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giovedì, settembre 13, 2012

Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo....

Chi non è interessato alle disquisizioni di tipo filosofico, è invitato a saltare questo articolo. Perfezione ovvero Verità ovvero Arte. Ritorno a un vecchio esempio che reputo sempre efficace: la "O" di Giotto, ovvero un disegno di estrema semplicità visiva ma che risulta pressoché impossibile da riprodurre a mano libera, senza ausilio di strumenti meccanici. Se si facesse un'indagine, presumo che una buona parte delle persone intervistate risponderebbe che, per quanto si sia bravi, proprio un cerchio perfetto sia impossibile da disegnare a mano libera. Una parte minore forse risponderebbe che potrebbe essere possibile ma richiederebbe un tempo di addestramento lunghissimo, e pochissimi, forse nessuno, risponderebbe che è possibile e basta! Prendiamo un momento il secondo campione, cioè coloro che lo ritengono possibile con molti dubbi; in cosa consiste il dubbio? nel fatto che occorre un'esercizio lungo e costante. In altri termini, se uno prova a disegnare un cerchio, le prime volte verrà una schifezza, poi provando e riprovando verrà sempre più preciso. Se dovessimo rappresentare questo progresso graficamente, vedremo in un piano cartesiano una curva che si avvicina a un asse che noi individuiamo come la perfezione, all'infinito, senza mai incontrarlo. E' quella che si definisce funzione asintotica.

Tale immagine è anche riflessa, vale a dire che se l'esercizio viene meno, la curva tornerà ad allontanarsi dall'asse.
In pratica le persone che hanno questo concetto di Arte in realtà non ne hanno alcuno, semplicemente ritengono che l'arte sia una tecnica, o "la" tecnica che consente a un uomo di acquisire o sviluppare una capacità in modo particolarmente evidente. Accanto a questo quasi sempre c'è anche la relazione con le doti naturali, cioè si presume che si potrà arrivare a un risultato eccelso SE (cioè SOLO SE) esistono delle doti innate, altrimenti è praticamente impossibile. La domanda a questo punto può essere: perché la curva si avvicina all'asse ma non lo tocca? Cioè perché la perfezione è irraggiungibile? E anche qui la risposta comune sarà: perché l'uomo è imperfetto, solo Dio è perfetto, dunque anche il solo pensare di poter raggiungere la perfezione è un peccato d'orgoglio. Alcuni, anche cristiani credenti, non la pensano così, perché ritengono che Dio abbia concesso comunque all'uomo la possibilità di esprimersi anche a livelli di perfezione, essendo creato a sua immagine e somiglianza (su questo si scatena sempre un diluvio di contestazioni, ma a noi interessa poco approfondire in questa sede l'argomento specifico e andiamo oltre). Comunque qui la strada ha due possibili alternative: la perfezione è possibile, la perfezione è impossibile. Se si assume il secondo atteggiamento è evidente che la questione è chiusa e ogni prospettiva sbarrata. Se non sono interessati a una possibile alternativa (magari proprio per questioni religiose), questi soggetti non possono dialogare con noi e serenamente ci lasciamo. Parliamo dunque con coloro che in qualche modo la ritengono possibile, anche se in genere in loro c'è un'idea alquanto vaga e dubbiosa. E' ovvio che sia così, la perfezione, la verità e l'arte non si possono immaginare o prevedere, perché altrimenti sarebbe anche facile raggiungerle. Però esiste, fortunatamente, l'intuizione. Ma l'intuizione non è "il caso" bensì una condizione soggettiva interna e questo perché? Perché è la verità stessa ad essere una condizione soggettiva interna, ovvero un'esigenza della conoscenza (possiamo anche definirlo spirito) che "preme" e cerca di manifestarsi per riconoscersi tale. Una condizione conoscitiva alta svilupperà più forza e quindi il soggetto si sentirà come "assediato" da un desiderio incontenibile di raggiungere un determinato obiettivo (che non è quello di esibirsi o diventare famoso!): scrivere, disegnare, inventare, suonare, cantare, costruire, scolpire, ecc. (quando questa condizione è molto accesa, il soggetto può essere anche definito un pazzo, un maniaco, uno squilibrato...). E' ovvio che tale possibilità è legata anche fortemente alle condizioni esterne in cui si troverà a vivere; un ambiente deprivato, povero, malsano, malavitoso o privo di strutture, creerà impedimenti fortissimi alla realizzazione di un'arte. Capita, però, che la forza interna sia così potente da riuscire a vincere anche le condizioni avverse, ma certo sono fatti rarissimi e storici. Non si pensi, però, che in un ambiente agiato e culturalmente elevato le cose vadano meglio, perché esiste sempre un istinto di massa, che tende ad impedire lo sviluppo di condizioni conoscitive elevate perché "pericolose" alla verità stessa. Se tutti conoscessero la verità, sarebbe il caos, perché l'ambiguità, il dualismo in cui viviamo per ogni cosa, che è il motore dell'esistenza, l'energia alimentante, verrebbe a cessare! Quindi l'esistenza stessa non avrebbe più senso e teoricamente si imporrebbe il nulla, il che è impossibile per motivi un po' difficili da spiegare qui, diciamo: una contraddizione in essere. Quindi la verità non è qualcosa che si "cerca" ed eventualmente si può o meno trovare, ma è una condizione interiore di alcuni soggetti che si sentono spinti a coltivarla. Siccome le conoscenze elevatissime sono pochissime e rarissime, dobbiamo partire dal fatto che quasi nessuno si troverà nella condizione di riuscire autonomamente a sviluppare quest'arte e dovrà giocoforza affidarsi ad altri (o perlomeno "anche" ad altri). In alcuni casi, diciamo buoni, il soggetto può anche appoggiarsi a persone non particolarmente valide, ma da cui imparano come "non" fare. Se riescono a capire quando sono sulla strada sbagliata, è già un grosso passo avanti; ovviamente però ci vorranno anche casi positivi e importanti. Certo il caso migliore è quello di incontrare un autentico Maestro, che abbia lui stesso sviluppato quell'arte, e allora se una buona condizione conoscitiva ne incontra un'altra, il gioco è fatto! Ma una buona conoscenza può anche far "sintesi" di tante esperienze positive e negative, distillando, valutando non a caso ma sulla scorta di un confronto continuo.
La verità è soggettiva. Tutti, ciascuno di noi, nessuno escluso, si esprime ed esprime continuamente verità. "sei bella, sei brutto, sei scemo, sei piccolo, non sai niente, non hai capito niente, quanto sei intelligente, è grande, è bravo, è luminoso, è ingolato, è stupendo, sono sicuro...". Ciascuno esprime la sua verità sulla base della sua conoscenza, non intesa come "cose che sa" ma inteso come "il suo livello è quello". Dunque ciascuno esprime la verità conseguente il proprio livello, e naturalmente difenderà strenuamente QUEL livello, per cui se una condizione 10 esprime una verità 10 e una verità 20 esprime la sua, il primo attaccherà e darà del pazzo visionario al secondo, perché non è in grado di capire il suo livello; il secondo capirà invece la condizione del primo, proverà magari a "portarlo" a un livello più elevato ma potrà arrendersi quando ne saggerà il limite. Questo limite lo possiamo anche chiamare istinto, ma l'istinto non è che agisce a livello 10 o 20, ma agisce a partire da un livello più basso e soggettivo legato alle condizioni psico-fisiche. L'istinto, dunque, agisce a livello fisico, rendendo difficile una certa attività (disegnare, scolpire, cantare, suonare, scrivere...) ma anche psicologico, "annebbiando", diciamo così, le prospettive di apertura, di sviluppo, di progresso. E' questa nebbia, naturalmente, che impedisce a tutti di poter dire con sicurezza: la perfezione c'è o non c'è! Si tratta ora di capire in cosa consista realmente l'arte e come si possano superare gli ostacoli, posto che si pensi che ciò sia possibile!

Dalla premessa dobbiamo escludere che la perfezione sia "semplicemente" un esercitarsi all'infinito. Essa non è LA tecnica. Dunque la cosiddetta tecnica, che noi preferiamo definire disciplina, è un mezzo e non il fine. Però anche detta così non è che ci dia una soluzione. Sappiamo che comunque l'esercitarsi, e anche tanto, è sempre indispensabile. Ciò che cambia è il senso dell'azione esercitante. Se io mi esercito perché esercitandomi miglioro, mi avvicinerò all'asse, ma non lo raggiungerò mai, invece l'esercizio svolto "perché", si pone in una prospettiva del tutto diversa. Cerco di spiegarmi meglio: L'insegnante mi esorta a fare una scala di do. Io faccio una scala di do, viene male e me la fa rifare, e quindi la rifaccio, ecc. finché l'insegnante la ritiene accettabile (è lo stesso discorso dei cerchi visto all'inizio); oppure: l'insegnante mi esorta a fare alcuni suoni e l'allievo chiede "perché?", oppure l'insegnante spiega, ancor prima, il perché (meglio la prima, però!). Allora: l'insegnante sa perché si fanno quei suoni? perché li fa fare? perché in un determinato modo? Facciamo esempi legati al canto: fai la scala di do, apri la bocca, oppure non aprire la bocca, apri la gola, oppure: gonfia il torace, oppure gonfia l'addome, oppure premi sulla laringe, oppure pensalo in testa, oppure: pensalo nella nuca, oppure, premi sulle reni, oppure, irrigidisci i muscoli pelvici, oppure: stringi le natiche, oppure: imita un asino, imita un bue, pensalo tra gli occhi, pensalo davanti al naso, e così via. Tutti questi consigli... perché? In alcuni casi: perché così lo metti in maschera, perché così lo appoggi, perché così è più ampio, perché così è più bello, perché così è più forte, così è più ricco, così è più lirico, così si sente più lontano, ecc. Secondo livello: perché? Perché tutti fanno così; perché lo dicono tutti i grandi maestri antichi, perché a me l'hanno insegnato così e funzione, perché conta il risultato e in questo modo il risultato c'è, perché se senti come canta Tizio o Caia o Sempronio, senti che fa così, perché si sente, ecc. ecc. Cioè, in parole povere, già al secondo livello siamo al piano della fuffa! Non parliamo poi se entrano di mezzo i foniatri e i loro sostenitori!: perché se la laringe è così, il suono è cosà, se il velopendulo fa cosù il cricoide fa cosè, e su questo glisso perché non c'è da perder tempo. In effetti, con tutti i difetti, i "perché" delle scuole empiriche, appunto perché in qualche modo, molto confuso e pasticciato, si sono diffusi anche da cantanti di enorme bravura, hanno più efficacia che non le vuote e insulse spiegazioni pseudo scientifiche.

Come abbiamo più volte segnalato, quindi, nessuna scuola a noi nota riesce a dare un perché alla disciplina, agli esercizi, alle difficoltà anche evidentissime che si frappongono a un canto di alto rango. Dunque se io insegnante chiedo all'allievo di ripetere una breve frase, lui o lei la farà e io dirò che ci sono degli errori e li segnalerò. Ad es.: la frase è male articolata, alcune vocali si sentono troppo e altre troppo poco, alcune consonanti sono poco sonore, alcune vocali sono pronunciate male (una O sembra una A, una I sembra una E) e così via. A questo punto l'allievo ripeterà la frase cercando di migliorare gli errori che ho evidenziato. Se l'atteggiamento è questo, io non sto che ripetendo il modello "tecnico", cioè informo l'allievo delle imprecisioni e le correggo, e così ci avviciniamo all'asse della perfezione, ma non ci arriveremo mai. Il punto di svolta sta nel "perché!". Per quale motivo ci sono quegli errori? La scuola d'arte, la disciplina, non sta tanto e solo nel ripetere gli esercizi cercando di migliorare e correggere ciò che non va, ma nel prendere coscienza di ciò che ci impedisce di ottenere il perfetto. La semplicità non è dire cose semplici, ma è ottenerle!! L'insegnante artista spiega all'apprendista disegnatore perché non riesce a fare una "O" senza "il bicchiere", e che non è facendo milioni di cerchi che ci riuscirà, ma avendo coscienza del motivo per cui non ci riesce e sviluppando una disciplina che non "forzi" la mano a ottenerlo, perché raggiunta la tolleranza del suo istinto, il miglioramento cesserà, ma mettendo in atto delle strategie che superino il "motivo" dell'impedimento.
Esistono i registri nel canto. Alcuni lo negano facendo discorsi piuttosto fumosi e contraddittori, ma è un fatto che qualunque voce incontri nell'ascendere e/o nel discendere di tonalità, nell'aumentare e nel diminuire di intensità, delle variazioni di colore, di timbro, di "spessore", di intensità e di carattere molto accentuato. Grosso modo tutti sanno questo, tutti in qualche modo cercano di porvi un rimedio ricercando una voce omogenea, alcuni studiano le motivazioni fisio-anatomiche, alcuni esperiscono metodi fai da te empirici più o meno rozzi, alcuni se ne fregano e cantano come la va la va (e a volte la va pure bene!), ma quanti si sono chiesti PERCHE' esistono i registri nella voce (manco fosse un organo o un qualunque strumento meccanico) e dato il perché COME si debba fare per annullarli?

Da quando frequento internet e i luoghi in cui si parla di canto, ho sempre avuto l'onestà e il buon costume di dire a quei ragazzi che mi ponevano domande, che non volevo mettermi tra loro e il loro insegnante, salvo alcuni rari casi in cui con molta evidenza c'erano problemi che rischiavano il patologico. I miei allievi possono testimoniare che io ho sempre detto loro che non avrei nulla in contrario se un giorno decidessero di andarsi a fare sentire da uno o più insegnanti e che non c'è alcun problema se poi vogliono tornare, e che non toglierei loro il saluto (o l'amicizia!) se continuassero a frequentare un'altra scuola (preferirei comunque non lo facessero di nascosto). Questo perché so che questa scuola non è per tutti e so che per ognuno può esserci una scuola più o meno adatta; io non sono geloso e sono più felice se so che un allievo è contento di frequentare una scuola che gli dà soddisfazioni, che stare qui a penare per tanto tempo!
La verità è un cerchio chiuso, e il cerchio chiuso è il silenzio. Io so di aver chiuso il cerchio, il percorso della verità canora in me non ha punti di partenza e di fine, è un eterno fluire, ogni fine è un inizio, qualunque domanda mi si ponga, nella mia mente entrano in relazione immediata tutti gli elementi che fanno della voce un'arte, senza dubbi. E' presunzione? Mania di grandezza? può darsi, ma la questione è che questi benedetti criteri nessun altro li ha mai manifestati! I perché di Antonietti saranno pure di Antonietti, ma chi altro li ha saputi esporre con tanta lucidità, chiarezza, relazione, dimostrando in persona e nei fatti di esserne padrone?

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