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mercoledì, settembre 23, 2015

"Cercar che giova?..."

Una frase che pronunciava spesso il m° Antonietti e che ho poi ritrovato tal quale tra quelle del m° Celibidache è "chi cerca NON trova". Ammetto che detta così non suona tanto bene e suscita l'immediata controdomanda "inchezenzo? scusi" (alla Verdone). Lasciamo stare le battute e veniamo al motivo di questo post, che riguarda il campo femminile e l'annosa (e seria) questione della gamma centro grave; oggigiorno è rarissimo ascoltare soprani o mezzi cantare decentemente proprio in quel settore, che risulta il più martoriato. Per la verità è sempre stato un punto delicato nell'educazione della voce femminile, infatti anche nelle registrazioni di voci antiche purtroppo non di rado sentiamo un approccio non esemplare, quando non addirittura infelice. Potremmo partire da un concetto erroneo, mal capito, mal interpretato: il registro di petto (nelle donne). Leggendo e ascoltando interviste o trattatelli, si ha l'immediata visione di una doppia analisi di questo registro; da un lato ci sono coloro che hanno compreso che il cosiddetto registro di petto è una normale modalità di vibrazione delle corde vocali, differente, almeno inizialmente, da quella che si utilizza nel registro centro acuto (falsetto-testa), per altri invece riguarda la percezione interna riferentesi alle parti anatomiche, da cui i nomi (petto/testa). Per coloro che l'intendono nel secondo modo ci sarebbe un dato negativo, cioè la voce non si arricchisce delle risonanze "alte", degli armonici e risonanze/consonanze "di testa", ed è quindi da scongiurare. Per chi l'intende nel primo modo, il problema è quello di "fondere" o "passare" dall'uno all'altro; ma anche tra i primi le cose non è detto che vadano sempre bene, perché un conto è dire, un conto è fare. Secondo alcuni trattatisti come la Mayan (si veda il post di agosto), basterebbe pensare il suono "alto in maschera" per risolvere ogni problema di passaggio. Di questo parlerò tra poco, ed è appunto il tema del post. Alcune cantanti, come la Simionato o la Barbieri, che lo dichiararono in interviste, "non si canta di petto", e loro stesse non avrebbero mai cantato di petto, contraddicendo in modo plateale la realtà che ognuno può facilmente recepire dalle loro registrazioni. Dunque ci troviamo, per l'appunto, in quel secondo caso, dove non si ha l'esatta coscienza che le corde vibrano in modalità di petto, ma la cantante è comunque convinta di tenere il suono "alto in maschera" e quindi "di testa" anche nelle note basse. Se il risultato fosse quello della Simionato, tutto sommato potremmo anche starci, se è quello della Barbieri decisamente meno; anche quello della Gencer, che invece aveva un'idea molto più corretta della situazione, non ci farebbe tanto piacere, visto che il petto lo usava ma non poi troppo correttamente, visto cha alla fine aveva la voce a pezzi. Però oggi cosa sta succedendo? Che, nonostante tutti i libri, i convegni, i DVD, internet e quant'altro (o forse proprio a causa di questa Babele) le donne (ma direi meglio: gli e in particolare LE insegnanti di canto) stanno indirizzando le giovani cantanti in una direzione a dir poco disdicevole, cioè a mantenere il falsetto anche nel settore centro grave. Questo, a loro giudizio, eliminerebbe il problema del passaggio! Il che è ovviamente vero, trattandosi di un unico registro, ma totalmente fuori da qualunque logica sensata. Se un violinista volesse scendere sotto il re3 senza usare la corda di sol (la quarta), non potrebbe farlo, a meno di allentare la tensione della terza ruotando il pirolo. Una follia! Che cosa succede dunque nella voce? che scendendo sotto il do3 il falsetto va a morire, non ha più efficacia, essendo una gamma propria della corda di petto, allora ecco che le povere cantanti "cercano". I risultati sono di due tipi: o un grottesco ingolamento oppure l'invenzione di un nuovo "meraviglioso" registro (e qui il repertorio neologistico di Celletti sarebbe molto  appropriato). Siccome noi sappiamo che la "corda unica" esiste, cioè la possibilità che le due modalità di vibrazione coesistano, cosa impedisce che ciò avvenga naturalmente? Ben lo sappiamo: il fiato. Solo un'evoluzione respiratoria adeguata a una emissione artistica esemplare può generare l'annullamento delle differenze tra le due modalità di vibrazione, quindi i casi sono due: o si raggiunge questa condizione, il che richiede un tempo e un esercizio adeguati (cioè molto lunghi e impegnativi, soprattutto ben guidati da chi sa), oppure si può tentare (solo in alcuni casi riesce) una sorta di scorciatoia (ovviamente difettosa), e cioè il cosiddetto suono indietro. Cercando di mantenere il registro di falsetto anche nei suoni centro gravi, l'impoverimento respiratorio porta gradualmente il suono indietro, cioè a non suonare più nella parte anteriore, o meglio fuori, ma sempre più interiormente. Questo stato può consentire una sorta di fusione dei registri, a pena di una voce da ventriloquo, ma che purtroppo ascolto sempre più spesso, specie nelle giovani, perché oltre a evitare scalini, produce quella voce intesa come "impostata" che tanto obbrobrio produce in chi ha come obiettivo una voce VERA! Ecco perché il m° Antonietti, come ognuno che conosce meglio il mondo della vocalità artistica, si guarda bene dal seguire scorciatoie, ma occupa una prima parte del tempo educativo a far ben sviluppare e perfezionare la giusta emissione nel petto E nel falsetto, non cercando anzitempo fusioni improbabili, ma facendo in modo di stimolare l'esigenza respiratoria che nei tempi opportuni permetta l'avvicinamento e quindi l'annullamento delle differenze tra registri.

4 commenti:

  1. Salvo5:30 PM

    Ciao Fabio. Mi piacerebbe condividere, se vuoi, questo pezzo giornalistico, per me ben scritto, anche se non lo condivido in tutto.
    Da “il fatto quotidiano” - La polemica di Michele Monina
    I tre tenorini de Il Volo, dopo aver vinto il Festival di Sanremo hanno sbancato anche l’Arena di Verona. Questa è una notizia. Non fosse che nel mentre, in quel luogo un tempo dedicato alla lirica, sono passati in parecchi, dai Dear Jack a Fiorella Mannoia, passando per una finale di Amici, Francesco Renga, De Gregori e il Circo Barnum, si potrebbe dire che di coronamento di un cammino intrapreso con dedizione si tratta. In realtà la location ha perso molto del suo smalto, ma pur sempre di un’arena importante si tratta, e il fatto che il tutto fosse ripreso dalle telecamere di Rai 1, che ha prontamente trasmesso il tutto ieri sera col titolo “Il Volo- Un’avventura straordinara”, non può che confermare la cosa.
    Il Volo, accompagnati da un’orchestra di ottantatré elementi, ha messo in piedi uno spettacolo perfetto, in cui le canzoni della nostra tradizione italiana sono state eseguite in maniera impeccabile dai tre ragazzi, al secolo Ignazio Boschetto, Gianluca Ginoble e Piero Barone, in alcuni frangenti accompagnati da ospiti illustri, da Giancarlo Giannini a Lorenzo Fragola, legittimamente accolto tiepidamente dal pubblico dell’Arena, da Francesco Renga, che li ha accompagnati ne L’immensità e che ha scritto per loro il nuovo singolo, L’amore si muove, precedentemente intitolata Nel nome del padre, a Francesco De Gregori.
    Il tutto condotto da Carlo Conti, che del resto li aveva in qualche modo già presentati al grande pubblico durante l’ultimo Festival di Sanremo. Ecco, vedendo uno spettacolo del genere, con un’orchestra decisamente più imponente di quella che si può ormai ammirare in qualsiasi teatro italiano, una presenza del palco sicura, da vecchi professionisti scafati, la voce sempre intonata, tranne qualche sbavatura di troppo di Ignazio Boschetto, il più debole dei tre, potrebbe far pensare a una prova muscolare capace di azzittire le tante, troppe critiche piovute addosso al terzetto di tenori proprio dopo la vittoria di febbraio.
    Ma, c’è un ma. Avete presente la famosa scena del gatto nero in Matrix? La riassumo per chi non la conoscesse. Matrix è una realtà di facciata che i robot hanno costruito per gli umani, che si convincono di vivere una bella vita, in realtà se ne stanno dentro dei bozzoli a fare da batterie umane per le macchine. Alcuni uomini sono in grado di decodificare questa realtà di facciata. Un modo è accorgersi di falle nel sistema. Neo, il protagonista del film, a un certo punto vede per due volte la stessa immagine, un gatto nero che attraversa una porta, un deja vu. Scatta l’allarme, perché un deja vu è una falla del sistema, un alert. Ecco, a vedere i tre tenorini cantare sicuri di loro stessi all’Arena, trattando Francesco De Gregori o Giancarlo Gianni da pari, ostentando sicurezza tanto quanto commozione, è come se avessimo avuto modo per un’ora e mezza di vedere le falle della Matrice, il gatto nero che attraversa la porta.
    Il Volo, i tre ragazzi del Volo, sono bravi, ma sono finti. Bravissimi tecnicamente, non sanno trasmettere emozioni, peggio, non sanno che dovrebbero e potrebbero trasmettere emozioni. Parlano di belcanto, e saprebbero anche maneggiarlo, ma sfugge loro che la musica è un perfetto vettore per le emozioni, e privata di quella caretteristica nulla rimane, se non note eseguite meccanicamente, anche alla perfezione. In molti hanno scherzato, durante il Festival, sull’occhietto che Gianluca, il belloccio dei tre, fa sempre durante le canzoni, guardando il pubblico in camera. Ecco, è come se ieri avessimo assistito a un’ora e mezzo di occhietti, compiaciuti, ma credibili solo per chi li fa, non certo per chi li riceve.

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  2. Salvo5:30 PM

    Seconda parte:
    Quanto alla scelta di Francesco De Gregori di prendere parte a questa faccenda, seppur giustificato dal suo essere in zona per i 40 anni di Rimmel, andati in scena la sera del 22, che dire? A guardarlo lì, che cantava con loro, impacciato ma lì, chi scrive ha pensato si trattasse di uno dei concorrenti di Tale e quale Show, complice la presenza di Carlo Conti in zona. Ecco, fosse stato Pino Insegno, magari ne avremmo riso e avremmo battuto le mani. Avremmo anche fatto i complimenti ai truccatori, guarda come assomiglia al De Gregori vero. È finzione, è televisione, niente di male. Invece era proprio De Gregori, e stava lì a cantare con tre ragazzi incapaci, un po’ come lui recentemente, di veicolare altro che canzoni, sempre uguali. Perfetta incarnazione di quel che i talent stanno facendo alla musica, quindi, trasformare in un karaoke fatto alla perfezione il mondo della nostra canzone, alla faccia del belcanto.
    Tutto ben cantato, ma privo di anima, di vita. Un capitolo a parte meriterebbero gli inediti proposti da Il Volo, perché eseguire O Sole mio, se in possesso di una bella voce, può anche essere esercizio facile da portare a casa. Ecco, a sentire i brani scritti appositamente per Il Volo sembrerebbe quasi si trattasse di gente che ha perso una scommessa, e che deve per forza tirare fuori roba che mai vorrebbe vedere collegata al proprio nome. Poi, è chiaro, qualcuno leggendo queste parole dirà che intanto loro vendono centinaia di migliaia di copie in giro per il mondo, riempiono l’Arena di Verona e hanno successo. Chi scrive citerà il grande successo dei Big Mac, lasciando intravedere sullo sfondo la differenza tra il fast food e l’alta cucina. Perché non è solo questione di distinguere tra qualità e quantità, tocca proprio prestare attenzione ai deja vu, se vedete un’occhiolino di troppo, o due gatti neri identici che attraversano una porta, sapete che siete dentro la matrice.

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  3. Educare l'imposto di una voce è esattamente come studiare la corretta esecuzione di un brano musicale. Non si tratta di interpretare, di "cercare", ma di lasciare che la verità venga a galla da sola, si sollevi finalmente libera dalla zavorra costituita dagli infiniti errori e difetti naturalmente presenti in ognuno, ma correggibili una volta portati a coscienza. In questo senso il lavoro che il maestro di canto fa con l'allievo, è analogo a quello del direttore con l'orchestra. C'è una verità già implicita in ognuno di noi, che la guida del maestro serve solo ad esplicitare, come nel metodo socratico. La scorciatoia è il voler dare una definizione, una regoletta per ottenere un risultato, che invece può essere solo il prodotto di una distillazione, di un togliere, di una serie di innumerevoli "no", finché il sì, l'unico possibile sì, emerge da solo.

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  4. Ecco, finzione e verità sono le parole d'ordine. Direi che l'articolo citato è anche troppo buono. I volo sono ben lontani da ogni possibile definizione di bel canto; è un sopruso indecente e indegno. Se vogliono cantare all'arena con l'orchestra da 86 elementi, lo facciano senza microfono, per 2 ore, e poi ne riparliamo. La finzione non è solo o tanto nella mancanza di coinvolgimento, di mancanza di emozioni, ma prima ancora nella impossibilità di metterla in campo perché il mezzo, la voce, non è nelle condizioni di poterlo fare, essendo bloccata, come ormai capita, in minor misura, alla gran parte dei cantanti che ha (e dà) l'illusione di cantare artisticamente. Siamo dentro la matrice? eh... lo temo fortemente, ma non ancora tutti; siamo ancora in diversi ad accorgerci dei deja vu. Teniamo duro!!!

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