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lunedì, settembre 16, 2013

Il tempo di apprendimento

Cerco di uscire dal letargo estivo con questo primo post settembrino.
Ragionavo in questi giorni sul tempo che s'impiega a imparare il canto; in questa riflessione notavo cose piuttosto interessanti di cui voglio mettervi a parte.
Partiamo come capita spesso da altre discipline per fare qualche confronto utile. Se dobbiamo impare a suonare uno strumento, ad es. il pianoforte, noi abbiamo la necessità di imparare a memoria i vari tasti (lo stesso accade per tutti gli strumenti con tastiera, come gli archi e i pizzichi) e cominciare a imparare le combinazioni; nel pianoforte possono essere migliaia (non so se qualcuno ha mai fatto calcoli, forse anche milioni), e idem su molti altri strumenti; ovviamente gli strumenti polifonici hanno infinitamente più combinazioni degli strumenti monodici (i fiati). Nel corso dell'apprendimento, poi, sarà necessario imparare a dare qualità al suono, e questo richiede educazione dell'orecchio e molte attenzioni anche di tipo corporale complessivo. Prendiamo adesso materie affatto diverse, come il disegno: è necessario imparare a destreggiarsi con la matita ed eventualmente altri strumenti dopodiché occorrerà imparare a governare il senso dello spazio, ovvero il senso delle proporzioni grazie alla vista e a un coordinamento generale occhio-mano. Se prendiamo uno sport o un'attività prettamente corporea, sarà necessario un lungo tempo - più lungo quanto più raffinata, fine, sarà l'attività da svolgere - per trovare il più piccolo senso dell'equilibrio, di conoscenza delle varie parti del corpo, sempre in relazione allo spazio e agli strumenti esterni che si utilizzeranno. In conclusione possiamo dedurre che ogni disciplina richiede un tempo per imparare un insieme di regole poco o nulla note dal punto di vista della vita ordinaria, ovvero raffinarle oltre le normali esigenze; sono quelle regole che si definiscono ordinariamente "tecnica". Anche il direttore d'orchestra deve (dovrebbe!) conoscere regole indispensabili a permettere ai musicisti che realizzano praticamente l'atto sonoro di condurre correttamente le operazioni esecutive in rapporto a quanto indicato dagli spartiti e in base a criteri oggettivamente condivisibili. Potremmo dire che canto e direzione d'orchestra sono le attività più vicine, tra le tante che possiamo prendere in considerazione. Nel canto non c'è da imparare a premere tasti o bottoni, non abbiamo bisogno di trovare le note su una tastiera o cordiera, esse sono nella nostra testa. Può esserci bisogno di raffinare, di rendere più corretta l'intonazione, ma non è comunque un'attività di tipo "manuale", non dobbiamo girare chiavi o piroli, tirare cavetti, spostare ponticelli... E' sempre e solo un'attività di tipo mentale o psicologica. La voce c'è già. Mancherà la qualità e in molti casi, ciò che interessa la maggior parte dei cantanti soprattutto lirici, la quantità. Perché manca la quantità? A cosa si deve? Il cantante non modifica sensibilmente le proprie dimensioni corporee, quindi possiamo dire che potenzialmente ogni persona ha già in sé il massimo suono che potrà esprimere quando canterà perfettamente. Occorre quindi focalizzare il motivo per cui da un suono che potrebbe essere scarso in volume e intensità, dopo un certo tempo svilupperà una voce sensibilmente più intensa, sonora, di ampia espansione ambientale. Per tantissima gente questa trasformazione ha un carattere esclusivamente di tipo fisico, cioè secondo questi occorre attivare muscoli e altre componenti materiali che consentano al suono di acquisire forza. Noi però sappiamo dalla natura che organismi estramemente piccoli, minuti, fragili, sono in grado di emettere suoni distinguibili (talvolta anche fastidiosi!) anche a grandi distanze. Un uomo molto forte, grande, non è necessariamente portatore di voce fortissima, tonante, mentre persone anche piuttosto piccole sono in possesso non di rado di voci strepitose (Del Monaco, Pertile, Gigli, ad es. erano uomini piuttosto minuti). Quindi non è questione di forza, non è questione di dimensioni. A questo punto possiamo fare un'unificazione: la quantità è in relazione alla qualità. Ciò che desterà i caratteri più evidenti e suggestivi, cioè la forza vocale, la bellezza del timbro, la proiezione a distanza, non può che passare attraverso la pratica di qualificazione del suono, quindi non si tratta di due questioni distinte, ma una sola, e più esattamente è la qualità che produrrà automaticamente quantità, e non il contrario. Chi tenta di produrre quantità senza aver messo in campo le condizioni di qualità, si troverà nella stessa situazione di un tubetto di dentifricio spremuto! cioè una sorta di "strizzamento" che non utilizza convenientemente le caratteristiche proprie del "tubo" ma lo violenta, lo esacerba e rischia persino di danneggiarlo, senza contare che quanto esce non ha alcuna caratteristica di fluida continuità, di governabilità, di freschezza, ma di violenza, di esagerazione e istintuale bestialità. Naturalmente sarà chiaro fin dall'inizio che c'è solo una componente che può dar vita a tutto ciò, e cioè il fiato, ma non il fiato inteso come una forza spremuta, ma proprio il contrario, un "venticello" (ma con caratteristiche peculiari e nuove, rispetto il normale fiato fisiologico) che dà il meglio di sè quando può fluire con costanza, sottigliezza, libertà assoluta dai vincoli valvolari istintivi. Il tempo dello studio non serve più di tanto a imparare cose, ma a consentire il lento, graduale dominio sull'istinto, cioè a governare le forze che IMPEDISCONO al flusso mentale di poter agire con padronanza sul suono per poter accedere alla musica. Per questo io insisto molto con la "cura" del "togliere", del semplificare, del liberare, dell'alleggerire, dell'assottigliare, perché noi dobbiamo passare dalla brutalità di un suono grezzo, pesante, materiale, a qualcosa di aereo, di sottile, ovvero di affine allo spirituale (e non il contrario, come purtroppo tendono a fare molti insegnanti), che avrà tutte le caratteristiche per poter volare, diffondersi, penetrare, rimbalzare rapidamente e riempire ogni sala.

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