Translate

sabato, agosto 15, 2015

Mayan - le scuole degli altri

Mi è stato sottoposto in questi giorni un trattato di canto di J. M. Mayan: "Il canto e la voce", tradotto dal francese nel 1895 a Trieste. Premetto che non lo conoscevo, non so chi sia stato questo Mayan, né ho trovato informazioni utili. Ho visto però che, almeno in sue parti, è stato letto e citato in altre pubblicazioni e soprattuto da alcuni insegnanti recenti. Sono sempre più convinto della inutilità di questi trattati, anzi della loro controproduttività. Nelle traduzioni, poi, c'è anche da considerare l'apporto del traduttore, che difficilmente può essere del tutto neutrale, oppure può portare nocumento la scelta di un termine o di un sinonimo. Approfitto comunque dell'occasione per fare alcune considerazioni. Così inizia la prefazione:
"Un altro metodo di canto! Un altro libro sulla voce! Quante volte ci toccò sentire delle esclamazioni consimili ad ogni apparizione d'un nuovo libro di studio, e ciò appunto dai maestri di canto e dai cantanti!"
Che dovremmo dire noi, che dopo oltre un secolo vediamo apparire quasi un libro al mese sull'argomento e contemporaneamente assistiamo a una decadenza sempre più verticale del canto e del suo insegnamento...!? Eppure, già a fine Ottocento, quando imperavano artisti sommi, che noi oggi (o buona parte di "noi") ammiriamo come grandi artisti, cosa scrive questo autore?:
"Difatti, oggigiorno, tutti son maestri di canto: pianisti, violinisti, trombettisti, ecc., tutti professano, come se non occorresse altro che essere musicista per saper servirsi della voce."
e poco dopo:
"Si rifletta un po' alla grave responsabilità che un maestro di canto si assume e non ci si meraviglierà se io recrimino altamente contro quella massa di gente che professa senza averne la capacità. A che cosa ci ha condotto tutto ciò? Alla degenerazione dell'arte del canto."
Alla fine cosa risponde alla domanda che si è posto implicitamente, cioè perché pubblicare un ennesimo libro sul canto? Perché, naturalmente, svela una sua grande scoperta (o invenzione, direi io):
"il nostro scopo è quello di pervenire a far comprendere che, invece di spingere i suoni, si debbano attaccare tutti colla glottide, dirigendoli nella maschera facciale. Ecco tutto il secreto del nostro metodo."
Non ho trovato una versione originale di questo metodo, quindi non so quale termine sia stato usato dall'autore; quello che so è che qui abbiamo appunto... l'inizio della fine, cioè l'insegnante che, sulla falsariga delle "osservazioni" dell'Accademia della Scienze e del Garcia, esce dalla diritta via del canto squisitamente artistico e quindi dell'insegnamento empirico basato sull'intuizione, sulla conoscenza profonda, sul confronto e su una raggiunta coscienza, vuole scientificizzare e meccanicizzare il lavoro vocale e il suo insegnamento. Aver deviato da quella via, ovvero non aver integrato con le nuove informazioni la vecchia scuola, ma aver voluto cambiare e riscrivere le regole, ha distrutto un patrimonio. Il termine "maschera" in Italia circolava da poco tempo, spesso in accezione negativa, come è giusto che sia. Ora si scopre che esistono "i risuonatori", come se l'uomo fino ad allora non li avesse avuti e utilizzati, senza saperlo, o sapendolo ma senza aver dato enfasi a questa conoscenza, probabilmente proprio nella speranza che il saperlo non portasse a "distrarsi" dal vero obiettivo. In ogni modo così è stato. Due errori fatali in una sola frase: "attaccare colla glottide" e "dirigendoli nella maschera facciale". Già si dimentica, gravemente, che la voce NON E' suono, ma è un'articolazione sonora, pertanto è fondamentalmente diversa dai normali strumenti musicali meccanici, che avendo UN suono, possono giovarsi, seppur anche loro con limitazioni, di una cassa armonica amplificante. A parte numerose e fondamentali caratteristiche, le continue modificazioni di colore e di pronuncia (soprattutto; questione questa UNICA nel mondo musicale; imprescindibile) rendono la questione della maschera intesa come luogo interno di amplificazione volontaria del tutto inapplicabile, salvo difetti gravi. C'è poi da considerare cosa intenda l'autore, ma su questo si tornerà poi. L'altra questione, dell'attacco glottico, penso sia un portato, anch'esso gravemente erroneo, del Garcia, che ha fatto una strage con quella imprecisa asserzione nel suo trattato. Continuo a credere che sia stato mal interpretato, ma a poco giova, il fatto è che per molto tempo, e ancor oggi, molti pensano che il suono si debba attacare con un colpo di glottide, il che confligge con l'idea di "vocale", che, a differenza delle consonanti, non ammette (o non dovrebbe ammettere) chiusure di alcun genere! La cosiddetta "gola aperta" non è da limitare al periodo post attacco, ma è esso è compreso. Procedo, per non essere prolisso.
"...noi,..., non sapremmo ben definire ciò che sia una voce di petto, come pure una voce di testa, e comprendiamo benissimo 1'imbarazzo d'un allievo a cui si parli, come d' uso, di voci bianche, chiare, oscure, miste, di falsetto, mezza tinta, palatale, labiale, frontale, di fuori, di dentro, di gola, ecc. ..."
Purtroppo questo diviene molto evidente man mano che si scorrono le pagine. E cosa contrappone a questo?:
"occupiamoci d' una voce sola — la YOCE, nel modo più naturale di emetterla e col menomo sforzo possibile, consci come siamo che tutto ciò che si scosta dal semplice e dal naturale, si scosta dalla verità: ed è animati da queste ragioni che abbiamo dettati i consigli che seguono."
Ahh! Ecco finalmente la soluzione: il semplice e il naturale. Quindi attaccare il suono con la glottide e dirigerlo verso la maschera sarebbe "semplice e naturale"! Se a me sembra innaturale e arzigogolato... mi scosto da una verità se invece dico che nasce dalla parola? E' proprio vero che molti autori scrivono ma non leggono quanto scrivono.
"Ognuno può cantare, come tutti parlano, ed è falso il credere che la voce sia dono di qualche privilegiato, prova ne sia che nasciamo tutti colla voce, e voce cantata non è altro che voce parlata, appoggiata altrimenti."
Eccola, la verità. Peccato che quanto affermato in precedenza e riaffermato in seguito sia la più totale negazione di questo assunto. Ma vediamo ora le regole. "Per cantare è necessario di: 1. Tenere il corpo verticalmente dritto." Corretto. "2. Sviluppare il petto.": in che zenzo, scusi? Parla di "voce di petto"? di cui dopo dirà peste e corna, o cassa toracica? Qui non è dato sapere. "3. Tenere la testa dritta (piuttosto inclinata in avanti che indietro). 4. Aprire la bocca (abbassare il mento senza muovere la testa). 5. Respirare profondamente (badando di non sollevare le spalle)." Fin qui tutto ok, sono regole generali, universalmente condivise, per quanto possa essere anche molto discutibile il "profondamente", che può creare parecchi problemi. "6. Far risalire il respiro.": questo cosa significa? Non bloccarlo? "7. Non chiudere la gola." Eh, buon consiglio, ma il problema è che si chiude! Mica nessuno vorrebbe chiuderla! "8. Attaccare il suono in testa, cioè dirigerlo nella maschera per mezzo della glottide." Beh, detta così è ancora più carina: "dirigerla nella maschera PER MEZZO della glottide..." cos'è, una fionda? "9. Legare il suono (da non confondersi col portamento che è proibito)."Ullallà, addirittura proibito! E' vero che sono due cose diverse, ma perché sarebbe proibito? "10. Cominciare e finire il suono colla bocca aperta."Può essere un consiglio valido, ma sempre discutibile se non contestualizzato. "11. Curare la qualità del suono e non la forza (visto che il suono emesso bene si rinforza poi gradatamente da sè stesso). 12. Non spingere mai il suono."Questi sono sicuramente validissimi consigli e non necessitano di ulteriori chiarimenti, almeno in questa sede; questa è vera semplicità e naturalezza, che purtroppo non sono i criteri adottati nella redazione del resto di questo libro. "13. Attaccare il suono nettamente, non però pienamente, cioè mai troppo aperto e con tutta la forza della voce." Generico, discutibile "14. Non dimenticare mai che 1'emissione si stabilisce colla leggerezza e non colla forza, cioè che il suono emesso con forza può prendere qualunque direzione: nel naso, nella gola, ecc., nel mentre che quand'è emesso leggermente si dirige da sè nel suo posto naturale." Ma guarda! E' proprio così, e questo posto è la bocca! Chissà perché poi ci induce a fare diversamente... Per quanto riguarda la questione dei registri, c'è da segnalare un errore marchiano; dice che donne e tenori hanno il passaggio sulle stesse note (non ne individua una, ma 3 contigue) ma le individua in posti diversi:
"Questo passaggio ha luogo per i tenori sul mi, fa, sol in alto del rigo (chiave di sol). ... per le donne il passaggio ha luogo sul mi, fa, sol, in alto del rigo (Chiave di "sol)." E' evidente che se sono sulle stesse note e il tenore canta un'ottava sopra, le donne il passaggio ce l'hanno non "in alto" ma "in basso del rigo".
Pur non condividendo la genericità, mi posso ritrovare.
"Il soffio adunque non si fa voce che all'uscire dalla laringe, ed è esprimersi malamente il dire: voce di petto, giacché se il soffio resta nel petto, non è nè suono, nè voce."
Questo attiene una certa modalità di interpretare la nomenclatura; sono abbastanza d'accordo sulla scarsa efficacia di questi termini; oggigiorno non credo che si possa più intendere in questo modo, ma la precisazione può tornare utile, anche se non condivido il modo di esprimerla. A questo punto iniziano una serie di affermazioni incomprensibili, che non riporto, nel senso che non si capisce se è d'accordo o meno, se ritiene quando descrive positivo o negativo... credo ci siano un po' di problemi di traduzione e forse anche proprio di scrittura da parte del curatore.
"La difficoltà del passaggio della voce consiste nell'unire un suono forte a un suono leggero — relativamente — ossia unire un suono che possa venir attaccato aperto e, come si suol dire, di petto, ad un suono che non fossa venir attaccato che in testa, unire cioè due suoni che non abbiano lo stesso timbro e la stessa emissione."
Ribadisco che considero molto mal descritto tutto ciò, però alla fine concordo con un dato oggettivo, che però l'autore non coglie se non nelle sue caratteristiche esteriori; cioè non si pone il quesito del perché l'uno sia forte e l'altro leggero (due aggettivi non del tutto in linea; forte è il contrario di piano, leggero è il contrario di pesante..., non parliamo poi dell'abusatissimo termine "aperto", di cui non dà alcuna spiegazione e che oppone al suono "di testa", non definendolo "chiuso", per cui rimane un termine confuso), ritiene che l'unico motivo del perché l'uno sia forte e l'altro leggero dipenda dal fatto che uno è "di petto" e l'altro "di testa", con una mentalità ormai decisamente superata.
"Per riparare a tutti gli inconvenienti che possono sopravvenire alle note di passaggio della voce, e per giungere anche a cantare con eguale facilità sulle note gravi, di centro e acute, il solo mezzo è l'unità di emissione, cioè una sola maniera di emettere, di attaccare, di dirigere il suono per tutta l'estensione della voce."
Alla buon'ora!! Finalmente ci dice una cosa fondamentale, una intuizione importante che non molti nell'arte del canto hanno saputo applicare e di conseguenza insegnare. Peccato, fondamentalmente, che quanto ci suggerisce per ottenere questo risultato sia a dir poco pessimo! Date le dimensioni del post, interrompo qui e proseguirò prossimamente.

Nessun commento:

Posta un commento