Translate

lunedì, marzo 25, 2013

Dai dai dai, dagli una spinta...

Torno ancora una volta sul tema della spinta del suono, perché mi son reso conto di non essermi sufficientemente espresso in merito. Dunque: perché si spinge e da cosa è data la spinta. I motivi possono essere diversi; in parte è una necessità avvertita di far defluire l'aria, e quindi siamo a livello di istinto respiratorio; in secondo luogo è un modo empirico che mettiamo in pratica nell'ipotesi che si produca un suono maggiormente intenso, il che può essere vero, ma non sempre (a volte è addirittura il contrario). Avevo già spiegata quest'ultima "pulsione" con i post sul pendolo di Newton, cui rinvio i lettori che non l'avessero notato. Ma adesso veniamo a ciò che ho trattato molto poco, invece, e cioè alle modalità. Dunque, l'aria fisiologica, appena conclusa la fase inspiratoria, tende ad uscire; allorquando incontrasse sul suo cammino le corde vocali addotte - chiuse - necessiterebbe di una pressione leggermente superiore a quella corrente per poter vincere quella resistenza, a patto che esse non si trovino in una condizione particolare, cioè non siano troppo tese o troppo spesse, ovverosia non si trovino in una condizione di richiesta di suoni molto intensi o in una zona della gamma troppo acuta, nel qual caso la pressione dovrebbe aumentare parecchio. Se si iniziasse l'educazione della voce, come si faceva un tempo e come buon senso detterebbe, dalla voce parlata nel suo "alveo" normale, con esercizi che stimolino un regolare sviluppo, il problema della spinta probabilmente non si porrebbe, o a livelli talmente modesti da poter essere affrontato e corretto immediatamente e con grande facilità. Siccome questa strada è ormai trascurata, credo, dal 99% delle scuole di canto, ci si trova a dover fronteggiare un problema di ampie proporzioni. L'allievo quindi produce una spinta; come? le possibilità sono: "strizzandosi" i polmoni, in due o tre modi, o riducendo il canale respiratorio. La parola più barbara che vidi scrivere da Rodolfo Celletti (ho ancora gli articoli dove coniuga tal verbo) è proprio: "strizzando". Un vero assurdo e un deciso orientamento antivocale, se non addirittura antiumano. Premere con forza sui polmoni vuol dire immediatamente creare una potente pressione sottoglottica, che mette in moto una normale reazione valvolare della laringe, che si chiude. Questa pressione può essere prodotta mediante un forte abbassamento delle costole oppure mediante una pressione da parte dei muscoli addominali o da entrambe le cose insieme. Istintivamente, o "naturalmente", tendono a succedere due cose: lo sterno, appena si attacca il suono, si abbassa repentinamente, premendo sui polmoni. Questo è molto facilmente visibile, è presente in modo rilevante negli allievi alle prime armi ed è particolarmente attivo in chi attacca i suoni con durezza e soprattutto col cosiddetto "colpo di glottide", che libera il suono vocalico con un colpo secco, quasi fosse una consonante gutturale. Questa modalità, a parte tutti gli aspetti negativi già evidenziati, impedisce un reale dominio respiratorio; l'aria esce con forza spremuta dalla muscolatura del busto in modo violento e incontrollato, come se si schiacciasse un tubetto di dentifricio; è solo la laringe che modera l'uscita grazie al suo funzionamento, ma con possibili gravi conseguenze a causa della pressione che si trova a fronteggiare. Naturalmente anche il suono sarà tendenzialmente crescente (e frenato dalla muscolatura nel tentativo di intonarsi) e incontrollato dal punto di vista dinamico ed espressivo. Se non bastasse, questo accanimento muscolare esterno provoca anche una tendenziale risalita del diaframma, premuto da sotto, il che produrrebbe suoni spoggiati, quindi poveri e inerti, il che necessita, per contrasto, una pressione dall'alto verso il basso sulla laringe per opporsi a questa forza. Un quadro desolante e brutale, lontanissimo da ogni velleità che possa definirsi artistica. C'è però un'altra modalità, non migliore, se pur meno violenta. Evitando le spinte e le forze dirette sul fiato, si può originare comunque una spinta, che avviene tramite una riduzione del diametro del "tubo" respiratorio (cioè un restringimento della glottide e del tratto ipofaringeo). Naturalmente il soggetto non si accorge di eseguire questa manovra; il fiato, entrando in un tunnel più stretto, aumenta la propria velocità e quindi determina anche maggior pressione; questo causa, nuovamente, intonazione tendenzialmente crescente e perdita di qualità del suono. Dopo aver esposto a grandi linee il problema, ci sarebbe da proporre le soluzioni! La soluzione, come già detto in premessa, sarebbe quella di evitare ogni strada che possa portare allo sviluppo di ogni genere di spinta. Laddove ci si trovi a dover fronteggiare comunque questo problema in soggetti che l'hanno sviluppato in modo sostenuto, vediamo quali consigli si possono proporre (ma, non per pessimismo, è bene sapere che ci possono volere anche ANNI di esercizi, per quanto corretti, per toglierlo!). Per prima cosa occorre tornare a una respirazione calma, tendenzialmente diaframmatica, non troppo profonda. In secondo luogo, cosa già più difficile, occorre eliminare il "colpo di petto", cioè quella discesa rapida e secca dello sterno (ovviamente non dovrebbe esistere alcun tipo di respirazione clavicolare o che comunque riguardi il sollevamento e la ricaduta delle spalle o della parte alta del torace) e questo necessita anche l'eliminazione del colpo di glottide, e a questo si può ovviare con esercizi di sillabazione o di vocalizzazione sul sospiro. Attenzione, perché l'attacco troppo duro di alcune consonanti (tipo T e D), può determinare comunque dei colpi di petto. E' sempre raccomandabile, comunque, il ricorso alla parola detta con sincerità, con volontà realistica, con significato. Questo porta inevitabilmente a trasfondersi NELLA parola e a cancellare ogni violenza nei confronti del fiato e degli organi respiratori, ANCHE laddove si dicono parole forti e con intenzione irruenta (ma sempre con quella nobiltà che non può essere negata nemmeno nel canto più realista o verista, perché l'arte è sempre (SEMPRE) al di sopra della brutalità reale, ed è sempre la figurazione musicale, espressiva, comunicata, di qualsivoglia atteggiamento o gesto). Una parola, anche detta piano, ma con la giusta arte espressiva, può dare il senso vero di un indicibile odio, così come di un grande sentimento amoroso. Solo così si fa arte. Chi grida, urla, si abbassa a effettacci di facile presa, non sa cosa sia l'arte.

2 commenti:

  1. Ho dovuto, ahimè, assentarmi per un pò, ma noto con piacere (non avevo dubbi) che i post stanno dando vita ad argomenti ed approfondimenti sempre più affascinanti...
    Ricordo con piacere, alcuni anni fa, un mio caro amico baritono che come me trasportato dalla passione, dallo studio (avendo iniziato anch'egli tardi), voleva sincerarsi sull'emissione del fiato e ne faceva una questione di fondamentale importanza. Io, avendo già iniziata tale ricerca ed essendo arrivato a delle conclusioni, cercai di fargli capire (nel mio piccolo) l'importanza piuttosto della qualità del fiato, dell'attacco semplice, del parlato e dell'inutilità ossessiva della ricerca interiore, riflessiva,a "tutti i costi" che stava conducendo. In effetti la spinta proveniva,era causata, credo,più per quella ossessione che per la coscienza reale di quel suono. Ricordo che gli facevo il semplice esempio di dire una vocale quale la A o la O semplicemente non pensandola ma parlandola... lui inevitabilmente già la spingeva, ma forse proprio perchè la ricercava, quindi la trasformava. La parola pensata, per me, è già costruita. Sta lì, aspetta solo, secondo me, di essere proiettata, non c'è bisogno di portarla spingendola poi. Spesso quando sento i grandi cantare e poi stacco le cuffie, in mente percepisco la voce identica di quel cantante, sta lì nella mia mente... e potrebbe essere riprodotta con la stessa leggerezza, ma con la mia voce, senza quindi diventare un registratore. E per raggiungere quella leggerezza, quella soavità, che si può incorrere nell'errore di spingere... se non per altri motivi (se senti voci potenti vuoi fare il trombone anche tu). L'errore secondo me, torno a ripetermi, è che si spinge per raggiungere, per arrivare ed invece secondo me è un partire, un viaggiare. ScusamiFabio per la confusione... ma a volte non so spiegare le mie percezioni

    RispondiElimina
  2. Dici proprio bene: partire! molti vorrebbero essere arrivati prima ancora di essere partiti e non si rendono conto che ci vuole un punto di partenza, un percorso con un proprio itinerario... ecc.

    RispondiElimina