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martedì, maggio 01, 2012

Propedeutica all'agilità

Per secoli la voce artistica è stata sinonimo di voce agile, capace di colorature iperboliche, funamboliche, fiati inesauribili, trilli perfetti, oltre che di eccellente pronuncia, significato sincero e profondo del testo. Quando si ascoltano le voci del passato, spesso si fanno erronei confronti, pensando che la patina falsa e coprente odierna sia il bello e il giusto, e non si coglie il puro, il semplice, il vero che il più delle volte emerge da quelle voci, a causa della opacità della coscienza di cantanti, insegnanti e cultori odierni. Già prima della metà dell'800 i maestri più importanti si lamentavano dell'impoverimento della scrittura vocale delle opere nuove e persino Mancini, quindi ancora nel '700, si doleva della scarsa attenzione degli insegnanti coevi verso alcune tecniche vocali, a partire dal trillo. Le agilità hanno avuto diverse epoche: il lungo periodo barocco, poi la crisi dovuta all'eccesso di agilità, più che altro fini a sé stesse, quindi una netta diminuzione dovuta anche all'emergere dell'opera buffa, poi nuovamente il breve momento di gloria rossiniano, e il lento declino fino al Verdi maturo. Sono in molti a pensare che il periodo post belcantistico, intendendo con questo il periodo dell'agilità e della coloratura, sia stato soppiantato, tra fine Ottocento e metà Novecento, da un'altra scuola di imposto vocale, ritenendo che ciò che serviva nel primo periodo risultava inadatto al secondo, partendo dal presupposto che il canto spianato necessitasse di più potenza, più rotondità e colore scuro. Queste cose sono in gran parte false e frutto di distorsione di pensiero e di seria comprensione del fenomeno vocale nella sua globalità. Se escludiamo il primo Seicento, dove effettivamente le orchestre erano piuttosto ridotte e i teatri di modeste dimensioni (e anche dotati di eccellente acustica, ma troppo facilmente infiammabili, ma il pubblico dotato di un livello uditivo migliore del nostro), non si può dire che dalla fine del '700 in avanti le cose siano poi cambiate così tanto. Verdi e Wagner, ma anche Catalani, Mascagni, Giordano e quant'altri - cosiddetti 'veristi' - scrissero opere nel secondo '800, con orchestre gigantesche e negli stessi teatri che frequentiamo ancor oggi, e i cantanti che eseguirono per la prima volta quelle opere, senza destar alcuno scandalo legato alla povertà vocale, provenivano dalle scuole del belcanto, erano capaci di agilità granitiche o perlacee, e anche di trilli di tutto rispetto. Quindi ogni teoria che voglia disgiungere le scuole di canto antico da quello più recente accampando teorie sulla sonorità della voce, sono del tutto destituite di fondamento, anzi, anzi, anzi! Noi siamo ad affermare l'esatto contrario, dove le scuole post belcantiste non basano le proprie teorie su nessun principio realmente artistico, ma esclusivamente di tipo ginnico-fisico-muscolare, escludendo proprio l'elemento fondamentale e principe della grande, perfetta emissione, cioè il fiato. Ma anche qui, capire cosa significa diventare "signori del proprio fiato", "virtuosi" della respirazione, è contesa spesso vuota, perché chi non lo sa non lo sa! Quante volte devo dire: i "se" non esistono. Pensare "prima" di fare, che una certa cosa non verrà, non sarà giusta, è solo un limite istintivo, perché il suono giusto non è conosciuto prima di essere emesso, e quando ciò avviene, pressoché tutti si meravigliano, perché accedono a qualcosa di ignoto e soprendente. Quanto sono inutili, eppure necessarie, le discussioni con quanti "credono" di conoscere la giusta emissione, eppure ne sono lontani anni luce, per quanto in buona fede e con giusto approccio. Allora una domanda-osservazione: le scuole di Tosi, Mancini, Garcia e Lamperti, basavano quasi tutta la loro attività sull'agilità, e molti (se non tutti) i loro consigli teorici avevano come obiettivo la capacità di emettere con invidiabile rapidità qualunque tipo di esercizio o vocalizzo o sillabazione; perché coloro che si rifanno a tali scuole evitano, trascurano tale principio basilare, e allo stesso tempo non considerano le necessità legate al canto romantico e tardo romantico, non significando, ciò, che occorre un'altra scuola, un altro "metodo" o "tecnica", tutt'altro, ma che bisogna anche completare o tenere di conto che i lunghi fraseggi piani, le intenzioni espressive, possono abbisognare di colori più scuri e intensità più accese. Questo non deve significare modificare le posizioni, le ampiezze, i principi di emissione, ma semplicemente allargare gli orizzonti. Ora partirò con uno o più post tesi ad analizzare il complesso ma affascinante, nonché fondamentale, mondo dell'agilità o coloratura.

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