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martedì, febbraio 12, 2013

Due organi simmetrici

L'orecchio è il mezzo sensibile che ci permette di cogliere i suoni fisici provenienti dall'esterno. Al momento ancora nessun OTORIATRA (termine da me inventato sul momento e di cui forse un giorno reclamerò il copyright) ha preteso di insegnare "come si ascolta", nel senso di suggerire che bisogna, che ne so, alzare i padiglioni, aprire il canale, chiudere le trombe d'Eustachio e via dicendo. Questo per la diffusa convinzione che sentiamo tutti nello stesso modo. Ovviamente non è così ma non solo e non tanto per questioni relative alla struttura fisica dell'orecchio, ma perché il nostro ascolto dipende da come i suoni vengono elaborati dalla nostra mente e dalla nostra coscienza. Ora, come l'orecchio è lo strumento che permette di recepire l'onda sonora proveniente dall'esterno, l'apparato vocale è quello che permette di emettere un'onda sonora di particolari caratteristiche. In altre parole si tratta di due organi di senso simmetrici. La differenza consta solo nella provenienza dell'onda sonora; da fuori, nel primo caso, da dentro nel secondo. Sul piano originale, istintivo, il comportamento dei due apparati è il medesimo. Così come non siamo capaci, senza disciplina, di apprezzare molte caratteristiche di suoni esterni, non siamo capaci di emettere suoni al di sopra di determinati livelli qualitativi. E così come è perfettamente inutile - fortunatamente - tentare manovre fisiche per migliorare il livello uditivo (ma molte persone, ad es., si mettono la mano a conchiglia  davanti al padiglione per captare diversamente), così è un grossolano errore farlo con il nostro strumento produttore. Il fatto che buona parte dell'apparato vocale possa essere reso mobile volontariamente, non significa che vada fatto! I motivi per cui l'apparato può essere mosso volontariamente non ha attinenza con la voce, ma con le diverse esigenze vitali che condivide (masticazione, deglutizione, respirazione...). In sintesi: così come si impara ad ascoltare con la mente e la coscienza, analogamente si impara a cantare, escludendo tutto ciò che impedisce la fluidità, la spontaneità e la piacevolezza del flusso sonoro. Questa disciplina mette in moto un processo EVOLUTIVO, per cui il tempo consentirà di sentire sempre meglio (discorso identico potrei fare per l'occhio o il tatto o il gusto...) e di cantare sempre meglio, escludendo tutta quella meccanica che non fa che imbrigliare, imprigionare, frenare, occludere il passaggio libero e piacevole della parola cantata.

2 commenti:

  1. Ho imparato col tempo, correggimi se sbaglio, che l'orecchio gioca un ruolo fondamentale e spesso i "maestri" non lo menzionano nemmeno. Il mio maestro, quando qualche allievo aveva problemi di intonazione, asserisce che gran gran parte dei difetti provengono da una "ignoranza dell'ascolto" e quindi da una cattiva gestione del proprio orecchio. Anche nei vocalizzi consiglia di lasciarsi guidare dall'orecchio senza opporsi e senza cercare di emulare il cantante preferito. La nostra voce è unica e nostra, spesso proprio perchè non si è abituati ad ascoltare bene, che si riproduce male... quindi l'orecchio educato deve guidarci (come secondo me facevano i Grandi) a percorrere la strada naturale, fluida, leggera del canto senza interferenze. E se proprio vogliamo rifarci a qualcuno, ascoltiamo bene (sotto la guida di un maestro esperto) le voci del bel canto. Perchè si spinge? diceva il mio maestro. Fiato e orecchio non sono disciplinati, vince l'istinto e con esso la forza, la spinta, il suono emesso perchè sentito e quindi riprodotto in maniera roboante, come "un colpo di cannone!"... Emulare... cosa puoi dirci Fabio?

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  2. Parallelamente all'educazione vocale avviene l'educazione dell'orecchio; naturalmente migliore è l'una, migliore sarà l'altro e viceversa! Ascoltare validi cantanti è ottima cosa, ascoltare la voce dell'insegnante anche. La cosa più difficile è ascoltare sé stessi. In qualche occasione faccio mettere le mani aperte ai lati della bocca (non a megafono) in modo che si interrompa il contatto diretto tra orecchio e bocca, cosicché il suono venga recepito in diffusione nel locale. Quasi sempre il suono cambia istantaneamente, perché l'allievo si sente come se ascoltasse un altro, e percepisce anche difetti che solitamente non avverte. E' una cosa da fare per qualche secondo e poi togliere, non deve diventare una pigrizia e un'abitudine, ma solo un mezzo occasionale per stimolare ad ascoltarsi meglio e più attivamente. L'emulazione di altri cantanti o del maestro è ovviamente sbagliata; deve essere l'insegnante ad accorgersi se l'allievo ha questa tendenza e farglielo capire. Imitare vuol dire rinunciare a sé stessi e prendere il peggio dagli altri; è una forma di debolezza e di scarsa autostima che deve essere superata.

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