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domenica, luglio 27, 2014

La qualità del fiato

E' comprensibile che qualcuno, con intenti seri o anche provocatori, chieda "ma alla fin fine cos'è questa "qualità" del fiato, di cui sempre si parla in questo blog?".
Non è per niente facile spiegarlo a parole; come la maggior parte delle cose d'arte si riconosce conquistandola. Semplicisticamente alcuni parlano di "pressione" aerea, il che non è del tutto sbagliato, ma sarebbe una sottovalutazione e in qualche modo persino una contraddizione. Infatti i primi grossi problemi che ci si trova ad affrontare in chi inizia lo studio del canto è proprio la pressione, eccessiva, che si viene a creare e che disturba prepotentemente l'emissione vocale, a causa della sua condizione legata alla funzione valvolare laringea. Quindi potremmo dire che la "pressione" aerea polmonare sta alla funzione valvolare laringea istintiva come la qualità sta alla perfetta emissione. La pressione si crea con il sollevamento diaframmatico, e per mantenere questa pressione, che di fatto forza l'ampiezza glottica, occorre una carica muscolare non indifferente, ed ecco quindi il ricorso al "sostegno" addominale oppure le respirazioni diaframmatico-ventrali. Queste sono le tipiche situazioni in cui l'uomo viene "spremuto" (o "strizzato", come scriveva lo sciagurato Celletti) per poter buttar fuori voce (con che qualità si potrà immaginare). Dunque il traguardo da raggiungere è: minima pressione, giusto necessaria a produrre i suoni, costanza, regolarità assoluta. L'unione di questi due parametri, che la conoscenza umana già possiede perché li applica costantemente durante il parlato, ma non assurti a coscienza, si sintetizzano nell'aggettivo: qualità. Ancor più precisamente la qualità è l'unificazione dei tre apparati, che avviene a carico del fiato: esso produce il suono, ma deve possedere quel grado di energia interna (che la normale respirazione fisiologica non ha o ha in maniera esagerata e irregolare) grazie alla quale non solo si determinato le condizioni più ideali di amplificazione senza compromettere in alcun modo l'articolazione, ma consentono il nascere del tipo di suono più sonoro ed elevato, cioè la vocale pura - esterna -, con quelle caratteristiche che le permetteranno di "correre" ed espandersi mirabilmente nell'acustica del locale in cui si canta. Se la vocale può definirsi la più alta qualità di un suono, è logico e meravigliosamente correlato il fatto che per produrla occorra la più elevata qualità di fiato possibile. La pressione ideale è "semplicemente" determinata dalla trasformazione del fiato in suono e non occorre alcun impegno diaframmatico, anzi esso (impegno) viene eliminato, con la soppressione delle reazioni. Ogni più piccola spinta già destabilizza e squilibra tutto l'apparato e quindi spezza l'unità. La fluidità respiratoria che si tramuta in voce è una concezione altissima ma inimmaginabile; solo la nostra conoscenza profonda può giungere a prevedere la possibilità di una simile condizione, che esiste in noi in quanto uomini, ma che solo una volontà estrema, unita a umiltà, sopportazione e "fede" (non in questa scuola o in una qualche divinità, ma in noi stessi) può rendere possibile. Non sto parlando di "sogni e di chimere o di castelli in aria", ma di una realtà tangibile e verificabile, ma paurosamente lontana e difficile da conquistare.

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