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mercoledì, agosto 12, 2015

Questioni acustiche

Mi hanno segnalato che secondo qualcuno il fatto che le donne siano poco o nulla comprensibili nel settore centro acuto dipenderebbe da questioni "acustiche". Mi piacerebbe proprio conoscere quali sono! Una questione acustica dovrebbe dipendere dall'ambiente e quindi mi vien da pensare che non è il cantante che non pronuncia bene, ma siamo noi che non sentiamo bene, appunto, per questioni che riguardano la diffusione della voce. In realtà le questioni sono differenti, e su questo blog la risposta l'ho data parecchio tempo fa, ma la ripercorriamo qui. Per prima cosa c'è la famigerata questione del o dei passaggi. Il vero passaggio nelle voci femminili (anzi in tutte le voci) è uno, e si attesta intorno al fa3 (primo spazio in chiave di violino). Molte scuole praticano l'oscuramento del suono per facilitare il passaggio, ma questo produce distorsione della pronuncia, per cui, ammesso che sia una pratica utile e che venga utilizzato correttamente, è sempre un metodo da superare, cioè non è pensabile utilizzarlo durante la professione, anzi già durante la parte avanzata dello studio. Poi c'è un secondo punto, sul re4 (e non "intorno a...") dove NON c'è un passaggio di registro, perché non ci sono altri registri, ovvero altre meccaniche cordali, ma c'è l'ingresso in una zona che richiede un maggior impegno respiratorio. Questo produce, specie nelle giovani studentesse, qualche difficoltà e probabilità di arretramento del suono, che viene interpretato come un passaggio e dunque sovente affrontato con oscuramento. Molte cantanti e insegnanti, assurdamente, per una qualche analogia con la voce tenorile, che in questo caso di analogie non ne ha alcuna, pensano che questo passaggio (che non c'è) sia sul fa4, mettendo a repentaglio la salute vocale delle malcapitate, perché se non è chiaro che il maggior impegno inizia sul re, vuol dire mettere a dura prova gli apparati fonatori nel tratto re-mi4 per poi peggiorare le cose sul fa4 con un oscuramento dove invece sarebbe richiesta maggiore apertura e chiarezza. Partiamo da alcuni dati fondamentali, che porrò quasi dogmaticamente, perché sono questioni universali. Qualunque donna, sia essa soprano mezzosoprano o contralto è in grado di pronunciare perfettamente su tutta l'estensione di petto, il che vale sicuramente per tutta la gamma grave e media (quindi fino al fa-sol3) e si può estendere perlomeno fino a un do#4. La gamma fa3-do4 è impropria, rientra più logicamente in un ambito di grido, però non è vietato e per molte cantanti è pure facile. Risulterà più abbordabile per i soprani leggerissimi, per i mezzosoprani (almeno fino al la3) e i contralti. Superando il do#4 si entra in una zona pericolosa, dove il petto non esiste più, per cui è una forzatura anche estrema, che in campo "moderno" viene definito belting, e consiste in un aumento consistente della spinta sottoglottica (esistono però laringi di struttura particolarmente robusta e sovradimensionata che riescono a sostenere senza grossi danni anche un'ulteriore gamma di petto fino a oltre il fa4, ma a loro rischio e pericolo). E' fuori discussione che si possa fare arte vocale in queste condizioni. Soprani e mezzosoprani (più difficile per gli autentici contralti) possono arrivare a una pronuncia PERFETTA in registro di falsetto puro anche nel settore fa3-mi4. Sarà difficile, lungo e impegnativo, più che per gli uomini, ma indispensabile e comunque foriero di risultati importanti. Non c'è alcuna controindicazione e chi eventualmente ne indicasse dice il falso, accampa scuse per giustificare la propria ignoranza o incapacità e magari per indicare percorsi di studio più rapidi e graditi, quindi commercialmente remunerativi. Il vero problema della pronuncia femminile inizia invece intorno al fa4. Entrando nel settore di (vera) voce di testa, il che inizia dal re4 e, per precisione rammentiamo, non è che la CONTINUAZIONE della corda di falsetto, ma senza più le possibili influenze della vibrazione della parte interna della corda (petto), la porzione vibrante diventa sempre più piccola e questo richiede un'alimentazione respiratoria sempre maggiore; a contributo aereo maggiore, deve corrispondere uno spazio orale sempre maggiore che accolga, lasci sfogare, questa corrente (divenuta suono). La necessità di mantenere ampi spazi preclude la possibilità di mantenere una pronuncia perfetta, e tenderà a tramutarsi in una perenne "A". I compositori fino a Verdi sapevano benissimo di questa difficoltà, e in genere non mettevano frasi articolate sopra il fa4, ma vocalizzazioni oppure sillabe "lunghe", cioè da pronunciare non a ogni cambio di nota, e comunque con ricchezza di A ed E gravi. Verdi cominciò a musicare frasi molto articolate anche nel settore molto acuto, il che costringe le cantanti a impossibili contorsioni vocali oppure, più semplicemente e direi anche giustamente, a trasformare la frase in un vocalizzo (in cadenze nel Trovatore, ad es). Qui la questione non è più "filologica" ma di buon senso.

13 commenti:

  1. Credo che l'ultimo Maestro che abbia saputo scrivere correttamente per la voce femminile sia stato Rossini. Non per niente la vocalità rossiniana oggi viene molto fraintesa. Si ritiene che la Colbran fosse un mezzosoprano, perché la scrittura appare troppo centrale per i soprani dei nostri giorni. Rossini sapeva che si canta nei centri, sicché sfruttava la zona acuta solo come abbellimento, in vocalizzo. "Il contralto è la norma a cui bisogna subordinare voci e strumenti in piena composizione musicale. Se vuoi fare a meno del contralto si può spingere la prima donna assoluta fino alla luna, ed il basso profondo nel pozzo. E questo è far vedere la luna nel pozzo. Conviene lavorare sulla corda di mezzo, perché si riesca sempre intonati; sulle corde estreme quanto si guadagna di forza, tanto si perde di grazia, e per abuso si dà in paralisi di gola, raccomandandosi poi per ripiego al canto declamato, cioè abbaiato e stonato". E' molto bello provare a leggere le parti scritte per la Colbran e osservare come il canto sillabico insista quasi esclusivamente sulla prima ottava dell'estensione, mentre la scalata agli acuti avviene mediante scale e arpeggi, al massimo qualche nota lunga tenuta, mai sillabazioni veloci su valori brevi. Queste le cose le spiega anche Francesco Lamperti nella prefazione al suo trattato, intitolata "sulle cause della della decadenza del canto".

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  2. Grazie per il commento e la molto interessante citazione!

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  3. Anonimo11:38 AM

    Non so cosa intendesse il qualcuno citato, ma una questione acustica è presente.
    Non è legata all'ambiente, ma alle frequenze su cui cantano.

    Le vocali sono riconoscibili grazie alle formanti (principalmente le prime due), il suono (grazie alle posizioni della lingua) presenta dei picchi di risonanze in corrispondenza di certe frequenze.

    Più si sale e ci si allontana dalla zona del parlato, più gli armonici si allontanano uno dall'altro e quindi diventa sempre più difficile formare questi picchi. A un certo punto abbiamo la fondamentale oltre alla frequenza del primo armonico, che è quello che ci consente di distinguere una vocale aperta (a) da una chiusa (i,u).

    Valerio Vanni

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    1. Grazie per il commento. Non mi è chiara una frase: "A un certo punto abbiamo la fondamentale oltre alla frequenza del primo armonico...". Poi c'è una cosa che mi pare erronea: "gli armonici si allontanano uno dall'altro". Gli armonici hanno distanze fisse: ottava, quinta, ottava, terza, ecc. e rimangono tali. L'unica questione che cambia salendo è che le frequenze degli armonici escono dalla zona del percepibile. In ogni caso, sinceramente, è una spiegazione che non mi convince molto, considerando che la voce umana comunque rimane in un range di frequenze piuttosto modeste. Se anche fosse tutto vero, confermo però anche ciò che ho scritto, che cioè la difficoltà di pronuncia in zona acuta femminile è dovuta a difficoltosa gestione fisio-anatomica. Grazie

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    2. PS: comunque mi informerò più dettagliatamente sulle osservazioni segnalate.

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  4. Anonimo1:25 AM

    >Non mi è chiara una frase: "A un certo punto abbiamo la fondamentale oltre alla >frequenza del primo armonico...".

    Probabilmente mi sono spiegato male. Per "primo armonico" non intendevo il primo armonico del suono emesso, quello è per forza più alto della fondamentale.
    Intendevo la prima formante, ovvero una di quelle due che danno l'identità di base alle vocali.

    Avrei dovuto scrivere "abbiamo la fondamentale della nota emessa oltre alla frequenza su cui dovrebbe risuonare un armonico per caratterizzare una vocale".

    Queste due formanti sono le frequenze che le cavità riescono a far risuonare, e non si spostano al cambiare della nota emessa. Finché la nota è su certe frequenze, un armonico riesce a trovarsi su queste frequenze che caratterizzano le vocali. Quando la nota è oltre questa frequenza, come si fa?

    >Poi c'è una cosa che mi pare erronea: "gli armonici si allontanano uno dall'altro". Gli >armonici hanno
    >distanze fisse: ottava, quinta, ottava, terza, ecc. e rimangono tali. L'unica questione >che cambia salendo
    >è che le frequenze degli armonici escono dalla zona del percepibile.

    Certo, hanno distanze fisse relativamente. Ma, all'aumentare della frequenza, le distanze assolute aumentano. E' questo che intendo con "si diradano". Se prendiamo una nota a 50 Hz, gli armonici hanno 100, 150, 200, 250 etc. Se prendiamo una nota a 200 Hz, gli armonici hanno 400, 600, 800, 1000 etc.

    Se la frequenza della prima formante (in grado di dare certe caratteristiche a una vocale) deve stare, che so, da 450 a 550 Hz, la nota a 50 Hz ha più armonici che cadono nella zona giusta.

    Ho trovato in questa pagina
    https://marcotonini.wordpress.com/extra-formant/extra-formant-6-limportanza-di-f1-e-f2-primi-due-formanti/
    un'immagine che mostra il fenomeno del diradamento.

    Segnalo anche un'altra pagina che parla del fenomeno:
    http://newt.phys.unsw.edu.au/jw/soprane.html
    Contiene anche degli esempio audio, con delle scale cantate su varie vocali.
    Segue anche un accostamento delle note di fondo e di vetta, per confrontarne la comprensibilità.

    Lì mi sono accorto di un mio problema percettivo: quando viene fatta una singola scala, mi sembra che la nota di punta con le varie vocali sia sempre con la vocale giusta, quando le ascolto nell'accostamento non le riconosco più. E' come se il cervello, nell'ascoltare la singola scala, desse per scontato che la vocale non cambi.


    >In ogni caso, sinceramente, è una spiegazione che non mi convince molto, >considerando che la voce
    >umana comunque rimane in un range di frequenze piuttosto modeste.

    La frequenza del parlato si muove su un intervallo modesto, quella del cantato è enormemente più ampia.
    Un soprano parla sui 200-240 Hz, nel canto arriva anche a 1000. Si quadruplica o quintuplica la frequenza.

    Le frequenze che consentono di distinguere le vocali sono più che sufficienti se la frequenza fondamentale del suono è nella zona del parlato. Per il cantato, a quanto pare, no.
    Frequenze del genere non fanno parte di una comunicazione linguistica.
    Come si può fare un discorso sensato sui 1000 Hz? Al limite si potrà comunicare l'avvicinarsi del mostro colla mannaia (come nei film horror ;-) ), ma questa è paralinguistica.

    Comunque i ricercatori del secondo collegamento sono alla ricerca di materiale.
    In pratica, se tu conosci dei soprani che sono in grado di differenziare le vocali sugli acuti, potresti mandargli le registrazioni.

    >Se anche fosse tutto vero,
    >confermo però anche ciò che ho scritto, che cioè la difficoltà di pronuncia in zona >acuta femminile è dovuta a difficoltosa gestione fisio-anatomica

    Magari possono esserci entrambe le cose, il fattore acustico pone dei limiti massimi ma entro questi ci può essere chi differenzia meglio o peggio le vocali in base alla sua tecnica.

    Valerio Vanni

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    1. Molte grazie per le precisazioni e la dovizia di riferimenti che studierò attentamente. Sto cercando un libro che ho con molti aspetti di quelli da te segnalati. Per la verità proprio ieri una mia allieva soprano ha intonato perfettamente una frase, più volte, fino a un fa#acuto; non l'ho portata oltre perché non lo ritengo necessario e del resto penso che oltre questa nota la pronuncia non sia più del tutto affrontabile. Saluti e grazie.

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    2. Trovo affascinante l'argomento, che delinea una coincidenza tra limiti fisici della voce, e limiti acustici di percezione delle vocali dovuti alle frequenze udibili dall'orecchio umano. Insomma la natura ci dice che il range della voce cantata è grossomodo fino al Do5 (e siamo già all'estremo), oltre entriamo in una condizione quasi avocalica, in cui non si può esprimere realmente il canto (alla faccia dei sopranini che vivono di sopracuti). In ogni caso una I oppure una U oppure una E stretta su un Do5 prima ancora di poter essere impercepibili per questioni acustiche, sono posizioni impossibili per l'organo vocale, che su quelle altezze necessita di una apertura che preclude qualsiasi vocale che non sia una generica A (e questo viene detto anche nel bell'articolo in lingua inglese che è stato linkato). E comunque questo fatto concerne solo le note estreme, direi almeno oltre il Fa4 (limite estendibile forse fino al Sol o al La4). Al di sotto non c'è motivo per cui una voce femminile non possa e non debba pronunciare in modo comprensibile. E qui non ci sono "motivi acustici" che tengano! Il problema sta solo nella pessima qualità degli imposti vocali fissati dalle odierne scuole di canto.

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  5. Anonimo8:19 PM

    Il limite di frequenze in questione è ampiamente dentro a quelle udibili. Il punto è un altro, ovvero le frequenze che possono essere fatte risuonare dalle cavità e che consentono di distinguere una vocale da un'altra.

    Se, per ipotesi, si potesse cambiare le cavità vocali con altre di dimensioni minori, si potrebbe andare più avanti con le frequenze. Infatti queste frequenze caratteristiche (che il tratto vocale può amplificare) non sono esattamente uguali per tutti gli individui, ma variano.

    Oppure si potrebbe amplificare le frequenze tramite software. Non sarebbe una cosa prodotta dall'organo vocale, ma le noste orecchie sarebbero in grado di sentirla.

    Le vocali rimangono comprensibili da voci diverse perché viene rispettato il rapporto tra prima e seconda formante.

    Non è comunque una differenza spaventosa: mediamente tra voci maschili e femminili c'è un 15%, che equivale circa a un tono. Quindi una voce maschile dovrebbe incontrare il problema della comprensibilità un tono prima di una femminile.

    Nell'ambito della singola persona, però, le frequenze sono fisse. O, meglio, un intervallo di frequenze è fisso.

    Per quanto riguarda il limite esatto, in quello studio gli esempi audio mostrano che il Do5 è oltre. Sarebbe interessante confrontare le note adiacenti, per vedere a che altezza compare la comprensibilità; vanno però sentite isolatamente, perché la scala monovocalica inganna in maniera paurosa.
    Per lo meno per quanto riguarda il mio orecchio, mi sembra di sentire la vocale giusta anche in cima.

    Valerio Vanni

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    1. Non mi risulta affatto. La voce maschile se opportunamente educata può pronunciare e far distinguere con chiarezza qualsiasi vocale fin sugli estremi acuti, che sono del resto un'ottava sotto quelli femminili. Che significa che c'è un 15%? Un 15% di cosa?

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  6. Anonimo4:10 PM

    Banalmente, un 15% della frequenza. Che corrisponde circa a un tono. Le frequenze delle formanti in grado di far riconoscere le vocali sono a quella distanza.

    Se, poniamo per esempio(semplificando fortemente), il tratto vocale femminile perde la distinzione tra due vocali [1] sul Sol4 e quello maschile [2] sul Fa4, risulta che una voce maschile è avvantaggiata dal punto di vista della comprensibilità perché è meno probabile che vada a sbattere contro il limite.
    Semplicemente perché non va così in alto con la fondamentale.
    Non mi pare che stiamo affermando cose in contrasto.

    Io ho fatto delle prove sul Re4 e mi pare di riuscire a differenziare le sette vocali della mia lingua madre.

    [1] Dico "semplificando fortemente" e "due vocali" perché probabilmente non tutte le vocali hanno gli stessi limiti di distinguibilità. Sicuramente le lingue con molte vocali (es. l'Inglese, oltre 15) soffrono più di quelli che ne hanno poche (es. l'Italiano, solo 7, o addirittura lo Spagnolo con 5).
    Poi, ripeto, è un'esempio: non so se quelli siano i limiti reali.

    [2] Ovviamente, in media: c'è variabilità tra le persone.

    Valerio Vanni

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  7. Avevo capito male. Certo il Fa 4 mi sembra un limite plausibile, ma appunto è al di fuori dell'estensione massima richiesta alla voce maschile (salvo castrati e falsettisti). Probabilmente diciamo la stessa cosa. Solo che spiegato in termini di "formanti" mi risulta complicato. Più empiricamente e artigianalmente, l'esperienza dimostra che arrivati ad una certa altezza diventa fisicamente impossibile fare ad esempio una I, oppure una U, perché l'emissione della nota acuta richiede un'apertura della bocca che impedisce di dire una vocale diversa da una generica A.

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  8. Anonimo6:38 PM

    Ho buttato lì Sol4 e Fa4, non so quali siano i limiti reali. Il discorso di base però era proprio quello, una voce maschile ha molte meno probabilità di sbatterci contro.

    Riguardo all'ultima cosa, non ci ho ancora ragionato in termini di formanti però (per esperienza personale) mi pare che le prime opposizioni a entrare in crisi (salendo) siano quelle in zona aperta (/ò/ vs /a/ e /è/ vs /a/).


    Valerio Vanni

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