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domenica, maggio 06, 2012

Una... belcantista?

Nell'accingermi ad affrontare il capitolo sull'agilità e virtuosismo, mi è tornato alla mente un personaggio piuttosto singolare nell'universo canoro degli anni passati, Nella Anfuso. Non è una cantante famosissima, almeno oggi, ma di lei si parla da almeno trent'anni, quasi sempre in termini negativi. Se aprite le poche esecuzioni presenti su youtube potrete vedere la mole di insulti e scherni rivolti al suo modo di cantare. Peraltro esiste un "fan club" a lei dedicato, e ho potuto constatare direttamente l'esistenza di alcuni agguerriti sostenitori del suo canto e dei suoi insegnamenti. In tutta onestà non ce la faccio a considerare le esecuzioni della Anfuso esemplari e specchio di un modo di cantare rappresentativo di un'epoca. Però devo dire che trovo questa persona molto colta e coerente. Ha fondato un'accademia, presieduta da un musicista di chiara fama qual è Arturo Sacchetti, e i suoi interventi scritti non denotano né saccenza né manipolazione delle fonti. Devo dire che sicuramente è una persona con una preparazione e un'idea sicuramente molto fondata di cos'era il belcanto o canto figurato, avendo concentrato la propria ricerca sia di tipo culturale sia musicale e tecnico vocale su quel periodo. Inserisco di seguito due suoi interventi:

... Il buon Rossini, che nel 1858 lamentava la mancanza di esecutori per Cimarosa e Bellini, scrive qualche anno dopo, nel 1864, al figlio dell’amico Nicola Vaccai: “nessuno più di lui ha saputo comporre per le voci umane. Se vivesse il povero amico sarebbe infelice di dover assistere all’invasione ognor crescente degli sforzi e degli urli”. Immaginare cosa farebbe il nostro Gioachino se vivesse oggi!

Giustamente il Leonesi poteva notare nel 1904: “Col sistema moderno, facendo doverose eccezioni, regna lo sforzo, anzi la violenza, ed in breve lo sfiatamento”.

Della “plurisecolare” emissione italiana e le sue conseguenti caratteristiche tecniche, sia espressive che virtuosistiche, era rimasto un tenue filone in via di estinzione, come aveva ben compreso il Leonesi: “Con l’unione dei registri, come l’intendeva l’antica scuola, era possibile ottenere dalla voce umana una grande espressione insieme alla purezza di suono e di intonazione, con il più lungo fiato possibile”.

Già nel 1861 era stato organizzato a Napoli un Congresso sulla situazione vocale in Italia: vi si affermò che, per rendere migliori le condizioni del Canto, bisognava attenersi, più che fosse possibile, alle antiche tradizioni e ne raccomandava il rispetto e l’osservanza.

Faccio notare che il 1861 è l’anno della unificazione, pur incompleta, dell’Italia. Ciò la dice lunga sulla sensibilità degli spiriti del tempo!

Alcuni decenni dopo il Leonesi ritorna sulla necessità del recupero per l’Italia della propria identità vocale:

“Ora che il pubblico è stanco di sentir gridare, a me pare che il momento sia propizio per porvi definitivamente riparo. Che un direttore di un Conservatorio o d’una Scuola musicale si prefigga lo scopo di far rispettare scrupolosamente, ora che sono spiegate, tutte le regole della grande scuola. E pochi anni basteranno a formare dei veri cantanti che serviranno poi come modello alle generazioni veggenti. Ho la convinzione d’aver fatto tutto quello che dipendeva da me. Il ministro dell’Istruzione Pubblica, che deve anche tutelare le belle arti in Italia, provveda al resto”.

Il problema della nostra epoca è la mancanza di conoscenza specifica dell’arte vocale: la situazione è veramente disastrosa, forse al punto di non ritorno. ...
Insomma, ancora una volta ci troviamo a condividere delle idee e dei punti di vista, ma sempre tutto su un piano di teorie e idee! Quante energie e quanto tempo non dico sprecato ma quantomeno poco e mal utilizzato! Ma purtroppo, da sempre, il campo dell'Arte è un campo di battaglia. Mi piacerebbe proprio sentire come coloro che si ritengono unici fondamentali possessori dei principi belcantistici, a singolar tenzone, cercherebbero di far valere le proprie idee. Beh, qualcuno, pur conoscendo a menadito metodi e trattati, credo sappia poco e niente di agilità e virtuosismi, tenendosene sempre lontano, altri, più correttamente, ne sanno parlare e sanno anche esemplificare con molta varietà, pur lasciando molti dubbi e direi anche perplessità sull'avere appreso i principi di emissione necessari.

Inserisco comunque ancora un piccolo estratto della cantante siciliana:

La lingua Toscana nella sua caratteristica sonora, con l’equilibrio delle risonanze dei due registri naturali di petto e di testa o falsetto, ha permesso, nel tempo e lentamente, la costruzione del perfetto strumento vocale ottenuto con la realizzazione della fusione totale dei due registri naturali e la conseguente creazione di un unico registro.

Ma è il platonismo fiorentino del secolo XV che pone le basi di ciò che uno studioso, Luigi Leonesi definisce, nel 1904, “una trovata di genio, miracolosa”, poiché è il recupero del predomino, totale e totalizzante della parola, nella sua essenza “sonora”, sul linguaggio musicale, che determina la costruzione, tutta italiana, dello strumento vocale perfetto.

È per questo motivo che solo l’Italia sviluppa una Vocalità, sia dal punto di vista espressivo che tecnico, che non ha eguali nella storia mondiale e che domina l’Europa musicale fino ai primi decenni del XIX secolo.

Ed è ancora il platonismo fiorentino del XV secolo che permette all’Italia la creazione di un patrimonio polifonico e monodico immenso ed unico per valore oltre alla realizzazione dello “stile rappresentativo” o “fiorentino” (che niente ha a che vedere con l’Opera che si sviluppa proprio in concomitanza con l’esaurirsi del platonismo, nella metà del Seicento).

Non potremmo sottoscrivere queste parole anche noi? Ed ecco, quindi, che ancora ci troviamo ad affermare che le parole sono solo un mezzo di orientamento, ma ancor più spesso di confusione e di inganno. Leggete sempre, molto e bene, ma poi rivolgetevi alle persone e cercate conferme nella pratica, nel rapporto vivo.

5 commenti:

  1. Ho ascoltato su youtube alcune registrazioni di brani cantati da questa Nella Anfuso... Mi chiedo se ci sia una particolare ragione "filologica" per cui le agilità vengano sostituite con tutto quello sgallinacciare picchettato e con quei gargarismi ribattuti, non saprei come altro definirli. Non ne capisco proprio il senso... a me sembra una parodia.

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  2. Leggevo proprio ieri sul Mancini alcune frasi intorno al pericolo di imitare la chioccia che ha fatto l'uovo, come appare in questo caso. Siamo un po' sempre allo stesso punto: leggere libri, anche con le migliori intenzioni, con onestà e perseveranza, non potrà mai, e dico mai, portare alla coscienza di un'Arte. Costei ha letto, ha interpretato, ha cercato di mettere in pratica quei suggerimenti e quelle tecniche, ma se poi il livello di emissione è modesto o addirittura scarso, se non c'è alcuna coscienza e alcuna autocritica rispetto a come si canta, dove si può andare? Io ricordo benissimo di alcune magre figure fatte in altri campi, dove credevo di avere certa abilità, e fui invece sbugiardato dai fatti. Però ci sono persone che anche di fronte all'evidenza continuano imperterriti a proclamare le proprie straordinarie capacità. Ma dovresti sentire le iperboli: dice di saper trillare per 3 ottave senza prendere fiato! Invece di questo pollaio poteva mettere in rete un'esecuzione di questo tipo, no?

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  3. "È l'unica vocalista di epoca moderna ad eseguire i venticinque trilli con un solo fiato previsti da un'aria di Farinello, Quell'usignolo che innamorato, una delle poche di questo cantore che conservino le variazioni e le cadenze originali con il da capo"

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  4. Una voce di estensione e di virtuosismo inauditi s’insinuava nella linea solista, contagiava lo strumentale e lanciava Vivaldi alle stelle, faceva intendere a chiunque avesse anche solo orecchio e “gusto”, che così “doveva essere”. Nella Anfuso era la traduzione in atto dei comandamenti di Doni e Tosi. Gli altri e le altre, passi falsi o incerti.
    Anche cronologicamente siamo alle origini di tutto. Rivediamo Lorenzo il Magnifico che canta con Marsilio Ficino e Baccio Ugolini, primo interprete dell’Orfeo di Poliziano. Che in una lettera del 1488 ci descrive quel che nel canto di Nella Anfuso, grazie all’éra della riproducibilità dell’arte, possiamo ascoltare: “..Fu la voce non del tutto di uno che leggesse e non del tutto di uno che cantasse, ma avresti potuto sentirvi e l’uno e l’altro e pure distinguere l’uno dall’altro; era tuttavia o piana o modulata, mutando come lo richiedesse il passaggio, ora variata ed ora sostenuta, ora esaltata ed ora moderata, ora sedata ed ora veemente, ora rallentata ed ora accelerata, sempre precisa, sempre chiara e gradevole…”.
    Ma ecco cosa dice in campo più squisitamente tecnico: La creazione del suono, cioè far risuonare le vocali sia sole che accoppiate alle varie consonanti, utilizzando i risonatori superiori, esclusivamente, determina la fusione dei registri, la grande estensione di tre Ottave ma anche la realizzazione degli stili (cacciniano, monteverdiano, canto fiorito etc.), come spiegano chiaramente gli Antichi a cominciare da Monteverdi.

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  5. Ogni nota per risuonare deve essere “appoggiata” nei risonatori superiori; ciò determina un canto della parola ed infatti gli Antichi utilizzano il termine “pronunciato”: è un canto della parola appoggiato e legato dal fiato. Ogni suono quindi è pronunciato e legato: la velocità del canto determina la predominanza del legato in un tempo lento e la predominanza del pronunciato (detto anche spiccato- in maggioranza - o staccato) in un tempo veloce. Ecco perché nel canto figurato in tempo veloce le note risultano“spiccate” cioè pronunciate cioè staccate. Ed è la virtuosità la quale non è poi difficile (relativamente), viene spontaneamente se si possiede la emissione antica! Naturalmente bisogna sempre essere superconcentrati sulla emissione e controllare il perfetto appoggio che dà anche la perfetta intonazione.
    Cosa intende per appoggio ai risuonatori superiori? Boh!!
    Ancora una citazione:
    Ti rispondo con le parole di Platone (Repubblica): “fra la parola parlata e la parola cantata non c’è differenza”. È questa la frase che sta alla base della estetica della Seconda Pratica dei Peri, Caccini, Monteverdi e tanti altri grandi autori della stessa epoca. È il momento in cui maturano in ambito musicale i frutti del platonismo fiorentino. Ecco il predomino della parola e la sua libertà nella pronuncia (la sprezzatura), ecco il musicista che segue le intonazioni musicali della parola da cui la necessità del cantore di essere eccelso anche nella declamazione poetica. Se non si è maestri nella declamazione poetica non si potrà mai realizzare musicalmente la Seconda Pratica, lo stile rappresentativo (nel significato di rappresentazione delle passioni umane e NON di presenza sulla scena-Caccini lo dice chiaramente-). Ancora nel Settecento i grandi teorici raccomandavano lo studio e la pratica della declamazione poetica a voce alta per ben realizzare i recitativi (che oggi vengono strascicati cantando -sic!): Ed io nei lontani anni dello studio ho molto approfondito e praticatostudiato la declamazione parlata della poesia. Del resto la prima interprete dell’Arianna è stata una attrice – cantatrice (scelta appositamente da Monteverdi, il quale aveva a disposizione in Italia le migliori cantatrici del mondo). Gli attori oggi purtroppo non studiano più, come si dovrebbe, lo studio della declamazione poetica che richiede: molto fiato, risonanza superiore e voce quindi pura e sonora, conoscenza del tempo naturale fonetico delle sillabe e e delle consonanti che permette il fluire naturale dei tempi della pronuncia. Come vedi la declamazione di un Petrarca parlato o cantato (Seconda Pratica) segue la stessa impronta basilare.
    Allora: da quanto sentiamo la Anfuso canta come parla? lega le parole? A me pare che sia lontana anni luce da un simile obiettivo, ci sono andati molto più vicini Del Monaco e Di Stefano!!!! dunque?? Parole, parole parole...

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