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sabato, settembre 06, 2014

Impara a solfeggiar...

“Se il maestro fa cantare all’allievo le parole prima che egli abbia un franco possesso del solfeggiare e del vocalizzar appoggiato, lo rovina.”
Questo scriveva il Tosi nel 700, e qualcuno pensa bene di costruirci sopra ardite fantasie. La frase del Tosi è di una semplicità disarmante: nel canto (non negli esercizi!) prima di inserire le parole, si deve conquistare adeguatamente una buona padronanza della vocalità. A differenza dell'esercizio, che è basato su scalette o arpeggi che hanno lo scopo di semplificare l'esecuzione (e dove le parole ci sono, come è evidente dalla frase del Tosi che dice: SOLFEGGIARE - e si riferisce a solfeggio con le note, non vocalizzato!), il canto è basato su salti repentini di note e cambi continui di vocali e consontanti (senza contare tutti gli aspetti non indifferenti legati all'esecuzione musicale, con legati, staccati, dinamiche, ecc.), quindi c'è un insieme di difficoltà che per il principiante sono ardue da superare, per cui è valido il consiglio di eseguire prima il brano vocalizzato e poi inserire le parole. Da questo perdiodo del Tosi, però, comprendiamo anche un importante concetto, e cioè che le parole sono difficili da pronunciare correttamente e mettono in croce gli apprendisti, in quanto difettose in origine, e, quindi, come noi ripetiamo, è necessario perfezionarle. Non perché noi vogliamo insegnare alla Natura, ma perché la Natura non ha bisogno, per la sopravvivenza e la vita quotidiana dell'uomo, di una dizione perfetta, ma adeguata al contesto, quindi sufficiente per questa necessità ma insufficiente per un'attività artistica che esula e travalica tali necessità contingenti. E' l'uomo che vuole spingersi al di là delle colonne d'Ercole che ha bisogno di creare le condizioni per perfezionare il parlato e portarlo al livello di un parlato intonato, e, come sanno coloro che ci seguono senza pregiudizi e con buona disposizione d'animo, la questione di fondo non è poi perfezionare il parlato, ma sviluppare le condizioni respiratorie che portano il parlato a elevarsi a parlato intonato esemplare. Con un po' di umiltà, buon senso e intuizione ci si può arrivare, senza arrampicarsi sugli specchi in cerca di bibliche spiegazioni.

6 commenti:

  1. Salvo2:45 PM

    Avrai spiegato centinaia di volte che è fondamentale sviluppare le condizioni respiratorie che portano il parlato a elevarsi a parlato intonato esemplare ed io riguardandomi in quest ultimo post, ho rivissuto il mio percorso dal concetto iniziale di "ring" di "incontro di boxe" con il mio istinto ed invece poi la sempre più naturale convivenza ed autodisciplina dello stesso. Il concetto di forza che quasi sempre si attribuisce inizialmente al canto e che poi ahimè rimane in alcuni, anzi troppi, cantanti, è il vero ostacolo iniziale. Senza la forza pensi che non riesci pronunziare bene, non riesci a proiettare la tua voce... non riesci a comprendere come senza "spinta... anche iniziale" puoi far viaggiare la tua voce... appunto senza apparente "energia". Energia= forza... Forza= energia. Ma l'energia dei fotoni è poi cosi evidente? No se consideriamo che stà lì in apparente calma.... Il canto è appunto "energia sublime", e le nostre condizioni respiratorie possono innescarla solo se i "fotoni" giusti vengono creati, avvicinati, nelal giusta misura, intensità. Non c'è marchingegno alchemico, c'è solo la considerazione fortemente consapevole che il canto non ha bisogno di essere "forzato", che il nostro respiro deve abituarsi piano piano a "sentirsi senza paura", quando si capirà che si può intonare parlando e "creando" quei piccoli "fotoni" come quando a pelo d'acqua si respira e si soffia nuotando o galleggiando.

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    1. Anonimo4:20 PM

      Ciao
      Sì, il Maestro lo spiega spesso, io condivido, sia per umiltà che per intuito:La dizione deve essere chiara e la forza è nella leggerezza, dove dicasi però per leggerezza equilibrio, non rilassarsi o lasciarsi andare, o meglio sì a queste due cose, ma nel modo giusto, ovviamente.
      Io rimango spesso interdetto perchè spesso nei cantanti pop considerati abili, la dizione tende ad essere chiara, ora però io non saprei se secondo i parametri di Fabio essi tutti (una buona parte sicuramente) forzino il suono e quindi in questa tecnica un po' più "rozza" e simile al parlato risieda la loro facilità di pronuncia.
      Di certo so che molti di loro affrontano regolarmente il passaggio, sebbene con meno cura, altri, segnala Fabio, fanno tutto di petto.
      Che ne pensate?

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    2. Molto appropriata l'analogia con i fotoni. Certamente il rapporto tra forza ed energia nel canto è fonte di indicibili errori e nefaste conseguenze. La cosa strana è che appena si canta c'è da un lato molta energia volontaria, ma dall'altro ce n'è anche molta involontaria, per cui si realizza un "ingorgo" laringeo che non può che originare problemi. Se può essere difficile contenere la voglia di spingere, di somministrare energia, quanto può essere difficile ridurre ed eliminare quella che manco ci accorgiamo esserci? Questo è uno dei fondamentali, se non IL fondamentale, aspetto da esaminare e di cui venire a capo.

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    3. La dizione in registro di petto è più semplice perché appartiene, cioè è propria, di questo registro, ovvero ancora perché per il fiato è più semplice mettere in vibrazione la corda in questo atteggiamento, seppur "rozzamente", mentre nell'atteggiamento "teso" la vibrazione richiede maggiore impegno e dunque anche l'articolazione ne risente.

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  2. Caro Fabio, mi ha sempre affascinato la voce del grande Corelli. Una tecnica forse da non seguire...., non per tutti... puoi spiegarmi però nel dettaglio cosa era la voce di Corelli? Grazie.

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  3. Parlare di Corelli è cosa che richiederebbe parecchio spazio; provo comunque a dire. Intanto è stata una delle voci più torrenziali che si ricordino, di una natura decisamente misteriosa, ampia, brunita ed estesissima. Ricchissima ma anche non fortunatissima, con diversi difetti naturali, la "s" sibilante e un vibrato stretto che però riuscì quasi ad eliminare del tutto. Acuti estremi di bellezza e portata straordinaria ne fecero un cantante ideale per i personaggi romantici. Fin qui tutto bene, poi inizia l'uomo Corelli, che non ebbe, nei confronti della sua vita artistica, un rapporto felicissimo, per quanto si sa, e che causò i problemi più evidenti nel dispiego della carriera. La paura del palcoscenico, la voglia maniacale di migliorare (oltre all'eliminazione del vibrato, la volontà quasi ossessiva di fare i piani e pianissimi fin sugli acuti estremi, di cantare repertorio non in carattere con la sua voce, come Bohème, Werther o Romeo e Giulietta), lo "castrarono" nelle sue esibizioni (gli innumerevoli forfait, specie nell'ultimo periodo, per cui non ha praticamente mai concluso ufficialmente la carriera), l'abbassamento di alcune arie come la pira, dove in realtà non aveva alcun problema, l'evitare acuti benché più volte provati e riusciti, come negli Ugonotti alla Scala, ma soprattutto una separazione (netta in alcuni ruoli, meno in altri) tra il cantante e il personaggio, per cui in molte occasioni la delusione è cocente, perché si sente un gran (bel) vociare e basta. C'è poi la questione Lauri Volpi e forse altre cose, ma ora mi fermo qui, credo che l'essenziale ci sia!

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