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giovedì, febbraio 27, 2014

Il tuono

No, non quello atmosferico! Un tempo si indicava con "tuono", l'odierno "tono", cioè la nota fondamentale su cui si costruisce una scala o un accordo. Da tono viene intonazione, cioè la capacità di eseguire correttamente una serie di note che corrispondono a una scala o un accordo; chi non vi riesce è indicato (talvolta bocciato!) come "stonato"! La persona intonata è, o dovrebbe essere, quella che riesce a riconoscere e riprodurre un suono con lo stesso numero di vibrazioni, ovvero che riesce a riconoscere quando un suono udito non è intonato. Lasciamo da parte l'orecchio assoluto, che è una condizione particolare e che richiederebbe altri approfondimenti. L'udire e il replicare sono due momenti diversi che attengono anche ad attività mentali e fisiche diverse. La persona convinta di avere un buon - o ottimo - orecchio, non è affatto detto che l'abbia veramente; spesso è una pura illusione, e molto spesso tanti se ne gloriano per darsi arie, ma in realtà non hanno alcuna vera capacità uditiva. Partiamo subito da un presupposto: la persona che non fa musica, cioè che non canta e non suona alcuno strumento, molto difficilmente può avere un valido orecchio (dico "orecchio" in senso popolare, ma è ovvio che è un processo che parte dall'orecchio ma si completa nella mente); del resto non è nemmeno detto che la persona che stona canticchiando non lo abbia. Il fatto è che ci vuole innanzi tutto un ottimo coordinamento tra mente e apparato fonatorio, indi una capacità vocale per lo meno sufficiente a riprodurre il suono mentale. La stragrande maggioranza delle persone è intonata; due sono le cause dell'assenza di orecchio: scarsa educazione dell'orecchio stesso, poca o punta educazione vocale. Come ho già scritto in passato, la capacità uditiva si trova nella stessa condizione della voce, cioè è limitata alle condizioni di vita relazionale e vegetativa, per cui non esiste alcuna necessità di avere l'udito di un cane, ad esempio, o di altri animali con questo senso acutissimo. Esso si attesta in ogni uomo al livello minimo indispensabile, per non impegnare troppo le nostre energie. Naturalmente esistono persone che l'hanno già più sviluppato di altri, perché l'orecchio, proprio lui questa volta, è particolarmente efficiente, e perché la memoria ad esso legata è particolarmente viva e quindi ecco che basta pochissimo per ricordare l'altezza di un determinato suono o più suoni, e persino accordi complessi, con punte estreme di persone che riescono a scindere le diverse note componenti un accordo e riconoscerle. Questo è più frequente nei bambini perché il loro sistema meccanico auricolare è quanto mai elastico ed efficiente. Però, ripeto, è più merito della mente che dell'organizzazione fisica. Il secondo punto riguarda la riproduzione del suono. Uno può sentire bene un suono, ma non riuscire a riprodurlo. Intanto c'è il problema delle ottave; come è noto, il sistema musicale si basa su una condizione del tutto particolare della nostra sensazione uditiva, e cioè che ogni volta che si raddoppiano le frequenze noi sentiamo la stessa nota con una qualità leggermente diversa (alto/basso - chiaro/scuro...); è una caratteristica solo della musica, non ci sono analogie in altri campi. Quando il soggetto capta una certa nota e cerca di riprodurla, andrà a cercare quella nota non tanto vicina a dove la sente, ma vicina alla sua condizione riproduttiva meno impegnativa; per cui se un uomo sente un la4, è difficile che riproduca un la 4, ma più probabilmente farà un la3 se non addirittura un la2. In questa ricerca della sua nota più comoda, cadrà facilmente in quarte e quinte, cioè sentendo lontano  il "suo" la dalla nota proposta, da principio toccherà note "a mezza strada", che sono appunto gli intervalli di quarta e quinta. Se è abbastanza intonato e tranquillo si porterà sulla nota giusta, altrimenti permarrà su quella sbagliata. Ecco dunque che quando si danno le prime lezioni di canto, non bisogna subito bollare i novizi con giudizi di scarsa musicalità e scarso senso dell'intonazione. Deve essere l'insegnante a proporre, eventualmente cambiando, le note che gli possono risultare più comode, e da lì cominciare a muoversi, mettendo a proprio agio l'allievo. Sinceramente di persone "stonate" ne ho trovate tante, ma mai nessuna che dopo un po' di tempo non si sia intonata. Con questo non voglio nemmeno dire che non ci siano persone che hanno e avranno sempre problemi su intonazioni appena difficoltose. Io stesso ricordo di aver avuto problemi a imparare brani con intervalli "balordi". Ma qui veniamo poi a un altro tema interessante, che è poi legato al "tuono" e che definisco sinteticamente: l'interferenza. Ci sono persone che memorizzano e leggono facilmente intervalli melodici mentre ci sono persone che legano la melodia all'armonia, presente o meno. Allora le prime persone riescono a intonare anche quando l'armonia non è del tutto chiara o volutamente o meno sbagliata o "strana"; le seconde possono trovare difficoltà quando, ad es., il pianista sbaglia, però possono avere qualche vantaggio su intervalli difficili nell'avere presente l'armonia sottostante, anche se solo virtualmente. Dal punto di vista educativo quindi, mentre le scuole insistono nel fare imparare a memoria gli intervalli, cosa che a non tutti riesce - tant'è vero che occorre relazionarsi con motivetti molto noti (la marcia trionfale dell'aida, il brindisi della traviata, ecc.) per riprodurli, si dovrebbe sempre anche avvicinarsi, almeno per sommi capi, all'armonia, che è tra l'altro un fondamento anche del solfeggio.

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