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martedì, luglio 30, 2013
Pesi e misure
C'è una contraddizione in termini; una delle tante che crea difficoltà di comprensione e di sviluppo. Come tante, credo sia molto più evidente oggi che non alcune decine di anni fa.
Noi sappiamo e proviamo che man mano che saliamo all'interno della meccanica del registro parlato (petto), l'intensità deve aumentare. L'esercizio clou è entrare-uscire dal parlato passando all'intonazione su una nota (non fermandosi), senza far venir meno l'assoluta chiarezza e precisione della parola, in ogni suo minimo dettaglio. La parola di per sé non è intonata, ma ad ogni nota cantata corrisponde una determinata intensità del parlato. Questa straordinaria scoperta si riprodurrà poi anche nel grande canto, per cui si perde la cognizione della "nota", per diventare un canto fluido, inequivocabile nella sua linea, nel suo legame significante parola-musica. Questa scoperta porta anche a eliminare quel "sali-scendi" interno che è un serio problema per tutti coloro che cantano male o comunque non benissimo, per cui si crea un parallelismo tra note e posizioni del suono. In questo c'è anche una componente psicologica, per cui salendo si spinge e scendendo si trattiene. L'esempio più semplice è la scaletta anche solo di tre suoni, dove al 90% gli allievi tendono a premere nelle tre note ascendenti e poi "mollano" le due discendenti, che diventano singhiozzanti, povere, imprecise, ecc, e tendenzialmente spoggiate. Il fenomeno, se non corretto continuamente, si amplifica a dismisura negli esercizi di più ampia estensione e diventa catastrofico nel canto. Occorre sempre ricordare che il fiato, e il suono generato, seguono sempre e solo una direzione, cioè verso l'esterno (meglio ancora: da fuori a fuori!), anche quando si scende. Quando questi aspetti saranno conquistati, e cioè il canto diverrà un flusso ininterrotto e non ci saranno più movimenti verticali interni, ma tutto procederà unidirezionalmente, ci si accorgerà semplicemente di aver ritrovato ("l'amico ritrovato" eheh) la stessa condizione del parlato quotidiano, anche se rispetto a quello comune risulterà molto più sonoro, esteso, preciso, ricco. Allora, tornando al tema, noi ci troviamo di fronte a una contraddizione: la corda di falsetto è più tesa rispetto a quella di petto, quindi richiede maggiore intensità per essere messa in vibrazione. Questo è uno. La corda di falsetto è più sottile sia in spessore che in dimensione di corda vibrante, quindi anche più leggera. Questo è due. Il falsetto, per sua stessa condizione esistenziale, occupa una porzione di gamma vocale più acuta, dunque dalla nota di petto "sottostante", il salto dovrebbe essere a togliere, più che a mettere energia. E questo è tre! C'è poi il quattro, che è il problema occulto, e cioè la reazione istintiva. Anticamente questo problema era molto meno sentito, in quanto l'educazione avveniva lentamente, gradualmente, partendo da un falsetto leggero e piccolo. Oggi si lamentano persino le donne se gli fate fare, come è necessario, la voce "infantile", figuratevi gli uomini! Quindi ciò che ha reso tutto più difficile in quest'ultimo Secolo, è il passare dalla corda piena di petto alla corda piena di falsetto, considerando che essa... non c'è!, perlomeno in gran parte delle persone non c'è una condizione respiratoria che permetta alle corde vocali di vibrare rinforzando il falsetto nella purezza dell'emissione. Per questo si ricorre all'oscuramento forzato, all'ingolamento, all'affondo e a mille altri trucchi che non sanno e non possono risolvere alcunché, per cui ci si deve accontentare di un canto fondamentalmente difettoso, per chi lo regge. Per non tediare termino qui e proseguo con altro post.
mercoledì, luglio 24, 2013
La voce in bicicletta
venerdì, luglio 19, 2013
Un "tom-tom" per la coscienza
Aggiungo dopo qualche giorno che, per chi non l'avesse colto, ritengo che il M° Antonietti ci abbia fornito questo NAVIGATORE per la coscienza (chissà come gli sarebbe piaciuto questo termine, essendo ligure e avendo navigato a lungo in tempo di guerra). Non dovete crederci per via delle parole, ma provando, mettendoci/vi alla prova. Siamo in un'epoca di enorme disorientamento artistico, morale, etico, ontologico; giudicare, e giudicare negativamente, questa scuola solo sulla base di idee preconcette, di terminologie, di impressioni, è da autentici ignoranti. Prima si prova, si valuta, si approfondisce, si verifica, poi si gudica e decide.
sabato, luglio 13, 2013
Cantar con le risonanze
L’idea di cantare con le risonanze, cioè con il prodotto
vocale, e non con il corpo della voce (suono), suggestione che so appartenere
anche a molti cantanti e insegnanti soprattutto del passato, ritengo sia un
buon suggerimento, a patto, come sempre, di sapere come gestire questo
consiglio. Se pizzichiamo una qualsiasi corda di una chitarra, ad es., lo
strumento emetterà un suono. In quel momento, che definiamo “attacco” sentiremo
un suono di corpo, cioè tutta la corda vibra con forza. Immediatamente dopo, però,
inizia la “risonanza”, cioè l’aria intorno alla corda acquisisce la vibrazione e
la diffonde ovunque. Inoltre la corda si suddivide in diverse parti (due, tre, quattro
parti, ecc.) emettendo così gli armonici relativi. Il suono di risonanza è, in
verità, molto più ricco e ampio del fondamentale, e la sua importanza musicale
è indispensabile nelle scelte esecutive, in particolare legate al tempo. Fin
qui credo sia tutto semplice e chiaro.
Nella voce, le corde vocali non hanno la stessa struttura delle corde degli strumenti,
e appena cessa il flusso aereo, cessa anche la vibrazione e quindi la risonanza.
Ciò non toglie che ogni volta che attacchiamo un nuovo suono, si genera altra risonanza.
Questa è la “materia prima” della voce, che possiamo definire “libera” sia perché
si forma e si espande liberamente in ogni spazio, sia perché si è “liberata” dal
suono, cioè una volta formata non dipende più da esso. Quando il suono è prolungato,
la vibrazione prodotto dalle c.v., induce continuamente altra risonanza. Però dobbiamo
aggiungere un importante tassello. La voce può definirsi tale interamente se mossa,
cioè motivata, dalla pronuncia, che si formerà nella parte più avanzata della risonanza,
quindi esternamente al corpo. Quando si esegue una serie di note legate, capita
sovente che dopo la prima, le seguenti siano meno valide, opache, indietro, non
ben intonate, ecc. La stessa cosa non è detto che avvenga, anzi il contrario, quando
le stesse note le emettiamo in modo staccato. Questo perché ogni nota accompagnata
dalla pronuncia della vocale, viene (o può essere) prodotta istantaneamente, mentre
nel legato si è condizionati dall’idea di unire ogni nota alla successiva, e questo
fa sì che il moto del trascinare determini in realtà un movimento di tensione muscolare
interno e si trascuri la pronuncia nelle note successive alla prima. La soluzione,
pertanto, sta nel ribadire insieme a ogni nota la vocale che si sta dicendo, ovviamente
sulla punta di quella risonanza, cioè esternamente. Non sarà facile, per qualche
tempo, perché, benché lo si faccia di continuo nel parlato, non lo si riesce a fare
altrettanto spontaneamente nel canto. Occorre dunque concentrazione e impegno per
proseguire in questa attività, che poi diventerà del tutto naturale, essendo nient’altro
che il nostro parlato.
Può essere interessante il pensare che ogni breve nota (picchettato)
continui a suonare nell’aria circostante per qualche secondo, e constatando che
ciò avviene realmente grazie all’acustica dell’ambiente, a quel punto noi
possiamo iniziare a prolungare i suoni proprio con la volontà di proseguire
quella risonanza, grazie alla quale noi andiamo a eliminare ogni spinta, quindi
fuori di noi, in quell’alone sonoro che si crea dopo l’attacco. Questo
approccio vocale, molto impegnativo per la mente, produrrà sicuramente un
sensibile distacco dalla componente muscolare, fisica, e pure del suono primitivo,
e migliorerà considerevolmente anche l’attenzione uditiva, che è più che
fondamentale. Ovviamente in quell’alone sonoro noi dobbiamo sempre sentire che
la pronuncia è vera, è perfetta.
venerdì, luglio 05, 2013
Scrivere di canto
Più ci si avvicina a una verità artistica - e parliamo di verità pratiche, operative, non concettuali, teoriche - più si dimostra difficile descrivere e comunicare l'essenza di quell'arte, per cui ogni volta che mi accingo a scrivere o a rivedere scritti, sarei tentato di cancellare, di eliminare, di rifare o di lasciar perdere del tutto. E' del tutto evidente che più il livello dell'arte si abbassa più libri si scrivono; ognuno, con volontà più o meno interessate finanziariamente, vorrebbe contribuire a risollevare questo mondo in crisi, lo fa forse nella convinzione di essere nel giusto, spesso mettendosi in decisa opposizione ad altre posizioni, pensando magari in buona fede che quelli sono "il male", la strada che conduce alla "perdizione". Ma, come dicevo, se non si ha anche la forza di mettersi in discussione, di provare a immaginare di aver sbagliato tutto e dunque di mettere alla prova le proprie convinzioni, si sarà solo eretto un muro di difesa, più o meno solido, ma quel muro è anche una prigione. La strada della verità non può non essere una strada di libertà, non necessariamente gioiosa e piacevole sempre, ma innegabilmente RETE; cosa intendo? che libertà non vuol dire estraniarsi, isolarsi, innalzarsi sul podio, ma comprendere (non in senso razionale), cioè divenire tutto, quindi non mettersi più in competizione, non reagire nervosamente agli attacchi fanciulleschi di chi ritiene di doversi manifestare in tal modo, ma accettare e mettersi nei loro panni, senza supponenza o sufficienza, tutt'al più compatendo. A chi non stanno bene gli scritti di questa scuola ho solo una consiglio da dare, meglio, due: smettere di leggerli oppure venire a confrontarsi direttamente!
mercoledì, luglio 03, 2013
L'antimeccanismo
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Nota che non c'entra niente: stavo cercando su Youtube una esecuzione decente di "Sebben crudele" di Antonio Caldara da suggerire ai miei allievi... è possibile, tra tante esecuzioni, non essercene una che ti consenta di arrivare sino in fondo senza disgusto? Da un lato è vero che pochissimi grandi cantanti vi si sono cimentati, ma possibile che resti retaggio di dilettanti allo sbaraglio? Quella che ho perlomeno digerito è, strano a dirsi, quella di J. Carreras. Gigli è ripreso male, la registrazione è opaca e inoltre cade più che in altre in leziosismi stucchevoli. Non parliamo di Bruson, che potenzialmente avrebbe potuto lasciare una impronta storica su questo repertorio, e invece la esegue come peggio non si potrebbe, schiacciando tutto verso il basso, tutto con identica sonorità e intensità (anche con qualche incertezza d'intonazione). Mah...