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domenica, novembre 20, 2011

Da che parte stanno?

Da un punto di vista rigorosamente anatomico, le cavità oro-faringee e la laringe, oltre che polmoni, bronchi, diaframma, ecc., appartengono all'apparato respiratorio. La parte superiore, poi, appartiene ANCHE all'apparato digerente. Qualcuno aggiungerà ANCHE all'apparato vocale. Allora vediamo di precisare. L'apparato respiratorio ha necessità di un condotto sufficientemente spazioso per poter assumere e restituire all'ambiente l'aria di cui necessita; per un principio di economia, utilizza un canale già esistente, non necessitando di caratteristiche così particolari. Infatti l'aria può transitare sia dal naso che dalla bocca in proporzioni molto variabili. Se non ci sono necessità particolari, come durante un'attività fisica di una certa intensità, il fatto che la bocca sia chiusa, semichiusa o più o meno aperta, è scarsamente importante. Dunque, possiamo dire che le cavità oro-faringee sono "imprestate" all'apparato respiratorio. Un po' diverso per l'alimentazione, perché la bocca è necessario che possa assumere diverse gradazioni di apertura, a seconda del cibo che si vuole introdurre. La possibile coesistenza di aria e materia solida e liquida ha reso necessario un "semaforo" che faccia transitare ora una ora l'altra sostanza, anzi, nell'uomo sono stati necessari due "scambi": il velopendolo e la laringe. Questi, con i loro movimenti, fanno sì che il cibo si incanali nell'esofago e l'aria nella trachea senza invadere spazi inappropriati. La laringe, poi, ha anche un utilizzo più sofisticato, in quanto potendo non solo impedire l'entrata di cibo, ma anche l'uscita di aria, può creare una condizione di pressione interna al corpo utile per alcune esigenze corporali; è la cosiddetta funzione valvolare. Queste esigenze sono ovviamente primarie nella vita dell'uomo. Quindi nei momenti di vita vegetativa, l'apparato si UNIFICA e comporta come RESPIRATORIO, primariamente; nel momento in cui ci alimentiamo, può ALTERNATIVAMENTE comportarsi come respiratorio e DIGERENTE. Infatti l'alimentazione, pur durando complessivamente a lungo, richiede solo pochi attimi per ciascun boccone (a meno che non ci rimanga qualcosa bloccato in gola, che ci può portare al soffocamento, oppure se beviamo senza interruzione, il che comporta poi una sorta di fiatone). Ma possiamo anche osservare che nella vita di RELAZIONE con il prossimo, questo apparato si comporta, sempre in modo UNIFICATO, come apparato VOCALE nel momento in cui parliamo. Il nostro fiato uscendo mette in vibrazione quelle labbra muscolari all'interno della laringe che provocano il suono vocale, che le cavità oro-faringee amplificano, che la bocca articola in fonemi, il tutto sempre ALTERNATIVAMENTE alla funzione respiratoria. Addirittura è possibile che le tre funzioni si alternino in un ristretto spazio di tempo. Miracoli del nostro corpo incredibilmente costruito. La questione è che fin qui rimaniamo nell'ambito delle esigenze vitali, più o meno prioritarie. Se stiamo scappando da un pericolo, certamente la funzione respiratoria non permetterà altri utilizzi, se abbiamo una fame da lupi, rischieremo che il cibo ci vada di traverso nell'affanno di alimentarci. La parola non ha priorità, ma può averlo l'urlo. Il neonato può correre qualche pericolo se per qualche serio problema vagisce insistentemente, al punto da rendere troppo irregolare la respirazione. La laringe, infine, può anche svolgere un ruolo da vera valvola quando si è in acqua. Un principio istintivo, notato nei bambini anche appena nati, fa sì che essi possano restare per un certo tempo sott'acqua senza alcuna coscienza del problema dell'inspirazione, provvedendo la laringe a impedire che possa entrare acqua nei polmoni.
Nel momento in cui vogliamo utilizzare una funzione oltre le esigenze di vita quotidiana, questa perde le proprie caratteristiche istintive e quindi anche quell'unitarietà conferitagli dalla Natura. Ecco, dunque, che nel momento in cui noi vogliamo utilizzare la voce non più come semplice strumento di comunicazione quotidiano, ma con qualità più elevate, che comportano anche maggior impegno, noi ci ritroviamo con i "pezzi" sparsi: le cavità, la laringe, il fiato e quanto lo regola. Perdere l'unitarietà e rendersi conto che esistono i "pezzi", sta alla base dei difetti più gravi, perché l'uomo, invece di cercare di mantenere quell'unitarietà, va a studiare separatamente le parti cercando, inutilmente, di farle andare d'accordo. E' come smontare un orologio e cercare di rimetterlo insieme, ma qui la complessità è di gran lunga maggiore, perché esistono dei rapporti elastici che nei meccanismi metallici non esistono. Ma la soluzione in realtà è sotto gli occhi, perché l'unitarietà la Natura ce la fornisce mediante il parlato. Questa soluzione, per quanto ovvia, non è affatto facile, perché noi non abbiamo alcuna coscienza del suo funzionamento. Ce ne cominciamo a rendere conto, come scrivevo qualche post fa, quando da un parlato inconscio, fluido, diciamo "naturale", cominciamo a rallentare e voler pronunciare con più precisione. Ancor più quando il parlato vuol essere ampliato a una gamma molto ampia. Quando poi vogliamo "adattare" il parlato a una o più note musicali, diciamo una melodia, ecco che il problema si fa gigantesco, perché ci troviamo di fronte a una reazione potente del nostro istinto (a meno che non si sia dei privilegiati dalla Natura), che ci porrà di fronte a ostacoli e resistenze notevoli. A questo punto ci possono essere le soluzioni degli antichi, che in linea di massima sceglievano la strada dell'educazione quotidiana con la parola, passando solo più tardi al vocalizzo, ritenendo giustamente che in quel modo si esercitasse il fiato e lo si sviluppasse a sorreggere il peso della voce intonata su tutta la gamma. Poi è subentrata la fretta e la voglia di prendere le scorciatoie, le tecniche, i metodi, illudendo che con quelli si possono ottenere migliori risultati in minor tempo, e con la trappola del disco, che non può riportare l'effetto che si può cogliere solo in una grande sala teatrale, si spinge a credere che un tempo le voci fossero più piccole e meno sonore, e che solo l'oscuramento può portare ai risultati degni del tardo repertorio lirico. L'Arte non può prevedere i tempi, che non possono essere brevi, anche se sempre molto dipendenti dall'insegnante e dall'allievo, ma non potranno che essere di grande valore e senza controindicazioni, nel senso che chiunque, qualunque voce abbia, non potrà che migliorare e raggiungere la propria migliore forma possibile. Il problema, come diceva il m° Antonietti, è che l'artista insegnante con scolpisce del marmo inerte, ma deve affrontare l'istinto dell'allievo, che per quanto standardizzato si comporta anche con una propria intelligenza e quindi è da studiare, prevenire, accerchiare, ingannare, ma anche con l'ego, la personalità dell'allievo, che è portata fatalmente a schivare ciò che non ritiene soddisfacente, proiettato in un'ottica di esaltazione della persona e delle sue caratteristiche. Ecco, quindi, che spesso, se non sempre, l'insegnante deve anche essere uno psicologo e debba ingannare l'allievo stesso per evitare che abbia reazioni negative allo sviluppo stesso della sua voce. Sappiamo, ad esempio, quanto sia controproducente che l'allievo guardi la tastiera del pianoforte, perché così facendo può indurre determinate azioni, come lo stringere o lo scurire quando nota che ci si avventura su note che ritiene impegnative per qualche motivo. Dunque, cercare di ricordarsi che le parti dell'apparato, separatamente, possono solo portare a difetti, anche gravi, e sia necessario sempre esprimere parole VERE, non imitazioni, non borbottamenti, non infingimenti.

2 commenti:

  1. Salvo1:50 PM

    Tutte cose molto Vere e che ho avuto modo, nel pasasto, di riscontrare.
    Una domanda: quanto pensi sia imporatnte l'esempio vocale del maestro? Ad esempio come deve fare un mezzo soprano o baritono, o viceversa, a far comprendere con l'esempio vocale come affrontare le note acute ad un tenore o un basso... ecc. al di là delal tecnica?
    p.s. E' sempre un piacere leggere le tue lezioni.

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  2. L'esempio del maestro è fondamentale! Quante volte, dopo minuziose spiegazioni, prove e riprove, non si è ottenuto il risultato sperato, e dopo un solo esempio del maestro si è subito risolta la situazione? Molte, a riprova che, soprattutto dove manca una coscienza, l'ascolto e la volontà di riprodurre l'esempio portano con molta più rapidità ed efficacia alla soluzione. Certo qualche problema ci può essere; come può fare un insegnante tenore a fare esempi significativi a un basso, specie se nel settore grave, o viceversa, e una donna un esempio significativo maschile? E' fondamentale, in primo luogo, che comunque l'insegnante sappia emettere con assoluta padronanza, suoni esemplari. Si può giocare sulle ottave, per cui comunque una donna possiede un registro di petto, con cui può fare buoni esempi nel registro grave; anche se non sono relativi all'ottava esatta, non è così importante, e lo stesso vale comunque per gli uomini in classi diverse. Per l'uomo rispetto alla donna c'è qualche facilitazione in più, potendo utilizzare il falsettino, ma anch'esso, salvo eccezioni, raramente si può rapportare alle stesse ottave femminili.

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