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venerdì, luglio 22, 2011

La libertà - 2

Il discorso della libertà, come abbiamo accennato, si può giocare su due livelli: uno fisico-tecnico e uno percettivo. Per la precisione anche questi non si possono definire livelli distinti, perché uno richiama l'altro, ma per il momento gestiamoli separatamente. Per quanto riguarda il canto e il suo insegnamento, naturalmente, il primo e lungo problema da affrontare è il primo, e qui già sappiamo che il livello della coscienza passa attraverso una disciplina, che consenta in primo luogo di superare le barriere istintive, grazie alla quale si può omogeneizzare, ovvero riportare a quella potenziale unità, la gamma vocale, eliminando le "fratture" dei registri e tutti quegli scalini e difficoltà che rendono l'esecuzione così difficoltosa, muscolare, fibrosa, impropria, ecc. Di questo parliamo ormai da anni su questo blog e continueremo a farlo. Abbiamo già anche scritto che il principale organo di percezione dei suoni, l'orecchio, non è immune dai limiti di tutto il resto del corpo. Chi ascolta crede che basti ascoltare per emettere un giudizio, e ci riprende affermando "le orecchie le abbiamo tutti" o, peggio: "le orecchie le ho anch'io". Grazie, ma anche tu hai le mani, tanto per dire, ma non sei capace di suonare neanche "tanti auguri", come si spiega? Secondo loro la spiegazione sta nel fatto che le mani bisogna muoverle, e la complessa articolazione richiede un lungo studio, mentre l'orecchio è fermo e basta la sollecitazione sonora perché adempia alla propria funzione, in lui come in tutti gli altri. Ma sappiamo che non è così; anche la vista funziona in modo simile, ma è noto che alcune persone vedono ciò che agli altri sembra invisibile. Non è questione di vista migliore, cioè di diottrie, ma di capacità di osservare, e questo è il compito della coscienza. Arturo B. Michelangeli aveva (sviluppato) un udito straordinario, lo stesso Sergiu Celibidache (che stava pure bene) ammirava il pianista bresciano per la sottigliezza del suo udito, che gli permetteva di sentire armonici molto acuti; quello stesso udito gli permetteva di eseguire poi quella infinità di colori per cui è giustamente noto, ma gli rendeva infernale l'esecuzione quando per motivi ambientali o climatici lo strumento non rispondeva a quel livello, e allora annullava le performances. Perché per qualcuno un suono è infinitesimamente calante o crescente e per molti altri è valido? Perché per qualcuno è ingolato, indietro, nasale, rozzo, schiacciato, ecc. ecc. e per molti altri no? Non hanno tutti le orecchie? Sì, esternamente, ma ciò che coglie, filtra come un rene e riporta all'attenzione è sempre la coscienza, per cui noi dobbiamo dire che ciò che sviluppiamo nel corso di una seria e approfondita disciplina non è solo e tanto il fisico, ma la coscienza. La coscienza che ci permette di cogliere che un suono è difettoso, ci aiuterà a rendere il nostro suono corretto. Ma passiamo oltre.
E' una frase piuttosto ricorrente dei musicisti dire: "noi facciamo ciò che l'autore ha scritto"; "ciò che ci guida nell'esecuzione è la partitura"; "nella partitura c'è tutto"... e via dicendo. Quanto c'è di vero in questo? Poco, molto poco. E' vero che per eseguire un brano musicale è necessaria la partitura e un suo studio approfondito. Purtroppo c'è da dire che molti cantanti imparano i brani ascoltando registrazioni, e non c'è niente di peggio, da un punto di vista musicale. Spesso sbagliano le parole, perché non le hanno percepite perfettamente e non approfondiscono, e talvolta non si rendono conto di dire della assurdità (il famoso: "la tua méta è Giaveno" anziché "la tua méta già vedo" [Giaveno è un ridente paesino del torinese ndr]; è vero che spesso i libretti sono assurdi e ci sono termini desueti, però sarebbe meglio prima verificare...) e si abituano a fare errori ritmici e persino melodici se la fonte non è precisa. Lo studio dello spartito è indispensabile, ed è indispensabile, nel canto, che venga svolto nel rapporto tra parola e musica, come credo di aver segnalato opportunamente nella analisi dell'aria "parmi veder le lagrime" dal Rigoletto di Verdi. Ma questo, ricordiamo, è solo e sempre una fase iniziale, superficiale, dello studio. Il problema essenziale è far sì che il brano diventi "uno", cioè non sia una somma di battute, di frasi o addirittura di note. Chi ascolta "che gelida manina" aspettando il do può essere in errore, ma se chi esegue quel brano riesce a rapire l'ascoltatore fin dalle prime note e a portarlo a un livello di coinvolgimento più profondo, gli farà persino dimenticare che esiste quella nota, perché assaporerà, VIVRA' (ecco la parola giusta) quel brano in tutta la sua interezza, in tutta la sua sostanza. Sì, perché noi dobbiamo aver sempre presente che a livello artistico esistono dei livelli di percezione; il primo è il livello del significante, il suono, finito in sé stesso, e che purtroppo è quello a cui si fermano in tanti. Si può salire al livello estetico, un "bel" suono; siamo un po' più in alto, ma ancora molto in basso. La bellezza cattura l'attenzione. Non è vero che un suono bello è un suono giusto e men che meno perfetto, però è vero il contrario, cioè che un suono giusto è un suono bello, quindi la ricerca della bellezza è un cammino corretto. Salendo ancora un po' abbiamo il suono che "emoziona", il suono che "muove" o "smuove" qualcosa della nostra anima. E' già un livello interessante, ma spesso anch'esso superficiale. L'emotività va studiata, capita. Molti lo dicono perché è una frase facile, scontata, ma spesso non provano un bel niente, realmente. Se è vero, la si può descrivere. Un'emozione non è una sensazione generica, ma ci porta a uno stato che può essere vissuto: è paura? è gioia? è malinconia? tristezza? rabbia? Se riusciamo a contemplare questo stimolo interiore, siamo già a un livello molto alto. Ovviamente lo stato successivo sarà quello del Vero. Quanto tempo e quanta energia infondo nell'esortare gli allievi a "dire" con verità ciò che cantano. Basta un monosillabo: sì. Passo spesso parte del tempo della lezione a chiedere agli allievi di dire: "Sì" non "cantando" (inteso negativamente), non dicendolo neutralmente, ma dicendolo come una risposta o un'esortazione. "Ti piace"? spesso dico? "rispondi con sincerità: sì!" E' enormemente diverso emettere un sì realmente e sinceramente espressi con la volontà di affermare qualcosa dal cantarlo o dirlo come fosse un esercizio asettico. E questo vale per tutto. Nella nostra scuola si esercita tantissimo il parlato, ma ripetere una frase come una filastrocca senza senso, serve tanto quanto un qualunque esercizio meccanico fine a sé stesso, quasi inutile. Perché alcuni cantanti riescono a fare progressi forti? Perché sono talmente convinti ed entusiasti di ciò che fanno, che ci mettono un interesse strordinario in ogni minimo esercizio; sono quasi fanatici, non mollano un attimo. Ma io ricordo bene, pur non ritenendomi fanatico, che quando iniziai a (ri-) studiare canto col M° Antonietti, avevo talmente provato tangibilmente l'efficacia di questa scuola, che ogni volta che cantavo (e cantavo tutti i giorni, perché ero nel coro del Regio di Torino) analizzavo ogni cosa che dicevo mettendoci tutto l'impegno necessario sia tecnicamente, cioè mettendo in moto quei muscoli, labiali e facciali, che mi permettevano di pronunciare con la massima precisione possibile, sia mentale per controllare che ciò che dicevo avesse una "verità", un senso. Ed ecco spuntare anche un'altra paroletta magica: senso! Per molti questo termine significa: sensato, che ha un significato e una logica. Ma non è solo questo: senso, significa: direzione. Allora provate a rivedere le frasi in cui appare il termine "senso" significando anche "direzione", e scoprirete altri livelli di comprensione. Mi rifermo per non esagerare, ma riprenderò. Credo che ci siano qui già tanti input su cui riflettere a lungo.

4 commenti:

  1. Salvo_Baritono9:03 PM

    fantastica riflessione!
    1)riflettendo personalmente mi viene in mente quando ancora prima di studiare (coscenza uguale a zero penso) mi emozionavo con suoni che oggi direi belli, ma sbagliati, o addittura brutti e sbagliati. Ancora più precisamente quello che mi emozionava (e mi emoziona è solo la musica). E riuscendo anche a distinguere quale tipo di "emozione" mi stesse investendo durante l'ascolto, su che "livello" di coscenza sarei stato?
    2) Alla fine del post tu scrivi: "Allora provate a rivedere le frasi in cui appare il termine "senso" significando anche "direzione", e scoprirete altri livelli di comprensione."
    Che significa, non ho afferrato bene...

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  2. 1) la prima domanda è molto contorta. Riconoscere le emozioni aumenta la sensibilità, non si può dire che aumenti il livello, e comunque non tanto durante l'ascolto, quanto durante l'emissione. Per poter ambire a un livello superiore, bisogna vivere la verità e scoprirla entro di sè, annullando le spinte esteriori, narcisistiche.
    2) la parola "senso", viene solitamente inteso come "significato": 'non ha senso' lo intendiamo come: non ha significato; però può anche voler dire: 'non ha direzione', non va nella direzione che ... vogliamo? che dovrebbe avere....? Allora riflettiamo sul termine direzione. Dove vanno le cose "con un senso"?

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  3. dove vanno?

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  4. Ovviamente non esiste una risposta univoca; dipende di cosa stiamo parlando. Qual è la direzione di una frase musicale? dove "punta"? Qual è il senso di una tecnica "affondista"? e quale invece dovrebbe essere invece quella di un suono esemplare? E così via... chiediamoci, quando usiamo il termine "senso", qual è la direzione verso cui punta ciò di cui ci stiamo occupando, che percorso svolge, cosa occorre fare perché quel percorso risulti libero, percorribile...

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