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venerdì, marzo 15, 2013

Piccolo cabotaggio

Ho in diverse occasioni fatto riferimento al galleggiamento. Molti cantanti, anche non particolarmente esemplari, hanno percezioni di suono galleggiante; questa scuola fa riferimento, più specificatamente, a un altro tipo di galleggiamento, quello respiratorio, cioè uno sviluppo straordinario dell'attività respiratoria legata univocamente al canto, slegata dai vincoli valvolari laringei, che di fatto si affranca dalla necessità dell'intensità vocale (o pressione) per realizzare l'appoggio (non parliamo neanche per scherzo di altre modalità!). Oggi però vorrei parlare di un altro interessante fenomeno percettivo di galleggiamento, legato soprattutto ai primi tempi di studio, che però è legato ad una attività molto meno corposa, quindi apparentemente importante, ma in realtà persegue un passaggio cruciale nello sviluppo.
Se produciamo una serie di suoni - scalette o piccoli arpeggi - molto leggeri, alitati, sospirati, dopo qualche semitono in salita avvertiremo una forza che preme sulla lingua e sulla mandibola e ci obbliga (o almeno così ci pare), pur con l'idea di contrastarla, a premere verso il basso. A questo punto noi dobbiamo renderci conto di qual è l'alternativa. L'alternativa è permettere un ulteriore alleggerimento del suono (o assottigliamento), cioè consentirgli di passare, fluido e sottilissimo, contro il palato anteriore estremo - dietro i denti - verso l'esterno (facendo attenzione che non finisca nel naso!). Questo momento è duro da superare. Si forma il pensiero (fisico-razionale, fuorviante) che si stia passando in falsettino, che il suono si rompa e perda ogni carattere canoro importante. E' uno dei tanti strumenti che il nostro istinto utilizza per impedirci l'accesso all'arte, a lui estranea. Le prime volte potrà anche succedere, dato l'approccio a un campo sconosciuto e non subito gradito, che il suono oscilli, traballi, ma vorrà dire che non abbiamo ancora del tutto "lasciata andare" la muscolatura che vorrebbe opporsi alle forze che avvertiamo (cioè contrastiamo tali forze non opponendoci con la forza ma con la leggerezza). Parrà incredibile poter alleggerire ancora, e ciononostante continuare a produrre suoni tutt'altro che esigui, e poter continuare a salire; a ogni semitono ci sembrerà preventivamente che tutto debba sfasciarsi, e invece tutto va a posto (magari non tutto la prima volta...). Ma qui, e la cosa si avvertirà soprattutto durante la fase discendente verso le note più basse, ecco che subentrerà una idea di galleggiamento. Quel suono di e sul fiato, leggero ma sonoro, sembrerà galleggiare non solo all'esterno, ma anche all'interno; si avrà cioè - ma solo nei primi tempi, fin quando non si saranno debellate le re-azioni istintive - la tentazione di premere verso il basso, anche sulla laringe, ma, non facendolo, si scoprirà che il suono rimarrà comunque bello, pieno, sonoro, facile, (anzi lo scopriremo ancora migliore di quanto potevamo immaginare) e questo nonostante quella strana sensazione di camminare a un metro da terra, come dentro ad una nuvola, o come galleggiando facendo il morto. Se si va dietro l'istinto - tentazione di andare a rassicurarsi se si sta ancora "toccando" il fondo, allungando un piede - ecco che davvero tutto andrà in pezzi, perderemo quell'unità di equilibrio conquistati. Quando si sarà raggiunta quella piacevolissima sensazione di una emissione leggera e scorrevole, gestita dalla volontà, si dovrà cominciare a pensare, con un certo sgomento, che quel suono, lì, può espandersi fino alle massime "temperature" e densità possibili.

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