L’idea di cantare con le risonanze, cioè con il prodotto
vocale, e non con il corpo della voce (suono), suggestione che so appartenere
anche a molti cantanti e insegnanti soprattutto del passato, ritengo sia un
buon suggerimento, a patto, come sempre, di sapere come gestire questo
consiglio. Se pizzichiamo una qualsiasi corda di una chitarra, ad es., lo
strumento emetterà un suono. In quel momento, che definiamo “attacco” sentiremo
un suono di corpo, cioè tutta la corda vibra con forza. Immediatamente dopo, però,
inizia la “risonanza”, cioè l’aria intorno alla corda acquisisce la vibrazione e
la diffonde ovunque. Inoltre la corda si suddivide in diverse parti (due, tre, quattro
parti, ecc.) emettendo così gli armonici relativi. Il suono di risonanza è, in
verità, molto più ricco e ampio del fondamentale, e la sua importanza musicale
è indispensabile nelle scelte esecutive, in particolare legate al tempo. Fin
qui credo sia tutto semplice e chiaro.
Nella voce, le corde vocali non hanno la stessa struttura delle corde degli strumenti,
e appena cessa il flusso aereo, cessa anche la vibrazione e quindi la risonanza.
Ciò non toglie che ogni volta che attacchiamo un nuovo suono, si genera altra risonanza.
Questa è la “materia prima” della voce, che possiamo definire “libera” sia perché
si forma e si espande liberamente in ogni spazio, sia perché si è “liberata” dal
suono, cioè una volta formata non dipende più da esso. Quando il suono è prolungato,
la vibrazione prodotto dalle c.v., induce continuamente altra risonanza. Però dobbiamo
aggiungere un importante tassello. La voce può definirsi tale interamente se mossa,
cioè motivata, dalla pronuncia, che si formerà nella parte più avanzata della risonanza,
quindi esternamente al corpo. Quando si esegue una serie di note legate, capita
sovente che dopo la prima, le seguenti siano meno valide, opache, indietro, non
ben intonate, ecc. La stessa cosa non è detto che avvenga, anzi il contrario, quando
le stesse note le emettiamo in modo staccato. Questo perché ogni nota accompagnata
dalla pronuncia della vocale, viene (o può essere) prodotta istantaneamente, mentre
nel legato si è condizionati dall’idea di unire ogni nota alla successiva, e questo
fa sì che il moto del trascinare determini in realtà un movimento di tensione muscolare
interno e si trascuri la pronuncia nelle note successive alla prima. La soluzione,
pertanto, sta nel ribadire insieme a ogni nota la vocale che si sta dicendo, ovviamente
sulla punta di quella risonanza, cioè esternamente. Non sarà facile, per qualche
tempo, perché, benché lo si faccia di continuo nel parlato, non lo si riesce a fare
altrettanto spontaneamente nel canto. Occorre dunque concentrazione e impegno per
proseguire in questa attività, che poi diventerà del tutto naturale, essendo nient’altro
che il nostro parlato.
Può essere interessante il pensare che ogni breve nota (picchettato)
continui a suonare nell’aria circostante per qualche secondo, e constatando che
ciò avviene realmente grazie all’acustica dell’ambiente, a quel punto noi
possiamo iniziare a prolungare i suoni proprio con la volontà di proseguire
quella risonanza, grazie alla quale noi andiamo a eliminare ogni spinta, quindi
fuori di noi, in quell’alone sonoro che si crea dopo l’attacco. Questo
approccio vocale, molto impegnativo per la mente, produrrà sicuramente un
sensibile distacco dalla componente muscolare, fisica, e pure del suono primitivo,
e migliorerà considerevolmente anche l’attenzione uditiva, che è più che
fondamentale. Ovviamente in quell’alone sonoro noi dobbiamo sempre sentire che
la pronuncia è vera, è perfetta.
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