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martedì, novembre 20, 2012

Me vojo fa na casa

Per quanto non ritenga la metafora il massimo dell'insegnamento del canto, credo che qualche utilità possa averla. Allora, nel parlare e nel cercare di spiegare, mi è sorta questa analogia che vado ad illustrare.
Se pensiamo alla voce come un edificio, possiamo ipotizzare che più è alto, o più piani ha, e più è sonora, intensa, diffusiva. Ciascuno di noi nasce con una certa struttura fisica e una certa disposizione anatomica e fisiologica, e quindi avrà in dote una voce che può essere paragonata a una casa con molti piani, quindi molto sonora, penetrante, persino assordante, o povera, piccola, di modesta portata. Un edificio deve la propria stabilità alla bontà delle fondazioni su cui poggia, che sono relative alle dimensioni dell'edificio stesso e al tipo di supporto su cui poggia (terreno, roccia, sabbia...). Quando si progetta un edificio, si calcolano le fondazioni (comunemente dette fondamenta) in primo luogo in rapporto alla consistenza del terreno, e in base al numero di piani che si intendono costruire. Se si vuole costruire una casa a due piani, si faranno fondazioni adeguate, ma se dopo un certo numero di anni al proprietario venisse in mente di soprelevare, bisogna vedere se quella base è sufficiente a sopportare un altro piano o no; se non è stato preventivato, il rialzamento diventa alquanto problematico da realizzare, e persino impossibile, comunque sempre molto costoso e complesso, non scevro da rischi. Nella voce ci possiamo trovare in queste condizioni: persone con una voce possente, quindi paragonabile a una casa con molti piani, ma con fondazioni inadeguate, oppure case piccole con più o meno buone fondazioni. Molto raramente ci si trova nell'idilliaca condizione di avere entrambe le strutture ideali e rapportate, direi persino mai. Succede allora ciò che succede sempre ai cantanti che partono alla grande, fanno enormi successi e dopo pochi anni già sono alla frutta. L'edificio piano piano affonda e si ripiega su sé stesso finanche a crollare. Ciò che si può fare nel canto, al contrario del campo edilizio, è sviluppare e rinforzare le fondazioni ogni volta che si intende aggiungere un piano. Quando una voce si trova nel primo caso esposto, cioè molti piani con fondazioni inadeguate, è la condizione più difficile, perché il cantante sente di avere una voce, la forza della gioventù gli consente di sostenere con una certa disinvoltura, se la voce è anche bella si troverà ammaliato da amici e parenti che lo osannano, che nutrono il suo narcisismo, il suo ego, accetterà facilmente proposte superiori ai propri mezzi e in breve andrà incontro a declino. La voce piccola sarà più propensa allo studio per potersi sviluppare, e il buon maestro saprà educare contemporaneamente il suo fiato-diaframma, cioè la base, che permetterà nel contempo di ampliare l'intensità, la sonorità, l'ampiezza, l'estensione.
Sono partito da questa analogia, in realtà, per cercare di spiegare un altro quesito che spesso viene posto e a cui raramente viene data una risposta chiara ed eloquente.
La voce parlata non è solitamente facile da sentire in un grande spazio; è d'uso dire che un cantante poco dotato, che si sente poco, nel teatro d'opera, "parla". Altra questione di poco superiore, ma anche questo in uso quando un cantante è deludente: "sembra un cantante di musica leggera". L'idea, dunque, è che la parola sia "povera", e solo il cantante di musica leggera, il "canzonettista", possa usarla nel canto senza inconvenienti in quanto aiutato dal microfono. Si fa largo, pertanto, l'idea che per passare al canto "stentoreo", da teatro, da grande palcoscenico con grandi orchestre, si debba ricorrere a qualcosa di diverso, di più meccanico, strumentale e più vicino al suono inarticolato che alla parola.
Ovviamente questo ragionamento è terribilmente sbagliato, illogico e senza senso, ma si è talmente radicato nell'opinione soprattutto di chi è vicino al mondo del canto, ma pure nell'opinione pubblica, che la logica si è ribaltata e sembra che sostenere questa verità sia raccontare favole, affermare una orribile scemenza, nemmeno da discutere!!
La voce parlata è la nostra casetta; in genere abbiamo tutti metaforicamente una casa a un piano o due, ma questo conta comunque poco. Ciò che ci preme sondare è la consistenza delle fondazioni, cioè quanto la base del fiato è in grado di reggere. Passando dal parlato comune a un parlato più ricercato, ben legato, con gli accenti giusti, le giuste intonazioni espressive e affettive, già ci troviamo in difficoltà, e occorre allenare, educare il nostro fisico a reggere questa condizione. Passando poi all'intonazione di frasi parlate, il problema si manifesterà maggiormente. In genere il cantante di musica leggera a questo punto potrebbe già fermarsi, se non ha pretese particolari, perché con l'ausilio del microfono non sente l'esigenza di migliorare e aumentare sensibilmente la qualità e le caratteristiche del proprio canto. Per gli altri inizierà, invece, il vero cammino verso il grande canto, il virtuosismo, l'esemplarità, il magistero vocale. Noi dobbiamo far conto di essere a questo punto con una casetta dotata di piccole fondazioni, e lavorare per irrobustirle, ovvero eseguire, sotto attenta vigilanza, tutti quegli esercizi che permettono al fiato di appoggiarsi il meglio possibile al diaframma, che costituisce, almeno per un primo, ma lungo, periodo di studio, la base della voce. Purtroppo, al contrario delle fondazioni vere, che se ben progettate svolgeranno sempre il proprio dovere, la base del fiato non poggia su un "terreno" inerte e prono alle esigenze vocali, ma su qualcosa di vivo e reattivo che mal accetta la nostra costruzione. Questo significa che le nostre azioni non devono dirigersi sempre e solo nella direzione di pesare, di comprimere staticamente, come avviene in edilizia, ma dovranno aggirare l'ostacolo utilizzando la dinamica, cioè premendo e rilasciando ad es. - o togliendo del tutto o gradatamente, e soprattutto utilizzando ciò che esse - fondazioni - sono abituate a sostenere per natura, cioè il parlato. Ecco, dunque, che quando io avrò appreso su una modesta tessitura, quella centrale o meglio quella dove sono abituato a parlare (diciamo: tessitura "comoda") a sostenere il canto intonato con facilità e impeccabile correttezza, io avrò la certezza di aver costituito la fondazioni per quel piano, e che esse sono "eterne", cioè da lì non si torna indietro, perché assorbite dalla nostra natura, che non le percepisce più come qualcosa di estraneo, di forzato, di indesiderato e fastidioso - di cui, quindi, liberarsi appena possibile - ma qualcosa che, seppur impegnativo, non turba l'equilibrio psicofisico del soggetto. E a questo punto io posso iniziare a innalzare la mia costruzione a un secondo piano o livello, cioè una tessitura più elevata (parliamo di SEMITONI!, non di terze, quinte o ottave, si badi bene!). Credo che poche persone nella Storia abbiano avuto la coscienza di avvertire quanto un solo, semplice, semitono, possa modificare e rendere difettosa una semplice frase cantata che solo un semitono prima (e sto parlando anche solo del centro vocale) sembrava immacolata e meravigliosa. Alzarci di un semitono vuol dire porre sul diaframma un uniforme peso in più, che, dopo aver accettato il peso precedente, torna a ribellarsi a un nuovo incomprensibile lavoro. E noi dobbiamo tornare a lavorare con la voce, con la testa, con la psicologia e l'intuizione, affinché anche questo "piano" possa trovare il pieno e incondizionato equilibrio statico e dinamico grazie a un fiato che avrà modificato il proprio assetto in relazione al diaframma (il "terreno") e rispetto allo strumento (c.v. + forme, che rappresentano l'edificio). In sintesi, noi, con infinita pazienza, dobbiamo alzare un piano alla volta, permettendo a ogni "step" di costituire la base ideale, irrinunciabile per una vocalità di alta classe. Naturalmente ognuno ha in sé già un potenziale palazzo, per qualcuno sarà un grattacielo, per altri una palazzina; ognuno dovrà accontentarsi di ciò che possiede, ma che potrà comunque manifestare al meglio.
Rinunciare alla parola o farla passare in sottordine a favore di suoni vocalici o, peggio, intervocalici, non può portare a qualcosa di più robusto, di più solido ed efficace, non c'è alcuna spiegazione del perché ciò dovrebbe avvenire, ma al contrario, sappiamo che il suono, in quanto astratto, privo di esigenza espressiva e affettiva, non può che contribuire al rigetto e alla ribellione da parte dei nostri organi. Ciò che, con delusione ed orrore, dobbiamo constatare, è che spesso il prodotto di questa ribellione e di questa forza e controforza (cioè il cantare gridando, di fibra, affondando, ecc. e la reazione diaframmatica che cerca di sollevare; nasce una incredibile situazione che potrebbe persino definirsi comica: una persona che tira una porta da una parte e dell'altra, sdoppiandosi! e contraddicendosi) è considerato un effetto piacevole e quasi necessario perché si possa parlare di canto lirico o operistico. Cioè se non ci sono sforzo, muscolarità, confusione lessicale, difficoltà e persino limite di emissione, si parla di canto "leggero" anche se la voce si diffonde, è sonora, bella, comprensibile, musicale, significativa, squillante... ecc. Vedo, leggo, abbastanza spesso di persone che sembrano pensarla come me, come coloro che frequentano questa scuola e che condividono quanto vado scrivendo, ma ho spesso dei dubbi su ciò che queste persone hanno realmente in animo. Celletti era capace di osannare Schipa al limite dell'incensamento, e quotare a un livello analogo cantanti imbarazzanti. Ricordo alcune recensioni di un giornalista che scriveva recensioni dei concerti di Celibidache da piangere per quanto riusciva a descriverne la perfezione esecutiva, e che pochi giorni dopo era capace di scrivere analoghe apologie per direttori per cui non ci sarebbe da sprecare un soldo bucato. Allora come la mettiamo? Celibidache disprezzava i recensori, li considerava semplicemente persone che sapevano scrivere, e direi che lo stesso possiamo dire per i tanti che si investono del ruolo di critici d'opera e, ahimè, canto. Ma non è necessario essere giornalisti "d'arte"per non capire niente; bisogna avere l'umiltà di mettersi in quella condizione e iniziare un serio e approfondito studio e disciplina che possa elevare e soprattutto ripulire la nostra coscienza, altrimenti niente sarà utile per aprirci gli occhi della mente e soprattutto dell'anima.
Allora, la mia esperienza porta a testimoniare che la semplice parola che usiamo comunemente, grazie alla disciplina di cui sono espressione e promotore un bel giorno esce "diversa", cioè "suona", senza sforzo, senza pressioni, senza tiraggi, pestaggi, schiacciamenti e gonfiamenti, esce sonora, si diffonde nell'ambiente con velocità, con ricchezza, con vivacità, con significato, con libertà. Che si vuole di più! Quale suono "astratto" "intervocalico", oscurato, schiarito, affondato, spremuto, potrà mai avere caratteristiche analoghe!? L'uomo è dotato di una ricchezza inestimabile: la musica, e del mezzo per poterla diffondere, la parola cantata, e da sempre è stata valorizzata. Solo questo tempo di crisi di valori, di etica, di affetti può incolparsi del grave stato di crisi artistica e musicale e vocale in particolare. Abbiamo tutti tanto da lavorare per tentare di riportare la nave sulla giusta rotta, non pensiamo che la musica e il canto siano espressioni secondarie rispetto le gravi condizioni economiche e sociali cui stiamo assistendo. Ho molto apprezzato un aneddoto raccontato da Daniel Barenboim: un palestinese lo ringraziava per aver portato la musica a Gaza, spiegando che il cibo, i medicinali, si sarebbero potuti portare anche per degli animali, la musica solo per l'essere umano! Allora ricordiamoci di essere uomini, e coltiviamo la musica e il canto come meritano.

4 commenti:

  1. Salvo2:24 PM

    Fabio, ma quando un'insegnante dice ad un allievo (ancora in erba) ma con un bel fiato, un ottimo legato ed una voce ricca di risonanze, "hai della stoffa ma non hai musicalità", secondo te cosa avrà voluto dire?
    Grazie.

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  2. Ciò che dice un insegnante dovrebbe essere "decifrato" dall'insegnante stesso, perché scendiamo nel terreno delle interpretazioni, con i limiti che sappiamo. Peraltro la frase potrebbe avere una comprensibilità, a mio modo di vedere, e cioè che ci sono doti vocali, passione, ma ci sono problemi musicali, ovvero difficoltà di intonazione, di memorizzazione di melodie. Cose che si possono imparare e migliorare, anche se in chi canta sarebbe auspicabile una certa predisposizione. Potrebbe essere così?

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  3. In ultima analisi è tutta colpa del progresso tecnico, ossia dei dischi e dei microfoni. Sono stati i dischi ed i microfoni a creare nel sentire comune la dicotomia tra cantanti di musica leggera (con la voce "naturale", ma microfonata) ed i cantanti lirici (col vocione "impostato" o "in maschera", e la pronuncia impastata, ovattata). E' il disco che ha creato questi stereotipi. Prima del disco, nessuno si faceva di questi problemi, il canto era uno solo, e non si poteva che cantare nell'unica maniera possibile. Le sciantose del primo Novecento, o i canzonettisti della prima metà del secolo, avevano infatti una vocalità ancora molto vicina alla vocalità lirica, per esempio passavano tutti in falsetto, non esistevano le grida da maiali sgozzati che sentiamo oggi, e specularmente, i cantanti lirici antichi erano molto vicini ad un imposto leggero, naturale, avevano una pronuncia nitida, una chiarezza e pulizia di emissione che oggi fanno storcere il naso a molti incompetenti presunti intenditori.

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  4. E nel "progresso" tecnico-scientifico che ha provocato la decadenza del'arte, oltre alla microfonia e alle tecniche di registrazione e riproduzione del suono, ci metto anche le farneticazioni della foniatria, che a partire dall'età "illuminista" (sic...) ha cominciato a fomentare confusione nelle scuole di canto con le sue teorie sulla respirazione, sui registri, e tutto il discorso sulle cavità di risonanza, petto, testa, fosse nasali ecc... Quanti danni ha fatto! Se non fosse per i foniatri oggi non esisterebbero tutti questi orrendi "metodi", tutte queste tecniche meccaniche e fasulle, come la maschera, l'affondo e via dicendo... Il trionfo della tecnica ha fatto sì che soprattutto nel Novecento le voci liriche divenissero tutte voci costruite, finte, gonfiate, schiacciate, distorte... E quindi oggi se il pubblico sente finalmente una voce VERA, dice che non è impostata! Vogliono sentire il rumore della gola, quello vogliono! Sordi e ignoranti!

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