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sabato, marzo 17, 2012

"un folle t'accese..." elogio della follia 2

Ma veniamo a parlare di lui. Il maestro era molto cordiale e anche simpatico durante e fuori dalle lezioni, però non accettava niente che potesse considerarsi, direttamente o indirettamente, contestazione. Se lui proponeva un esercizio e l'allievo chiedeva, magari perché non stava tanto bene, di farne un altro, lui andava su tutte le furie. Ho assistito a momenti di tensione davvero opprimenti; lui non si arrabbiava nel senso comune, non urlava, ma ti faceva vergognare di essere lì in quel momento. Ho anche visto gente uscire sbattendo la porta (poi tornare), offesa, irritata, esasperata, e lui proseguire come se nulla fosse. La contestazione sta nelle cose. Io non ho mai avuto, per fortuna, questioni con lui, ma ricordo comunque, anche risentendo qualche lezione registrata, che qualche ombra di contestazione c'è stata, da lui non colta o comunque evitata. Poi c'era il "personaggio". Per chi non lo conosceva e lo incontrava la prima volta, proprio come capitò a me, dargli del folle poteva essere il meno! Attaccava bottone con tutti, se andava al ristorante o in spiaggia, e non su argomenti qualsiasi, lui attaccava subito con questione filosofiche, universali, teologiche, di fisica, e spesso la gente scappava, anche perché non aveva alcuna capacità diplomatica e gli ci voleva poco a dare qualche epiteto, non sempre eufemistico. Lui ha scritto in modo abbastanza chiaro questo suo tragitto in un appunto che ho ritrovato poco tempo fa. Iniziò a cantare da bambino, si innamorò dell'idea del canto, che era radicata in lui più della vita stessa. Iniziò a 18 anni a frequentare insegnanti di canto, e tutti, inderogabilmente sbagliarono, classificandolo tenore quando era baritono; questo contribuì a peggiorare la sua voce. Lui stesso dice: questa fu, nella disgrazia, una fortuna. Se uno dei questi avesse azzeccato e gli avesse messo più o meno a posto la voce, lui forse avrebbe cantato, magari anche solo in un coro, e il resto forse si sarebbe perso. Invece tutti sbagliarono e lui testardamente andò avanti, sempre peggiorando, perché sentiva che poteva arrivare a capire. I compagni dei corsi lo deridevano, così come la famiglia e gli amici lo allontanavano come un invasato. Poi ci fu l'avvenimento Giorgi, dopo quasi 18 anni di studi. Giuseppe Giorgi, grande tenore, già anziano, fece un concerto a Genova cui il maestro assistette e ne ebbe un'impressione di sbigottimento, perché nonostante l'età la voce era fermissima, sonora in modo incredibile, e soprattutto si espandeva in teatro come non aveva mai sentito, come se la voce arrivasse da ogni parte. Aprì una scuola di canto e lui si iscrisse. Anche lui sbagliò, non si dimostò un insegnante acuto, ma capì che Antonietti poteva diventare un buon insegnante e lo tenne. Questi, sempre più convinto di essere vicino alla soluzione, assisteva a più lezioni che poteva più che altro per sentire gli esempi di Giorgi, e cercare di catturarne l'imposto. Alla sera, persino di notte, andava nelle pinete, lontano da luoghi frequentati, per esercitarsi e cercare di capire cosa mancava. Un periodo tremendo, che sfociò in una improvvisa scoperta. Da un momento all'altro si trovò la voce fuori, completamente staccata dal fisico, facile e sonora come non aveva mai provato. Per diversi giorni visse come un sonnambulo, timoroso di perdere quell'imposto, ma ciò non avvenne. Si era ormai saldato in lui. In poco tempo capì di essere un baritono e che tutti avevano sbagliato. Poteva essere un avvilimento, ma invece no. Lui aveva scoperto l'esistenza di una dimensione vocale inconcepibile. Continuò a frequentare Giorgi e questi gli affidava anche suoi allievi, perché aveva anche capito che era più bravo di lui (mi confidò che, senza darlo a vedere, gli fece cambiare idea su un paio di classificazioni sbagliate). Questa scoperta fu come aprire una porta che cela un altro universo di cui non si conosceva l'esistenza! Lui si chiese perché era successo questo, cos'era quella sensazione di voce senza più difficoltà e come si poteva insegnarla. E di qui partì la sua "recherche" in chiave vocale e filosofica, perché la prima ben presto richiamò la seconda, e in breve tempo tutti gli fu chiaro, anche cose molto lontane da lui, sull'essere, sulla verità.... Negli anni 50 aprì una scuola a Firenze, dove ebbe cantanti di un certo prestigio, come la Casati-Scarlata, ma l'esperienza fu drammatica. Non riusciva a trovare un luogo dove insegnare perché c'erano sempre lamentele per il ruomore, gli allievi pagavano poco e raramente, ma ciò che più lo amareggiò fu che gli allievi, in una sorta di gelosia, non solo non gli portavano altri allievi, ma addirittura li allontavano. Quando si rese conto di questa situazione, chiuse la scuola e cessò per qualche tempo di insegnare, trovandosi un altro lavoro. Dopo qualche tempo riprese l'attività, ma dedicandosi solo alla musica leggera. Erano gli anni 60, le canzonette imperversavano, c'erano festival e concorsi ovunque, e i giovani che volevano mettersi a posto la voce tanti, mentre alla lirica in quel momento si pensava poco. In breve tempo ebbe un sacco di allievi, e siccome vincevano concorsi a raffica, fu chiamato spesso a presiedere giurie, e diventò un po' un'autorità nel settore. Inizia così una fase positiva per la sua vita. I ragazzi della musica leggera venivano portati dai genitori, facevano lezioni brevi, un'ora, pagavano ed erano sempre molto attenti e partecipi. Egli poté così far di nuovo conto su un reddito accettabile. Riprese così qualche ragazzo interessato alla lirica, senza poter avere, peraltro, un vero talento, fino agli ultimi della sua vita quando ebbe la grande soddisfazione di vedere alcuni suoi allievi, in primis la Fabbricini, calcare le tavole dei più prestigiosi teatri del mondo. Come scrittore di poesie ebbe moltissime soddisfazioni, vincendo concorsi, entrando in antologie e meritando onoreficenze, specie da parte dal suo paese natio, Sestri Levante.
A partire dagli anni 80, quando cominciò ad avere allievi di una certa bravura, iniziò anche a scrivere incessantemente di voce e di filosofia. Questo patrimonio, bisogna riconoscerlo, non è per tutti. Lui talvolta tesse le proprie lodi, e si presenta come un egocentrico e un visionario, motivo per cui gli scritti sono in mano solo di pochissime persone, a tutt'oggi. Ma conoscendo la sua storia, sentendolo parlare, sentendolo spiegare e illustrare tutte le sue scoperte, con quella semplicità e quella sicurezza che lo contraddistingueva (lui diceva e scriveva sempre di non avere meriti!), non si poteva rimanere indifferenti, e l'idea del "folle visionario" piano piano spariva, per far posto a una ammirazione, che non può essere idolatria, perché il pessimo carattere e le tante sue rappresentazioni soprattutto pubbliche, non possono farne un uomo concretamente da adorare, ma da rispettare e ascoltare con piacere e desiderio di apprendimento sì, e chi non ha questa forza, e bada più alla forma che alla sostanza, non sa cosa si perde, ma, lui sapeva e scriveva anche, tutto è parte della logica, e non ci può far niente.

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