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martedì, marzo 06, 2012

Dei trattati

La Storia del canto nell'era del melodramma è cosparsa di trattazioni teoriche. All'inizio furono pochi elaborati, ad uso piuttosto "privato", poi diventarono vere trattazioni e si moltiplicarono in numero. In alcuni casi possiamo parlare di serie e ponderate argomentazioni, molto caute e parche di consigli, onde non portare confusione e fomentare immagini perniciose. Successivamente si cominciarono invece a dare alle stampe i "metodi" e i manuali per un utilizzo pratico, anche autodidattico, e quindi per un mercato. Questo secondo caso, oggi più che mai in voga, è ovviamente il più pericoloso, da un lato, e il più ricercato dall'altro. Sull'inopportunità di rivolgersi a questi ultimi abbiamo già detto, ma è un discorso inutile, perché è ben difficile che chi ne è in cerca legga queste pagine e ci dia retta. Il discorso che intendo fare è un altro: da non molti anni è in auge, un po' parallelamente al discorso della filologia musicale, prassi esecutive, ecc., il richiamo di molte scuole di canto a testi e figure dell'antica scuola italiana. Quando io cominciai a seguire il canto, a fine anni '70, solo alcune scuole dicevano di rifarsi al Garcia (per lo più citandolo come nome di richiamo ma non conoscendone realmente gli scritti), ma il primo richiamo di una certa forza è dovuto al libro "coscienza della voce" di Rachele Maragliano Mori, ancor oggi un testo ampiamento diffuso. Ma da lì parte anche quello "sport" così diffuso in campo musicale che è l'interpretazione. Già quando lo lessi mi trovai a disagio, ancor più, poi, quando analogo lavoro cominciò a farlo Rodolfo Celletti. Praticamente ogni citazione e ogni riferimento è correlato a un "qui l'autore intende dire...". Ma... chi lo dice? Abbiamo la citazione dell'autore, perché adesso tu ci vieni a dire cosa voleva dire? Qual è la fonte di tanta autorevole capacità di lettura? Sono cambiati i linguaggi usuali, sono cambiati i termini specifici, forse, ma quale dizionario può confortarci in un procedimento di ammodernamento linguistico in questo campo? Solo la coscienza, forse, può essere di conforto, ma non certo letture giornalistiche e di vociologia teorica. Ma andiamo ancora oltre. La citazione e il riferimento trattatistico che scopo ha? Ecco, secondo me qui occorre il SENSO! e non mi riferisco a "significato", ma a "direzione". La direzione può essere quella di andare verso l'interno, cioè verificare quanto di "atemporale" c'è nel mio modo di esprimere il canto, scoprendo le verità che non sono di oggi o di ieri, ma di sempre, anche se espresso con linguaggi diversi, oppure utilizzare "esteriormente" i trattati per confermare il mio modo di cantare o le mie idee, indipendentemente da un fondamento di qualità che prima di tutto dovrebbe caratterizzarmi. In altre parole, io penso che il trattato o la citazione di questo o quel cantante o teorico restano un fatto assolutamente accessorio e di conferma ultima. Io cito spesso quelle due o tre frasi di Tito Schipa: "parole piccole", ad es. (che, mi conferma un mio allievo che ha conosciuto un allievo di Schipa, diceva veramente spesso): cosa vuol dire? Ognuno può intendere come vuole questa frase, e quindi effigiarsi come appartenente alla "scuola schipiana". Viceversa è così piacevole, quando si raggiunge un elevato, piacevole e libero modo di cantare, RICONOSCERE in quella emissione le parole di Schipa. E così altre frasi e modi di dire, che non ci insegnano realmente niente, ma ci confortano nei nostri traguardi, che umilmente e tenacemente vogliamo perseguire.

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