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martedì, gennaio 29, 2013

La strada della virtù

Mi è stato chiesto un parere sul perché questa scuola è stata violentemente attaccata, la qual cosa mi spiace perché il confronto e il dibattito sono importanti e forieri di progresso e apprendimento. Esiste un "perché" molto alto, nella verità, che ho già illustrato in passato, ma questo "perché" opera su livelli anche più bassi e controllabili e quindi mi pare giusto parlarne e invitare i lettori a rifletterci, meditarci e applicare, se lo riterranno giusto. Quest'ultimo concetto, cioè "scegliere il giusto" fa capo, come si può facilmente intuire, alla coscienza, e la conquista di questa è, o dovrebbe essere, l'obiettivo supremo. Vediamo però perché non è così. Mi sono già espresso in modo quasi maniacale contro l'ego, artefice e colpevole fondamentale in questa battaglia. Perché e come? Dunque, l'altro campo verso cui continuo implacabilmente a puntare il dito è l'istinto, ovvero gli strati più antichi del nostro cervello che operano meccanicamente e rapidamente. L'ego è anch'esso una necessità istintiva, in quanto il funzionamento dell'uomo-animale riproduce le leggi della jungla, cioè un capo branco che detta regole e impone strategie agli altri componenti che vi si adeguano, cioè si sottomettono. E' una regola contenuta nel nostro DNA perché è ciò che in una comunità autoregolatrice permette la vita stessa della comunità, e non dimentichiamo che l'istinto ha una valenza legata in primo luogo alla specie, più che al singolo. L'evoluzione avrebbe dovuto o potuto ridurre questa necessità, ma ne è rimasta invece una parte rilevante che l'umanità ha persino rinvigorito nel suo sviluppo-inviluppo: il potere. L'uomo avverte il bisogno di esercitare potere e lo fa in base alle possibilità ambientali, economiche, fisiche, strategiche. La cosa davvero brutta è che l'evoluzione mentale, cioè la neocorteccia, è stata usata non per uscire, allontanarsi, dall'istinto di prevaricazione, di potere, ma per consolidarlo o strapparlo ad altri con mezzi non solo grossolani e fisici, come avviene in campo animale, ma più colti e raffinati, come avviene in politica o nelle grandi organizzazioni economiche e imprenditoriali. L'Arte è la strada che conduce alla componente spirituale di ognuno di noi, e la parte spirituale è quella che porta all'unione, alla elevazione non solo di pochi individui ma di masse rilevanti. Molti asseriscono di non "capire" l'arte pittorica di, ad es., Michelangelo o Raffaello o Leonardo o dei maestri greci o altri più o meno lontani temporalmente da noi. Questo aspetto razionale in realtà non è molto importante, anzi molto spesso è disorientante; ciò che avviene quando grandi artisti riescono a far emergere la loro opera, è che le popolazioni ne traggono inconsciamente un insegnamento morale e di elevazione spirituale, del tutto indipendentemente da quanto "capiscono" guardando le opere. Qui però occorre fare attenzione perché la falsità dietro cui si nasconde l'ego, ce le fa apparire distorte. Un grande artista, poniamo Michelangelo, aveva un grande ego? Questo è quello che potrebbe apparire, vieppiù quando apprendiamo dalla biografia essere un personaggio scontroso e orgoglioso. Ma questo non c'entra niente! Già in passato avevo fatto notare quanto poco c'entrasse il carattere di un maestro come Celibidache con la loro opera incredibilmente umile e diffusiva, e analogamente l'ho fatto notare nei riguardi di Giacomo Lauri Volpi. L'ego è in qualche modo sviluppato in tutti, che vogliono esercitare un piccolo o grande potere  ovunque possono (in casa, con la moglie o il marito e/o i figli; sul posto di lavoro, nei giochi, ecc.) oppure sviluppano una tendenza alla sottomissione; l'uomo quale mezzo usa fondamentalmente per imporre il potere? Il giudizio. Ma il giudizio viene esercitato avendo anche creato delle convenzioni, delle tradizioni, delle pseudo regole che diventano quasi legge per la massa. Pensiamo a una contraddizione incredibile che si perpetua da molte generazioni: i giovani, per distinguersi dagli adulti, da cui vorrebbero staccarsi per generare una nuova società con nuove idee, nuovi canoni, ecc., si vestono o si atteggiano in modo trasgressivo; la distorsione sta nel fatto che questo viene fatto in massa, cioè imponendo convenzioni e regole sociali più uniformi e ferree di quelle che combattono, escludendo chi non vi si adegua, pur, magari, esponendo idee innovative e non uniformi (pensiamo, poi, al potere che esercita ad esempio la chiesa condannando determinati atteggiamenti o modi di vivere). Veniamo alla musica. Si sono create tradizioni del tutto infauste, basate su nessuna idea artistica e fondamentale. L'idea del "tempo", ad esempio, o di un determinato tipo di voce. Tutte sciocchezze, ma fortemente radicate nella massa, promosse da pochi che hanno potuto detenere una certa fetta di potere e hanno potuto bacchettare con severità chi le contraddiceva. Sono divertenti ma anche terribili certe battaglie che si scatenano tra opposti detentori: pensiamo a qualche persona che riesce a prendere piede in trasmissioni radiofoniche o televisive (il potere della critica è davvero pazzesco, se consideriamo che è basato sul NULLA), e da lì può lanciare strali e diventare arbitro di critica, di satira, di giudizio (per l'appunto). Se chi sta dall'altra parte non ha armi sufficientemente appuntite, dovrà soggiacere, e cercare di far valere la propria verità artistica, se c'è; se invece detiene potere, come potrebbe essere un importante direttore d'orchestra, ecco che si scatenano battaglie tra chiusure di trasmissioni, divieti di ingresso in teatro e via dicendo. Una sorta di melodramma dal vivo di cui il mondo dell'opera (ma era un esempio, gli avvenimenti hanno coinvolto tutti i campi dell'attività umana, e ognuno avrà esempi cui riferirsi senz'altro) dovrebbe solo vergognarsi. Ma se oggi il livello di cantanti, direttori d'orchestra, registi, ma anche pubblico, è sceso al livello che constatiamo, direi che è un'indignazione quasi inutile (dovremo poi soffermarci sulla fondamentale differenza tra giudizio e valutazione). Ma cerchiamo di proseguire per dare una speranza. Impariamo a non giudicare! Impariamo a non essere coinvolti dal giudizio altrui, compatiamo e non reagiamo violentemente quando siamo attaccati o semplicemente non siamo d'accordo o quando pensiamo "di avere ragione" (peraltro bisogna anche stare attenti a non finire dalla parte opposta, quella della sottomissione). Non che la ragione non ci sia (ma noi afferiamo più a una ragione-coscienza che a una ragione mentale), ma agiamo in modo da integrare gli altri nel nostro ragionare, cerchiamo di operare in modo altruistico, cioè non teniamo per noi come segreti le cose che impariamo e che ci fanno evolvere e star meglio. Chi attacca qualcuno che la pensa diversamente (magari anche per poche differenze), è perché teme di perdere un potere che si è guadagnato, e quindi sviluppa anche strategicamente, cioè con mezzi dialettici e culturali, il modo per imporsi. Come se ne esce? In diversi modi: in primo luogo con la coscienza dell'operare, il che si verifica dal vivo, in diretta; in secondo luogo la lucidità del percorso unificante e propriamente le cause che portano alla conquista o meno dell'arte che sono quelle contrarie alla manifestazione egoica.
Questo argomento so essere complesso e difficile da esperire e illustrare a parole (non essendo io propriamente un letterato...) e quindi chiedo a quanti vogliono approfondirlo di fare domande più mirate.

1 commento:

  1. Il mondo dell'opera da almeno mezzo secolo è appestato da un gusto barbaro per la voce artefatta, costruita, forzata, ingrossata, dalla pronuncia impastata, ovattata, caricaturale... E' logico che in un tale degenerato contesto, una scuola che prescrive di cantare con la propria vera voce venga osteggiata.

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