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sabato, luglio 13, 2013

Cantar con le risonanze

L’idea di cantare con le risonanze, cioè con il prodotto vocale, e non con il corpo della voce (suono), suggestione che so appartenere anche a molti cantanti e insegnanti soprattutto del passato, ritengo sia un buon suggerimento, a patto, come sempre, di sapere come gestire questo consiglio. Se pizzichiamo una qualsiasi corda di una chitarra, ad es., lo strumento emetterà un suono. In quel momento, che definiamo “attacco” sentiremo un suono di corpo, cioè tutta la corda vibra con forza. Immediatamente dopo, però, inizia la “risonanza”, cioè l’aria intorno alla corda acquisisce la vibrazione e la diffonde ovunque. Inoltre la corda si suddivide in diverse parti (due, tre, quattro parti, ecc.) emettendo così gli armonici relativi. Il suono di risonanza è, in verità, molto più ricco e ampio del fondamentale, e la sua importanza musicale è indispensabile nelle scelte esecutive, in particolare legate al tempo. Fin qui credo sia tutto semplice e chiaro.
Nella voce, le corde vocali non hanno la stessa struttura delle corde degli strumenti, e appena cessa il flusso aereo, cessa anche la vibrazione e quindi la risonanza. Ciò non toglie che ogni volta che attacchiamo un nuovo suono, si genera altra risonanza. Questa è la “materia prima” della voce, che possiamo definire “libera” sia perché si forma e si espande liberamente in ogni spazio, sia perché si è “liberata” dal suono, cioè una volta formata non dipende più da esso. Quando il suono è prolungato, la vibrazione prodotto dalle c.v., induce continuamente altra risonanza. Però dobbiamo aggiungere un importante tassello. La voce può definirsi tale interamente se mossa, cioè motivata, dalla pronuncia, che si formerà nella parte più avanzata della risonanza, quindi esternamente al corpo. Quando si esegue una serie di note legate, capita sovente che dopo la prima, le seguenti siano meno valide, opache, indietro, non ben intonate, ecc. La stessa cosa non è detto che avvenga, anzi il contrario, quando le stesse note le emettiamo in modo staccato. Questo perché ogni nota accompagnata dalla pronuncia della vocale, viene (o può essere) prodotta istantaneamente, mentre nel legato si è condizionati dall’idea di unire ogni nota alla successiva, e questo fa sì che il moto del trascinare determini in realtà un movimento di tensione muscolare interno e si trascuri la pronuncia nelle note successive alla prima. La soluzione, pertanto, sta nel ribadire insieme a ogni nota la vocale che si sta dicendo, ovviamente sulla punta di quella risonanza, cioè esternamente. Non sarà facile, per qualche tempo, perché, benché lo si faccia di continuo nel parlato, non lo si riesce a fare altrettanto spontaneamente nel canto. Occorre dunque concentrazione e impegno per proseguire in questa attività, che poi diventerà del tutto naturale, essendo nient’altro che il nostro parlato.

Può essere interessante il pensare che ogni breve nota (picchettato) continui a suonare nell’aria circostante per qualche secondo, e constatando che ciò avviene realmente grazie all’acustica dell’ambiente, a quel punto noi possiamo iniziare a prolungare i suoni proprio con la volontà di proseguire quella risonanza, grazie alla quale noi andiamo a eliminare ogni spinta, quindi fuori di noi, in quell’alone sonoro che si crea dopo l’attacco. Questo approccio vocale, molto impegnativo per la mente, produrrà sicuramente un sensibile distacco dalla componente muscolare, fisica, e pure del suono primitivo, e migliorerà considerevolmente anche l’attenzione uditiva, che è più che fondamentale. Ovviamente in quell’alone sonoro noi dobbiamo sempre sentire che la pronuncia è vera, è perfetta.

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