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giovedì, giugno 13, 2013

Riconoscere-riconoscersi

Il punto essenziale dell'Arte sta nel riconoscere. Cosa? Il vero. Il vero è contenuto nell'oggetto o nel gesto di cui quell'arte si avvale; compito del maestro è guidare l'allievo verso la valorizzazione di quanto è necessario per raggiungere quel nòcciolo entro il quale si cela la verità. L'allievo di canto a un certo punto dovrà cominciare a riconoscere il suono vocale "giusto", cioè quello libero, quello privo di impedimenti, ostacoli, resistenze, in grado di esprimere il senso, il noumeno contenuto nel flusso vocale. A questo riconoscimento, però, se ne contrappone un altro, che rende questo primo atto più difficile, e cioè il riconoscer-si. Quando una persona si risente registrata (e mi riferisco anche solo al parlato semplice), prova imbarazzo e talvolta persino vergogna. I motivi sono due; in primo luogo sente una voce diversa da quella cui è abituato, perché l'ascolto ordinario è distorto dalla risonanza interna che risale dalle trombe di Eustachio. In secondo luogo perché sente in modo esasperato difetti di pronuncia, esitazioni, cadenze dialettali e molte altre carenze discorsive. Oggi questo è possibile perché l'abitudine di ascolto di radio e tv crea un modello di paragone (presentatori, attori, ecc.) che in genere ci trova perdenti. Io ricordo bene, avendo fatto radio per circa dieci anni, le prime imbarazzate partecipazioni e poi le sempre più convinte e convincenti presentazioni. C'è in parte un'autoeducazione, in parte una assimilazione a un modello per imitazione. In sostanza noi abbiamo un grande imbarazzo a riconoscere sé stessi e ad accettarsi come tali, in quanto partiamo dal presupposto che siamo carenti, cioè ci autogiudichiamo negativamente. Io ricordo, appunto negli anni della radio, un presentatore che quando parlava con le persone al di fuori del microfono aveva una voce, appena doveva dire qualcosa in trasmissione cambiava totalmente, in quella sorta di "birignao" molto affettatto, con tutte le vocali strette (che nell'opinione comune sono più "eleganti", infatti la classica "madamina" nobile parla con la bocchina stretta e pronuncia strette tutte le vocali) e vagamente nasali. Sicuramente avrà avuto in mente qualche modello cui ispirarsi. Ricordo anche, ma è diventato quasi un tormentone, il mito dell'attore "mattatore" che prese spunto da certe esagerazioni di Vittorio Gassman, cui molti comici ancor oggi accennano, ma che ho anche visto e sentito portare sul palcoscenico con ridicola convinzione. Dunque dobbiamo ancora fare i conti con un sistema di percezione e filtro che non accetta facilmente e volentieri il sè; noi non ci accettiamo per come siamo (e spesso come siamo fatti) e per come ci esprimiamo, non ritenendoci aderenti al "modello"; anche il modo di vestirsi è una chiara esemplificazione di questo concetto. A contrastare questo c'è un difetto peggiore, che è il narcisismo. L'egocentrismo e il narcisismo si manifestano per "rompere" l'adeguamento al modello, ma non lo fanno nell'ottica di un percorso di verità, ma solo per mettersi in mostra, per spiccare rispetto alla massa. Questi spesso ottengono anche successo, perché la massa mitizza coloro che si staccano ma che non mettono la massa stessa in condizione di sentirsi umiliata, facendo capire di essere in errore, ma perseguendo solo un processo di autoesaltazione, esteriore ed economico. Viceversa il "diverso" che tende a mettere in luce la verità, crea molto astio, perché, tramite studio, analisi, esercizio di esplorazione e approfondimento, permette alle persone di capire che una verità c'è e si può raggiungere, ma costa molto in termini di impegno, di volontà, di tempo, e questo significa fatica. Dunque non solo volontariamente e consciamente, ma istintivamente la comunità allontana più facilmente le persone sincere e foriere di percorsi qualitativi che non i "pazzi" stravaganti, perché innocui sul piano della coscienza. Il mondo del canto è, ça va sans dire, zeppo di questi esempi, cioè una enorme massa di persone che oggigiorno vogliono studiare canto non per sviluppare la propria voce ma per "diventare" la voce di qualcun altro ritenuto modello. Quasi mai questo affiora alla coscienza, quasi nessuno lo ammette, anche quando le somiglianze e gli stereotipi emergenti sono evidenti, ma è quasi sempre così, e più l'insegnante cerca di purificare e valorizzare la voce propria della persona, più questa presenterà ribellioni di vario ordine, fino ad abbandonare quel maestro e rivolgersi a chi invece - sempre incosciamente, il più delle volte - farà percorrere proprio la direzione opposta, cioè uccidere la singolarità per rendere quella voce una delle tante, rumorosa quanto basta per assomigliare - spesso grottescamente - a quella più amata. Morale della favola: se prima - o durante - lo studio del canto non si impara a riconoscere ed accettare sé stessi, si rischia la "clonazione". Può anche andar bene così, basta saperlo.

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