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lunedì, settembre 23, 2013

La cura della semplicità

Perché è così difficile studiare e cantare con semplicità? Il primo interrogativo da porsi è: in che misura è un fatto voluto e quanto è istinto. Non sembrerebbero esserci esigenze perché la nostra mente tenda a complicare le cose, quindi, come spiegai ormai molti post (diciamo pure anni) fa, oltre all'istinto di difesa, noi umani ci dobbiamo, ahimè, confrontare con un altro tipo di istinto tipicamente afferente l'uomo, che potremmo sintetizzare in "ego" o "narcisismo". Si ritiene che nella musica vocale del 5-600 i primi cantanti d'opera fossero grossomodo degli attori ben istruiti musicalmente. La presenza di un numero non elevato di strumenti in orchestra e lo spazio di rappresentazione di modeste dimensioni hanno portato i cultori (!) della storia del canto a dire che quel tipo di vocalità fosse alquanto modesto in termini di volume ed estensione. Ritengo del tutto sbagliata questa opinione, perché in questo modo si sottovaluta la profonda cultura artistica del mondo musicale del tempo e più specificatamente la cultura vocale che non era affatto agli esordi, ma si è perpetuata da sempre, perché non basta la scarsa letteratura scritta ad avvalorare questa tesi! Anche di pittura ci sono pochi libri nel Rinascimento, ma di Arte ce n'è a iosa; la differenza è che i dipinti restano, le esecuzioni musicali no! Con il proliferare dei melodrammi, la nascita di teatri in tutto il mondo e in ogni realtà, anche la più piccola, il canto divenne un business quasi come potrebbe essere oggi il calcio o la televisione. Se pensiamo che le famiglie consentivano che si potessero castrare i figli per poter loro permettere di intraprendere una qualche attività vocale, se non in teatro in qualche cappella religiosa, ci rendiamo conto delle dimensioni del fenomeno. Naturalmente al business non possono non prendere parte anche veri o presunti maestri di canto. Giovanetti che per spinta della famiglia o per sincero sentire volevano avviarsi sulla strada del canto non potevano esimersi dal lungamente studiare, giacché per molto tempo, almeno fino a metà Ottocento e oltre, cantare significava in gran parte "colorire" il canto, con figurazioni anche molto complesse che era difficile poter imparare autodidatticamente. Quindi il canto si reggeva su due strutture: la parola, che era essenziale soprattutto nella fase del recitativo, spesso molto lungo e tutt'altro che secondario, e il virtuosismo, il quale non consente appesantimenti e ingrossamenti, perché diventa impossibile. Anche questo fatto è stato interpretato da sedicenti storiografi del canto come un segnale che fino a un certo punto si è cantato in modo leggero, con poco volume. Dimenticando, però, che ormai i teatri erano diventati enormi e le orchestre pure. Un insegnante di canto doveva essere un musicista, perché la scrittura e le prassi esecutive richiedevano una conoscenza non indifferente degli aspetti più sottili del far musica. Talvolta, anzi spesso, troviamo compositori e direttori insegnare canto, basandosi magari non tanto su proprie capacità vocali, ma su un gusto particolarmente raffinato e un ottimo orecchio non guastato dai dischi e volto alle peculiarità più proprie della voce umana, cioè la comprensione del testo e la precisione dell'intonazione e delle figurazioni. L'educazione vocale dei giovani era prassi lunga e ben calibrata: lezioni giornaliere brevi, costanti. Oggi quante persone vanno a lezione ogni giorno per quattro o cinque anni? Penso nessuna, quante sarebbero disposte a seguire ancora quel sistema: mezz'ora al mattino, un po' di studio musicale, altra mezz'ora al pomeriggio, magari seguita, quando le condizioni lo consentono, da esecuzioni di semplici brani, il tutto in prospettiva di aumento, nel corso degli anni, di pochi minuti? Credo nessuno, specie se la lezione si svolgesse come si usava un tempo, cioè con solfeggi o esercizi sillabati o parlati. Ma torniamo alla storia: a metà Ottocento la rivoluzione romantica porta a un graduale ma sensibile cambiamento nella scrittura e nel gusto operistico. La parte virtuosistica, coloristica, figurata del canto cede sempre di più alla melodia spianata e all'accento drammatico più realistico. E' da notare una contraddizione grande come una casa: fino a quell'epoca l'esercizio base della scuola di canto era il solfeggio e al centro di tutto c'era la parola - eppure il lavoro più massacrante nell'opera consisteva nella coloratura vocalizzata -; successivamente prese sempre più piede l'esercizio vocalizzato, a sfavore della parola, eppure l'opera diventava sempre più "parlata" (e sentire gli strali di Lamperti che non ammetteva questa barbara trasformazione). In sostanza il "romanticume" andava a massacrare gli aspetti più nobili e sottili dell'arte in nome di una maggiore popolarizzazione, ma anche volgarizzazione. Ma questo potrebbe anche risultare esteriore e non coinvolgere più di tanto l'insegnamento. Invece è proprio questo, perché l'ulteriore popolarizzazione fece sì che al mondo del canto si rivolgessero in sempre maggiore quantità persone dotate di "voce" ma non necessariamente di spinte artistiche e culturali di buon livello, e il fatto che la scrittura musicale diventasse sempre meno sofisticata, sparite scale, arpeggi, cadenze e volatine, sempre più insegnanti ignoranti, in nome di chissà che, si immettevano sul mercato. La letteratura è piena di aneddoti su maestri di canto barbieri, calzolai e parrucchieri che insegnavano, sembra anche con buon seguito, perché stati per molti anni alle dipendenze di uno o più grandi cantanti, e ne avrebbero così carpito i segreti. Il business dell'insegnamento del canto ha portato però presto alla competizione, specie nelle grandi città. Siccome la pubblicità è l'anima del commercio, su cosa poteva basarsi un valido slogan per attirare clienti, al di là magari dell'aver avuto alla propria scuola questo o quel grande cantante, che è ancor oggi l'esca più appetibile (al di là del riconoscere se quel cantante è grande per quali motivi, e sapere, magari, se è... l'unico uscito da quella scuola)? Su due possibili condizioni: il promettere debutti rapidi e il venire in possesso di voce stentorea. Sul debutto rapido purtroppo ha fatto anche mercato una certa "mafiosità" di certi insegnanti che, a fronte di costi/lezione spaventosi - senza alcun ritorno qualitativo, per cui spesso necessita avere un altro insegnante un po' più esperto - ti procurano ingaggi e scritture che consentono di iniziare la carriera e, laddove le condizioni artistiche proprio non lo consentono, magari di entrare in amministrazioni o organizzazioni teatrali; sempre lavoro è! Comunque, per tornare al tema, da fine Ottocento e gradualmente a partire dalla fine del Primo conflitto mondiale e in modo esponenziale dopo la fine del Secondo, si è andato instaurando un diffuso insegnamento che doveva necessariamente basarsi su complicate sovrastrutture, perché quelli erano - e sono - i "segreti" che consentono di raggiungere presto risultati lirici importanti in termini temporali e di prestanza vocale. In realtà, come dicevo nei post precedenti, questo non è stato altro che un perenne "strizzamento" del tubetto, lontani da una autentica qualità canora. Da una quarantina d'anni a questa parte, poi, e anche questo con sviluppo esponenziale, si è aggiunto il dato "scientifico", che a sovrastrutture empiriche, ma non sempre malvagie, ha inteso offrire una sponda medica documentata, con la presunta, ma vincente, ipotesi che quella strada sia inoppugnabilmente quella giusta. Questo ha portato a una confusione e un mescolamento di carte paradossale e diabolico. In compenso il business la fa sempre da padrone, ovvero, come dicevo all'inizio, l'ego e il narcisismo. Oggi diventa quasi inconcepibile parlare di semplicità, perché ognuno è stato convinto che solo attraverso pratiche complesse e molto artificiali (i "segreti dei maestri") si possano raggiungere gli auspicati risultati di potenza, estensione e successo. Purtroppo non è così... ma a chi lo dico? La moda del XXI Sec. si è poi, in piccola misura, spostata sul naturale, sul biologico, sul (presunto e superficiale) orientale, per cui stanno sorgendo alcune scuole di canto "naturali", che però non sono in grado di riprendere la vera strada dello sviluppo graduale e inesorabile che per fortuna possiamo ancora ascoltare in alcune grandi voci del primo Novecento. Non può esserci profondo apprendimento senza un atteggiamento umile e paziente; senza una disponibilità ad accogliere in modo graduale i risultati; senza accontentarsi di ciò che va erigendosi minimamente ad ogni lezione; senza essere disponibili a rinunciare alle pulsioni interne più barbare. Certo la giovane età è spesso un ostacolo, perché i sogni e i desideri adolescenziali passano quasi sempre attraverso la voglia di successi di copertina, di incassi economici, senza reali desideri di approfondimenti storicamente apprezzabili; è umano, e non di rado le persone più inclini a una seria educazione artistica hanno ormai superato l'età in cui è possibile accedere al mercato. Purtroppo anche questo è un dato che rientra in una logica esistenziale incontrovertibile, ma non per questo disprezzabile.

4 commenti:

  1. Salvo1:48 PM

    Caro Fabio, come vorrei poter dire che tutto ciò che affermi non sia vero.... purtroppo però la dura realtà ci porta a confrontarci quotidianamente ed in tutti i campi con l'affermazione del proprio io tralasciando così tutti gli aspetti (che a dispetto vengono detti emarginali) veri, significativi, tra cui spicca appunto la semplicità; parola oggi in disuso, abbiamo bisogno di complicarci la vita in tutti i sensi, nella vana speranza di raggiungere mete illusorie e così anche una semplice amicizia diventa interessata, finalizzata, paragonata, macchinosa, confusa... Anche il concetto di libertà, nel canto ad esempio, diventa improponibile come il concetto di disciplina che è complementare e non antitetico. Cosa significa, al giorno d'oggi essere liberi rispettando gli altri e la natura? E' un concetto, ahimè, fuori dal mondo perchè nelal nostra società diventa sempre più difficile il rispetto delle regole, per una sorta di anarchia anche mediatica, che ci sta portando verso una distorsione reale di ciò che non può e non deve essere fatto (vedi le continue notizie di massacri soprattutto nei confronti delle donne che ormai viaggiano nell'indifferenza comune...). L'indifferenza, la mancanza di un vero senso autocritico, sono altri aspetti che coinvolgono la nostra società e quindi nello specifico anche il canto che è un'Arte e quindi non ha violenza, che trascende dagli aspetti bestiali ed istintivi dell'uomo e si rivolge al creato, all'essenza, allo spirito e quindi come tale dovrebbe essere visto.

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  2. Salvo4:58 PM

    Ti ringrazio.
    Colgo l'occasione per porti la seguente domanda: è naturale che nel momento in cui inspiro, cioè l'attimo prima che esca la voce, sentendo il fiato in bocca automaticamente e dolcemente mi si alza il palato molle e si crea l'effetto cupola, cioè voglio dire già con la sensazione del fiato in bocca?
    Puoi delucidarmi... Grazie.

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    1. Sì, è decisamente possibile, e si spiega con lo stato di rilassamento generale che riesci ad ottenere e l'equilibrio delle masse di cui ho parlato anche in questi ultimi post per cui non c'è una fasa inspiratoria decisamente in opposizione a quella espiratoria ma l'atteggiamento generale è sempre attiva ma non invasiva, cioè, se capisco bene, è sul e col fiato. Quel fiato che stai inspirando con rilassata serenità, già mentre fluisce in bocca potrebbe "suonare", è già pronto. Spero di essermi spiegato; è interessante, mi hai dato un buon appiglio per un post!

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