè non ci rendiamo più conto di fare note più alte o più basse (tranne, magari, quando siamo proprio agli estremi), ma ci sembra di parlare/cantare più o meno forte, e basta!

mercoledì, febbraio 16, 2011

L'udito

Sarà bene ricordare che, come gli altri sensi e come la stessa voce, l'udito è "tarato" in base alle esigenze di vita contingente, il che significa che, salvo i soliti "rari casi" beneficiati dalla natura, la maggior parte delle persone sente ciò che è sufficiente per vivere e sopravvivere, e non è quindi minimamente in grado di valutare la bontà di emissione di questo e quel cantante (e la questione vale anche per tutti i rami della musica), e questo spiega sufficientemente perché anche cantanti che noi reputiamo pessimi possano assurgere a celebrità. Molti sono convinti che ascoltando molti cantanti, vuoi in disco che in teatro, queste doti si sviluppino. E' vero in minima parte; così come la voce, anche l'udito ha un margine di tolleranza che può essere sviluppato con l'impegno e quella passione che permette l'evoluzione delle proprie doti, però questo margine di tolleranza è assai ristretto. Lo sviluppo importante del senso dell'udito può solo accompagnarsi allo sviluppo della voce, perché si relaziona anche con una serie di stimoli nervosi attinenti il proprio corpo. Infatti il maestro o il cantante ben formato, non capta semplicemente il suono ma rivive il processo che porta alla formazione e allo sviluppo di esso, percependo infallibilmente gli eventuali punti di resistenza. Addirittura si colgono quelle tensioni e deformazioni non solo di tipo prettamente fisico ma anche collegate a esitazioni, timori e altre cause psicologiche. Con questo non si vuol dire che chi non ha studiato canto non possa cogliere la bravura o meno di un cantante, però i giudizi di costoro, e mettiamo in prima linea critici e giornalisti, sono sempre da prendere con ampio beneficio di inventario, e possibilmente confrontandolo con persone che sappiamo essere competenti.
Sarà bene ricordare inoltre che chi canta male sente male, o, generalizzando, ognuno sente in rapporto a come canta, quindi l'insegnante che dice "tu puoi fare meglio di me" non sa quel che sta dicendo, nel senso che è vero che l'allievo può fare meglio dell'insegnante, ma non può certo impararlo da lui. Nessuno può insegnare meglio di come sa, anche se una fortunata condizione di natura, se non avversata, può creare questa paradossale situazione, per cui anche da un insegnante pessimo può saltar fuori un cantante interessante... ovviamente non si può far conto sulla fortuna, e naturalmente il miracolo non è detto che si ripeta!

sabato, febbraio 05, 2011

Video esempi

Comincerò col postare due importanti esempi del "parmi veder".
Luciano Pavarotti, 1981, Metropolitan, direttore J. Levine.
Qui gran parte della colpa di una modesta esecuzione è del direttore. L'introduzione è davvero pessima, tutta piatta, meccanica, senza alcun criterio (specialmente le battute immediatamente precedenti l'entrata del Duca). Pavarotti però entra e lancia il suo "ella mi fu rapita" con una sicurezza e proiezione da rasentare la perfezione! Ma bastano poche frasi a peggiorare il tutto. Sembra imbabolato e non capire ciò che sta dicendo. Ma soprattutto l'attacco di "e dove ora sarà...", a presentare la mediocrità di questa esecuzione: tutto forte, senza alcun affetto. Poi iniziano anche i guai vocali: la A di "caro" è fatta con mandibola leggermente inchiodata, e il difetto si ripresenterà più volte, sempre a peggiorare, durante tutto il brano (vedi già il successivo "potE'", "modEsto", "creeeeeedo", "mA ne avrò", tutto "lo chiede il pianto" e la E in vocalizzo di "della", molto difettoso, e persino la E di "diletta", strettissima, che manda indietro pure la A finale. L'attacco di Parmi è brutto, è praticamente una O neanche tanto avanti. "Scorrenti", come volevasi dimostrare, non è una semicroma. Ma Levine non le guarda ste cose?? La frase non ha accenti, è tutta forte uguale, e lo stesso dicasi della seconda. Realizza la legatura e respira dopo il "quando", che mi pare una pessima cosa, ma è in buona compagnia... Ma, matita blu, non esegue le crome puntate, ma fa tutte terzine anche sul "dubbio e l'ansia", che vuol dire uccidere il senso musicale e testuale: "tut l'istes" si dice in Piemonte, tutto uguale, tanto chi le sente ste cose? Pasticcia con le note su "dell'amor nostro memore", e infila una corona fuori luogo sul lab. Alla ripresa respira dopo "Ei", con una sensibile diminuzione di volume su "che vorria", non so quanto giustificabile. La voce però comincia ad accusare stanchezza e si ingola (si sente bene sul "beata", ma già prima si avverte); non c'è alcun tentivo di diversificare la dinamica su queste frasi, tutte forti uguali. Esegue una salita al lab come fosse il P.M., ma è vocalmente modesto, dopo l'attacco va indietro. Ma quando arriva il vero punto massimo, "per te", è davvero brutta cosa, trattandosi di Pavarotti; stretto stretto e indietro. Il sib, eseguito, non è tanto meglio, pur essendo una A. Non capisco perché dica invidiò con una O super stretta sul bocchino... mah. Il finale, scusate, ma è penoso. La voce indietrissimo, tutta appoggiata sulla mandibola, e a tutto gas. Le premesse facevano sperare un'altra esecuzione. Non mi sono soffermato su altri particolari soprattutto musicali, con qualche ascolto attento ognuno potrà notare.


Veniamo invece all'esecuzione di Alagna, 1994, alla Scala con Muti. Qui direi che invece il direttore è artefice di cose migliori. L'attacco, però, come suo solito è esagerato nello stacco dei tempi. Però è decisamente più curato e differenziato rispetto a Levine, sarà forse anche la migliore orchestra della Scala, comunque l'introduzione è più corretta. Alagna qui aveva ancora voce fresca e facile, più pastosa di quella di Pavarotti, ma meno presente e penetrante. Sicuramente il recitativo è dieci volte migliore, molto curato nelle dinamiche (un po' meno nei fraseggi) e anche nell'atteggiamento scenico si nota un coinvolgimento totalmente assente nel modenese. Il recitativo, nel suo insieme, è, anche vocalmente, superiore, per omogeneità di emissione. L'attacco di "parmi" non è sicurissimo, però molto più bello di quello di Pavarotti, ma anche qui notiamo una assoluta piattezza di fraseggio. Ovviamente lo "scorrenti" è una semicroma perfettissima, perché Muti a queste cose ci tiene, e va a suo onore. Però anche lui respira dopo il "quando", e pasticcia anche un po', questo credo si potesse evitare. Ma il "dubbio e l'ansia" sono finalmente cantati perfettamente a tempo. Nuovamente respira non si capisce se dopo "ei" o "che" o un po' qui o un po' la... Questa incertezza rovina parecchio il fraseggio complessivo. Poi c'è una variazione, proposta in partitura, che non mi pare gran cosa... la salita al lab, anche per lui troppo ritenuta, si presenta incauta, e l'acuto va indietro. Muti, meno male, evita il sib, però non avendo, secondo me, compreso che il PM è su "per te", fa soffermare troppo Alagna sul solb degli "angioli" (qui è stata ripristinata questa dicitura). La cadenza è eseguita come scritta (con una A molto indietro), ma fortunatamente anche lui va concludere con "per te", purtroppo vocalmente carente. Nell'insieme comunque direi che l'esecuzione migliore, al di là della voce dei due tenori, che possono piacere più o meno, è quella della Scala, per la notevole miglior prestazione direttoriale, ma anche per una complessiva caratterizzazione vocale e del ruolo da parte di Alagna.

Per correttezza, dirò che su youtube si trovano altri video della stessa aria cantata da Pavarotti, migliori di questa; ho preso la prima che mi era capitata, ma va bene così, perché si impara di più dagli errori!

Un allievo

Posto un video amatoriale del mio allievo Simone Barbato. E' un'esecuzione durante un concorso internazionale, dunque qualche esitazione e piccolo difetto ritengo siano del tutto giustificati dal momento. Reputo questa un'ottima esecuzione per un allievo ai suoi primi passi (la registrazione è della primavera 2010).

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venerdì, febbraio 04, 2011

Parmi veder...

Analizzerò adesso una vera e propria aria del grande repertorio: "Parmi veder le lagrime" dal Rigoletto di G. Verdi.
In apertura del II atto dell'opera, apprendiamo che il Duca di Mantova, che già aveva seguito Gilda nella propria abitazione e le si era dichiarato, fornendo false generalità, tornando ha trovato la casa vuota e dunque si dispera per questo rapimento. La situazione è invero piuttosto bizzarra, perché sappiamo ormai essere questo personaggio un libertino senza scrupoli, eppure canta un'aria di autentica passione amorosa. Nella logica della finzione e delle tante contraddizioni, poniamoci nella condizione di credere che sia autenticamente innamorato. Per il momento, per non fare un poema, salto il recitativo e passo direttamente all'aria, in sol bemolle maggiore. Il brano è strutturato in ABA e coda, dove possiamo trovare il Punto Massimo.
Le prime due battute sono di transizione armonica, la terza di introduzione.
Il primo blocco (A) dura 12 battute (compresa l'introduzione). "Parmi vedér le lacrime, scorrènti da quel ciglio, quando fra il dubbio e l'ansia del subito periglio, dell'amor nostro mèmore il suo Gualtier chiamò". La prima frase è di quattro battute.
Ci si deve soffermare subito sulla prima battuta, che presenta già delle complessità. L'attacco, in battere, è un solb, nota già piuttosto acuta seguita da un salto discendente di sesta. Quindi il "par" non dovrà essere troppo piano, perché abbiamo la necessità di diminuire il "mi" sia per questione di accento che musicale. La legatura si otterrà tenendo ben appoggiata la "R". Ovviamente è del tutto fuori luogo un respiro o una qualunque sosta dopo il "parmi". In questa frase l'accento principale sarà sulla A di "lagrime", e non sarà facile da rendere, perché è un sib, quindi molto più basso del solb iniziale, e poi la difficoltà della duina di biscrome, spesso porta ad accentare proprio il reb ("gri"). E' naturalmente un errore, perché sposta immotivatamente tutto avanti di un quarto. Quindi bisognerà dare una notevole forza a quella A, e diminuire considerevolmente la duina di "grime". La notevole diminuzione sul "mi" di "parmi" trova conforto anche nell'armonia, che da solb passa a mib minore. "Veder" è una terzina, e bisogna evitare di fare, come molti, una duina col punto e semicroma, perché darebbe una propulsione del tutto immotivata. La maturità verdiana si scorge in questi particolari, dove la simmetria è appena accennata. Occorre fare attenzione, inoltre, alle legature che, anche se su parole o semifrasi, non devono interrompere il senso generale; è un vero virtuosismo esecutivo riuscire a rendere il senso delle legature verdiane senza interrompere l'arco significante della frase e sostenere la "direzione" tensiva. La seconda frase è in dominante (reb) ed è la risposta alla prima, dunque tutta a "meno", e l'accento principale cade sulla "i" di "ciglio". "Scorrenti" è un salto di sesta; occorre solo una leggera diminuzione per evitare un accento improprio (sempre appoggiando bene la N per legare la parola nel salto), tramite doppia dominante e dominante si torna al tono principale. Molti cantanti non eseguono correttamente la semicroma in levare di "scorrenti", ed è un errore da evitare. Il resto della frase non presenta particolarità, se non l'attenzione da prestare al finale di "ciglio", che essendo su una nota più elevata del battere, rischia sempre un accento improprio, mentre andrà diminuita. Qui si presenta un problema respiratorio. Verdi infatti indica una legatura al "quando", e dunque non si potrebbe più respirare fino al "periglio", il che appare difficile, considerando anche che dopo "ciglio" c'è una virgola. Il consiglio, anche se di non facilissima realizzazione, è quello di effettuare la legatura, portarsi dunque sul solb, rubare un fiato e attaccare il "quando". Nel dubbio, comunque, ritengo sia preferibile respirare prima, che dopo il "quando"! La frase testuale, è comunque lunga, di quattro battute, e l'accento principale è ancora sulla "I" di "periglio". Su "subito", Verdi mette la prima indicazione dinamica, forte, di quest'aria! E' emblematico di un certo modo di intendere la musica; le indicazioni non sono sempre così indispensabili, se si sa cogliere lo spirito e il contesto, nonché il percorso unitario.
La quinta battuta, dove inizia la seconda frase musicale, di sette battute (si potrebbe suddividere a sua volta, ma lo ritengo discutibile) che richiama la prima, possiede proprio quelle differenze che danno il senso della situazione. "Fra il dubbio e l'ansia" non possiede più le terzine, ma è scritto con crome puntate e semicrome, "dubbio" e "ansia"!, dopodiché si torna nuovamente al terzinato (spesso il "pe" viene trasformato in semicroma). La scrittura dinamica è molto chiara. Questa transizione è interessante perché valorizza l'armonia di dominante, tant'è vero che quando passa momentaneamente dal solb (il primo "mèmore"), si avverte una tensione in attesa di risoluzione, che avverrà sulla frase successiva e finale del primo blocco ("il suo Gualtier chiamò). La ripetizione testuale "dell'amor nostro mèmore", è una intensificazione del concetto, che Verdi esprime meravigliosamente con la salita in crescendo al lab, su un'armonia di nona e con un intervallo di quinta rispetto al basso, che fenomenologicamente definiamo "estroverso" e "attivo", poi immediatamente da diminuire (il salto di quinta è importante perché richiama l'attenzione della nostra coscienza. Potremmo dire che rispetto al "presente", rappresentato dalla tonalità (solb), la quinta discendente è un richiamo al passato (in fenomenologia lo definiremmo "introverso" e "passivo", in quanto il solb (quinta ascendente) rappresenta il primo armonico diverso dal fondamentale (futuro), e dunque la quinta inferiore ne rappresenta il passato; si definisce passivo, poi, in quanto essendo un suono inferiore ha un minor numero di vibrazioni; si capisce facilmente il senso opposto).

Il B è di sole 4 battute ("Ned éi potéa soccórrerti, cara fanciulla amata" con il primo accento principale sulla "ó" e il secondo su "amAta") e inizia nella tonalità di dominante (reb in minore), ma si avverte chiaramente la tensione di ritorno alla tonica, che avverrà già sulla battuta successiva, ritorno ad A. Il tono minore non solo armonico ma anche testuale, ci porta subito a considerare che non risiede qui il PM. Torniamo dunque a una riproposizione integrale dell'A sulle parole "Éi che vorria con l'anima farti quaggiù beata, éi che le sfere agli angeli per te non invidiò". Da un punto di vista delle prese di fiato si ripropone lo stesso problema già visto, cioè una legatura che impedirebbe di prendere un fiato fino ad "amata". Molti per aggirare l'ostacolo respirano dopo l' "ei", ma è orribile, quindi bisogna impegnarsi per realizzare la legatura, respiro rubato, e attacco. L'accento della prima frase è lontanissimo dall'inizio, sul "beAta", dunque respirare in mezzo è del tutto fuori luogo. Dobbiamo anticipare che il Punto Massimo del brano avverrà su un Lab, dunque sia il precedente che l'attuale ("gl'angeli", su cui cade l'accento della seconda frase) non devono essere troppo forti, per non togliere il "primato" a quello principale.
Inizia, quindi il C,o coda, dove si riprende l'ultima parte del testo già visto. La parte più importante inizia alla terza battuta, dove parte una progressione che fa salire vertiginosamente la tensione sulla parole "a te" (reb dim; do dim; si dim.)dopodiché, al culmine, la voce si ferma per un quarto e mezzo sul lab, "te", Punto Massimo dell'aria, su una settima di sib, dopodiché tramite sottodominante e quarta e sesta di dominante, si giunge alla classica fermata in settima di dominante (minore) su cui si dipana la cadenza finale. Per dare maggiore enfasi alla crescente tensione, non è malvagia idea fare su quella battuta, prima del PM, un leggero ritenuto. La quasi totalità dei tenori esegue un sib acuto (puntatura) sugl' "angeli", nella battuta successiva al PM. Non c'è bisogno di essere filologi o mutiani a oltranza ("noi facciamo ciò che Verdi ha sckritto") per dire che quel sib, per quanto piacevole, è sbagliato e non andrebbe mai eseguito: 1) sposta l'idea di PM di una battuta, togliendo valore e emozione dove ci andrebbe; 2) Verdi, che non era proprio l'ultimo arrivato, ha scritto con coscienza quest'aria, e il PM è perfettamente costruito sulla parola "per te" (Gilda) e non sugli "Angeli", che sono solo un paragone, dunque di minor interesse. Comunque, se si suona l'armonia, si nota facilmente che sugl' "angeli" è già in atto la risoluzione tensiva, per cui ci deve anche essere in atto una diminuzione.