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lunedì, dicembre 15, 2014

Revision delle revisioni 2

Dunque, un cantante, vuoi professionista che buon amatore, con una certa esperienza pubblica, stimato, applaudito sinceramente, a un certo punto decide di dedicarsi all'insegnamento. Sa che dovrà forgiare dei giovani; certamente dovrà consentir loro di potersi esprimere vocalmente in modo disinvolto, libero, e di comunicare musicalmente a un livello perlomeno buono. Quindi, dopo le prime lezioni di preparazione, di conoscenza, ecc., comincerà ad affrontare le prime paginette di musica. Ad esempio i primi studi del Vaccaj. Il compositore Nicola Vaccaj fu un apprezzato compositore e un ricercato insegnante di canto sia in Italia che all'estero, e compose questo "metodo pratico di canto italiano per camera in 15 lezioni" nel 1833. Negli anni 80 del 900 venne ripubblicato in una edizione revisionata da un noto insegnante di canto. Sulla breve premessa concordo sostanzialmente con quanto scritto. Non so quanto la realizzazione abbia seguito le intenzioni. Facciamo subito un esempio. Nella prima arietta "manca sollecita" il revisore aggiunge poche righe al commento dell'autore, tra le quali mi piace sottolineare le seguenti: "... durante l'ascesa alla nota più acuta del pezzo si avrà cura di osservare la più assoluta immobilità e rilassatezza dell'apparato oro-faringeo al fine di realizzare un canto sul fiato ideale. L'attacco sulla nota iniziale della quartultima battuta potrà essere eseguito sia sul f che sul p a seconda delle possibilità espressive dell'esecutore." Convengo con quanto dice in seguito, cioè che nonostante l'apparenza è un brano difficile.
Rimango basito di fronte a tre sollecitazioni: "assoluta immobilità e rilassatezza dell'apparato oro-faringeo", "realizzare un canto sul fiato ideale", "l'attacco ... potrà essere eseguito sia forte che piano". Dunque, secondo l'esperto docente, si può immobilizzare e nel contempo rilassare l'apparato oro-faringeo, e questa è la condizione per realizzare, si badi bene, alla prima lezione, l'ideale canto sul fiato. Come pensa e come potremmo noi da queste poche righe cogliere qualcosa di autenticamente utile e significativo? Se pensa che un allievo possa leggere e poi realizzare in modo calligrafico questo suggerimento è come minimo un ingenuo e un visionario, se invece pensa che debba essere l'insegnante personale a mettere l'alunno nelle condizioni di poter esprimere al meglio delle possibilità del momento l'esecuzione del brano, allora il commento è non solo superfluo ma anche fastidioso, perché un insegnante esperto già sa quel che deve fare, e non è detto che ricalchi quanto scritto dal revisore, che a questo punto diventa un punto di contrasto e quindi di possibile confusione per l'allievo. Adesso veniamo al brano vero e proprio, cioè la seconda arietta, "semplicetta tortorella". Sinceramente io non capisco cosa è stato fatto. Contrariamente alle normali edizioni critiche, qui è tutto scritto normalmente, cioè non ci sono legende per farci comprendere se è stato aggiunto qualcosa di mano del revisore, ad esempio legature tratteggiate. Ho provato a cercare in rete edizioni diverse e ne ho trovate due, una del tutto identica anche sul piano delle indicazioni espressive, quindi anche legature, e una invece molto più ricca, quindi... non si sa. Bel lavoro!
Ora, quale potrebbe essere invece un ruolo fondamentale nel lavoro di riedizione di un lavoro storico, ancor più se di carattere didattico? Dare quelle indicazioni di natura MUSICALE che non tutti gli insegnanti di canto possiedono (ma chi le possiede!!?), e che non si scontra e non contrasta con la sua "competenza", ma anzi la integra e completa. Ad esempio è piuttosto normale, per non dire sistematico, che ci siano stereotipi, tipo accenti fuori luogo, cantilene, legature improprie. Ad esempio, è abitudinario mettere gli accenti in questo modo:
Qui saremmo nel paleozoico dell'insegnamento musicale, eppure lo si sente benissimo fare da gente che canta da anni. Il 6/8 è un tempo non facilissimo, perché ha una forte tendenza alla cantilena. Si tratta di non avallare questa tendenza, se non si tratta di una nenia. Se anche non si va in contraccento, come nell'esempio, anche accentare tutti i tempi in battere è comunque sbagliato. Quanti insegnanti e allievi (e magari pure revisori...!) si soffermerebbero a osservare che il brano parte in levare, sul 4° tempo? E' strano? No, Vaccaj, molto semplicemente, si rende conto che il primo accento tonico è sulla "é" di semplicétta (mi raccomando, la "é" con accento acuto, cioè stretta), e correttamente fa coincidere questo accento con il primo accento musicale, cioè il primo battere possibile, sulla seconda battuta. Quindi il brano deve iniziare piano e andare a cadere sul battere successivo, dopodiché diminuire sensibilmente il "-tta" finale. Ma anche qui siamo alla preistoria! Qual è la frase? E' "semplicetta tortorella", e non dobbiamo pensare che ogni parola debba rivelare prepotentemente il proprio accento; tra queste due, è evidente che l'accento più importante cada sulla "è" di "tortorèlla" (se osservate le minime, c'è la scaletta fa sol la, quindi il la è la più acuta, così come successivamente c'è una scaletta discendente do-si-la-sol). Il geniale revisore, proprio al contrario di quanto ho esposto, suggerisce di accentare leggermente i tempi deboli!!!! cioè rovinare totalmente il pezzo! e, ancor peggio, ci invita a non fare crescendi e diminuendi. Ma sì, tutto uguale, evviva!! e notare che non c'è ombra di legatura!! Nuovamente la seconda frase parte in levare; quale importanza può avere un "che"? nessuna, quindi sarebbe palesemente antimusicale partire da un forte. Mi pare abbastanza chiaro che la frase tenda al "-ri" di "periglio". Per esemplificare graficamente la dinamica dell'esecuzione, devo ricorrere a una doppia fila di forcelle; in pratica all'interno di due crescendi, il primo un po' più trattenuto, il secondo più esplicito, dobbiamo fare dei piccoli diminuendo al fine di non incorrere in accentacci su sillabe atone.
Si potrebbe, invece, instaurare una simmetria decisamente inopportuna:
In questo modo la terza frase ripartirebbe da zero ed ecco la reiterazione ciclica che toglierebbe qualunque interesse al brano.
Un grosso pericolo è anche costituito dalle simmetrie; in questo caso una simmetria c'è, però il fatto che la seconda frase parta da una nota più alta e con un suo piccolo accento, mette al riparo da questa eventualità. Altra questione è costituita dalla durata delle note. In genere gli allievi che non hanno una forte musicalità innata, tendono ad accorciare i tempi deboli e spessissimo "rubano" tempo, cioè arrivano prima del dovuto al battere successivo, creando buchi e/o sfasamenti con il pianista, per cui bisognerà agire sulla pronuncia ben distesa delle sillabe in levare (-pli; to; non; pe); un discorso fondamentale riguarda alcuni pronomi ricorrenti come "mio", "suo" "tuo", che finiscono spesso e volentieri per diventare "miò", "tuò", "suò". L'insegnante non deve demordere dal fermare SEMPRE l'allievo e fargli cantare correttamente mIo, tUo, sUo, ecc., allungando anche oltre misura la vocale tonica, fin quando diventerà spontanea.
Guardate quanto ho già scritto, e non sono ancora a niente! Un Vaccaj revisionato per bene, dovrebbe avere dimensioni triple, rispetto al volume edito. Adesso, se esaminiamo il testo, ci rendiamo conto che la frase non ha senso, manca un pezzo; infatti adesso abbiamo: "per fuggir dal crudo artiglio, vola in grembo al cacciator". L'autore riprende la frase musicale iniziale. Inizierà con lo stesso "piano" iniziale? Ovviamente no, la tensione è cresciuta, sia da un punto di vista musicale che testuale. La terza frase, "vola in grembo...", è scritta una terza sotto la simmetrica seconda frase, la qual cosa potrebbe risultare strana, perché la tensione dovrebbe aumentare significativamente. Ma è evidente che Vaccaj, che era musicista esperto, si rende conto che la brevità dell'aria rischia di farlo morire subito, e non c'è ancora sentore di climax, quindi scende al fine di preparare una "salita" più efficace ed evidente, prima della conclusione. Il punto massimo coincide con l'aspra figura dell'artiglio, sulla nota più acuta del brano, dove cadrà anche il forte più acceso, seppur non mai esagerato. La quarta frase, che riparte dalla stessa nota più acuta, sarà poco meno forte di quella, perché dobbiamo scendere gradualmente per far stemperare la tensione. Ricordiamo che il brano musicale si contraddistingue da tre punti, inizio, fine e punto massimo, ovvero nascita, morte e articolazione tensiva; la parte fino al PM è la fase implicita, da qui, con l'occhio rivolto al PM, si passa alla fase esplicita, fino alla fine. Facciamo ancora notare alcune cose, che qui non rivestono un'importanza somma, ma sono sempre da tenere d'occhio. Le RIPETIZIONI, soprattutto musicali. Qui abbiamo la seconda e la sesta battuta uguali, però, come dicevo, non nascono problemi perché abbiamo già indicato la necessità di crescita in entrambi i casi. Quindi abbiamo le IMITAZIONI. E qui siamo pieni! testuali ma soprattutto musicali e anche speculari. Praticamente è tutta un'imitazione! Nelle imitazioni occorre individuare la proposta e la risposta; la risposta, risultando la parte PASSIVA del gruppo andrà a "meno", cioè con un'intenzione dinamica meno forte. Infine, forse, abbiamo le CHIUSE, cioè le conclusioni delle frasi, che vanno sempre a meno, se non ci sono accenti, ma anche in quel caso l'intenzione deve sempre essere quella di attenuare. Ora pubblicherò su un'altra pagina l'intero spartito con le indicazioni dinamiche che ho evidenziato.

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