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lunedì, febbraio 29, 2016

"... e tu dunque non apri più bocca"

Aprire o chiudere la bocca? Che razza di domanda!! Un po' come quell'orchestrale che chiedeva al direttore, all'inizio della sinfonia del Barbiere di Siviglia: "maestro, la volete stretta o larga?" riferendosi alla prima semicroma in levare. E già, perché non basta leggere come è scritta, ma bisogna pure "interpretarla"! Esiste un parametro che ci dica di quanto aprire o non aprire la bocca? E' lo stesso discorso, tante volte fatto, su "quanto aprire la gola", "quanto alzare il velopendolo", "quanto abbassare la laringe, o il diaframma..." TUTTE CORBELLERIE!!! Questo è ormai un pantano maleodorante dove sguazzano ipocriti o disonesti insegnanti e presuntuosissimi "esperti", o poveracci che non sanno niente e cercano di barcamenarsi come possono, non sempre con la dovuta modestia e umiltà. Dire "apri la bocca", o "chiudi la bocca" a cosa fa riferimento? Forse a un calibro oculare che l'insegnante si procura in qualche sito di magie "occulte"? Fa parte dei "segreti" dell'insegnamento? Anche io, spessissimo, devo fare riferimento a questo elemento, ma il parametro lo declino alla prima lezione! E' la pronuncia! E la bocca si deve aprire e chiudere, verticalizzare o orizzontalizzare in base a quella. Basta! Stop! Non c'è altro! Se si deve dire A, la bocca deve atteggiarsi, come fa qualunque persona normale in uno stato rilassato, ad A, e lo stesso vale per tutte le altre vocali. Inoltre c'è un aspetto di fisica acustica, per cui salendo nella gamma è indispensabile che la bocca si apra maggiormente, per poter accogliere la maggior quantità di suono prodotto dalla tensione delle corde e dalla pressione respiratoria. Il tutto però sempre in una logica di armonia delle forme, di logica relativistica a quanto si sta pronunciando e in rapporto all'intensità e al colore prodotto. Tutto ciò non si può misurare e descrivere a parole, ma le riconosce chiunque non sia in malafede, perché la naturalezza si vede e si riconosce facilmente. Quindi "apri di più" o "di meno", "più verticale", "più orizzontale", ecc. ecc, sono consigli utili e importanti sempre e solo se sono legati a una corretta pronuncia in relazione all'altezza del suono e ad alcune caratteristiche fonetiche. Se manca il riferimento, cioè se lo si dice appellandosi a una occulta teoria, siamo in pieno errore. "Se apri la bocca il suono si spoggia"! Questo sentii dire tanti anni fa da un mio insegnante, e sento ripetere oggi anche da altri, pur di scuola diversa. Ma queste persone hanno in testa un muscolo pensante o un orologio a cucù?? Che diavolo significa?? Cioè come possono sostenere una simile affermazione? Avendo una visione complessiva e profonda della disciplina, noi sappiamo perché lo dicono e cosa significa! La colonna d'aria, per natura istintiva, è appoggiata da un lato al diaframma e dall'altro alla parte inferiore della glottide (la quale, in questo modo, è vincolata a una funzione "valvolare", che il canto esemplare dovrà svellere per consentirle invece una libera e relativa fluttuazione). Quando si inizia a cantare cercando voce, intensità, estensione, si produce una forte tensione che aumenta questa pressione, la quale, oltre che sottoglottica, si esercita indirettamente anche sulla lingua (che spesso si alza e prende le posizioni più assurde) e sotto la mandibola, che infatti negli studenti - ma anche in tantissmi "professionisti" - resta "inchiodata". Ecco dunque che una mandibola rigida se da un lato è evidentemente una stortura e non permetterà certo un canto accettabile, peraltro può consentire in un certo momento un'ancora di salvezza perché il suono rimarrà appoggiato, pur se pessimo, attaccandosi alla mandibola. Aprire la bocca in quel momento significherebbe indubbiamente spoggiare, perché si perderebbe quel polo di ancoraggio. Tutto ciò è ammissibile o tollerabile? NO! La bocca dovrà sempre potersi muovere liberamente, in base alla pronuncia, e sganciarsi da ogni effetto valvolare della laringe, consentendo alla colonna d'aria di trovare un'altro punto di appoggio superiore, che sarà dietro ai denti superiori anteriori. In questo modo laringe, mandibola, lingua e quant'altro saranno LIBERE di fare ciò che devono naturalmente. Tutto ciò richiede molto studio, molta pazienza, perché anche se è ciò che succede continuamente nel parlato, non succede altrettanto naturalmente nel canto, specie se teso a un obiettivo di altissima qualità, perché il lavoro che richiede contrasta con la nostra pigrizia istintiva, che pertanto si ribella, come si ribellano tante persone quando devono alzarsi la mattina per andare al lavoro.

domenica, febbraio 28, 2016

La fama

Oggi, con il proliferare di sistemi comunicativi e sociali, è cosa comune leggere di lodi sperticate a questo o quel cantante (o direttore o altra figura pubblica) oppure di ferocissime critiche. Rimanendo nell'ambito musicale operistico, vedo di continuo frasi lapidarie: "grandissimo", "il più - o la più - grande" (con eventuali ruoli), e via dicendo. Come conseguenza c'è anche da osservare che in molti casi, pur in ambiti pubblici, cioè non in siti ristretti ai fan di questo o quella, il contraddittorio non è quasi mai ammesso, per cui chi loda i criticati e chi critica i lodati, è bersagliato a male parole. Ora, a cosa si deve questo fenomeno? Si potrebbe dire: alla fama, alla celebrità, il che è vero, ma occorre  analizzare e fare un po' di chiarezza in merito. Partiamo da constatazioni: un artista si esibisce e ottiene un successo più o meno "rumoroso"; se questo successo comincia a ripetersi, il suo nome circolerà e lo seguirà nelle sue peregrinazioni. Ma non basta! A partire dal secondo / terzo decennio dell'Ottocento, dello spettacolo si occupa anche una certa stampa cosiddetta specializzata, nascono cioè i critici musicali o teatrali. Chi sono costoro? Sono giornalisti, persone che dimostrano una spiccata capacità di raccontare ciò che vedono, aggiungendo, anche se questo non sarebbe necessario, una forte tendenza a esprimere valutazioni e giudizi. Questi soggetti raramente sono musicisti, anche se col tempo maturano l'idea di esserlo e non di rado arrivano a rivestire ruoli in istituzioni o addirittura giungono ad insegnare o dirigere (in varie accezioni). Quando la loro origine è musicale forse è peggio, perché in genere hanno fallito o non ce l'hanno fatta, quindi devono riversare la loro bile in varie direzioni, quindi diventano veramente cattivi e criticano con asprezza e cinismo. Altro fenomeno non raro è quello corruttivo, per cui il giornalista-critico si intasca notevoli bustarelle per parlar bene-male di questo o quello. Questo fenomeno l'ho letto su giornali dell'800, non è legato solo ai nostri tempi decadenti. Mi pare ovvio che una buona campagna pubblicistica può generare o perlomeno sostenere l'obiettivo di raggiungere la celebrità, per quanto alla base debbano esserci sempre alcuni successi di pubblico. Ma, a un certo punto, la cosa prende ulteriori interessanti pieghe. Nasce il disco. Inizialmente è considerato una stupidaggine (l'ho letto su un giornale del 1878); dileggiato e irriso. Certo, quanto rimane impresso è davvero un segnale di scarsa qualità per diverso tempo, ma capita che, quando l'evoluzione comincia a essere rimarchevole, qualcuno si accorga che invece il disco possa rappresentare un volano straordinario di pubblicità e fama, specie se quanto si ode può risultare persino più interessante dell'originale. Qualcuno, cioè, scopre che esiste una "fonogenìa"; per vari motivi, non disgiunti dai sistemi pionieristici di presa del suono, alcuni cantanti sembrano avere voci più potenti e più belle di quanto si oda in teatro. Quindi chi inizia ad ascoltare rulli e dischi e non ha la possibilità di ascoltare quelle voci in teatro, si fa l'idea di un cantante che a volte è superiore alla realtà. Altra svolta, logica, è la nascita del critico discografico, che segue, nel bene ma soprattutto nel male, le linee già descritte per quello teatrale. Ma qui la piega diventa ancora più inquietante. Non ci sono solo i critici frustrati, quelli che prendono le bustarelle e quelli che ritengono - a volte nel vero - di poter esercitare un potere, ma piano piano (ma neanche tanto) nasce la grande industria discografica che diventa una potenza economica, ed è quindi in grado di gestire un mercato. Per qualche tempo è la base del mercato a dettare le regole, quindi i cantanti di successo teatrale, magari con gli "aiutini" dei critici, diventano famosi e la casa discografica li sostiene e li lancia alla grande; in seconda battuta decide che è lei a manovrare il teatro e quindi a creare e distruggere i miti. Certo, ci sarà quasi sempre (ma quel "quasi" non è certo un buon segno) anche un iniziale successo teatrale, ma le regole da seguire per adire alla celebrità cambiano, e diventano sempre meno artistiche, sempre meno ruotanti intorno a reali doti vocali, espressive e musicali, e più relative a doti fisiche, estetiche, e spesso supportate da un sottobosco di chiacchiericci, intrecci sociali, sessuali e cronachistici. Sia chiaro che anche questo è un dato sempre esistito, ma questo era successivo, riguardava i miti ormai consolidati, di cui si doveva parlare sempre. Da un certo momento invece questa atmosfera non dico che precedeva ma comunque accompagnava il nascere e il crescere di queste figure. Ora, fin qui credo di non aver detto niente di nuovo. Ciò che invece mi colpisce più negativamente è il fatto che tutto questo intreccio ha creato una massa di esseri convinti di sapere. La cosa è logica! Se migliaia di ciarlatani scrivono e chiacchierano con saccenza di questo o quello spettacolo e di questo o quell'artista, ma nei fatti tutti sanno che non sono niente e nessuno (parlo dei giornalisti), è chiaro che molti si sentano autorizzati a fare altrettanto. Molte persone, magari con facce meno "metalliche", per non esporsi troppo premettono un "io non è che me ne intendo tanto, però...." ecco, è proprio da quel "però" che si diparte il ruzzolone. Ma non è che le persone non possano o non debbano esprimere il loro parere, ci mancherebbe, il problema è che non lo espongano come un'opinione personale e libera, ma come un giudizio vero e proprio, maturato sulla base di un'esperienza, e questo vale anche per la stragrande maggioranza dei critici. Celletti si era convinto di capire di canto, al punto di insegnarlo e di diventare dirigente teatrale, solo ascoltando dischi!! Ma la cosa vale anche per tutti gli altri che l'hanno seguito. Conosco decine di persone che, pur conoscendomi e avvicinandomi con una certa cautela, non si esimono dall'esprimere valutazioni talvolta davvero imbarazzanti su questo o quel cantante o direttore d'orchestra. Ma certo che se non esiste alcun criterio, e l'unico sistema di giudizio resta quello della stampa, spesso e volentieri teleguidato dalle multinazionali discografiche, stiamo freschi! Ricordo bene quando il mercato discografico E DI CONSEGUENZA teatrale era blindato intorno a una decina di nomi, e, in tempi di vacche grasse, quando i dischi si compravano in quantità, si assisteva addirittura a numerose edizioni discografiche (E RAPPRESENTAZIONI TEATRALI) con gli stessi cantanti: Domingo, Caballé, Freni, Pavarotti, Ghiaurov, Raimondi, Cappuccilli, Milnes, Horne, Sutherland, con Muti, Abbado, Karajan, spesso litiganti veramente o fintamente. Altri quasi non esistevano, non facevano "cassa". Se tu osavi (e ancor oggi osi) mettere in dubbio le qualità (salvo andare nei siti dove lo sport è massacrare, ma sempre senza criteri) dei mattatori, vieni regolarmente preso a male parole, per quanto si possa dire con cortesia e argomentazione, perché sei fuori del coro; se tanta gente li ammira, come puoi pensare che non siano meritevoli del loro grande successo? Sono tutti sordi e scemi? eh... diciamo parecchio ingenui, soprattutto, ma anche disattenti, pigri, suggestionabili. Ma va bene così. Ciò che è sempre più grave è che questo fenomeno, che nel mondo dell'arte fa molto male, ma ha conseguenze più morali e psicologiche che altro, si sia portato nel mondo dell'economia reale e della politica. Qui la faccenda si fa davvero allucinante e suscettibile di conseguenze incontrollate. Ma non è questo il posto per parlarne, anche se tutto, in qualche modo, rientra in questo universo di coscienza.

mercoledì, febbraio 17, 2016

"...e un naso che par quello di Buoso..."

La voce nasale era già deprecata nei trattati del 700, ma il suo uso non è mai cessato del tutto. Il caso di un cantante particolarmente avvezzo all'uso di risonanze nasali è stato quello del baritono fiorentino Gino Bechi, accompagnato, in minor misura, da Bastianini, talvolta Gobbi e qualche altro, che Celletti definiva "scuola del muggito". Pare che il grande Titta Ruffo abbia detto di essere stato imitato solo nei difetti e non nei pregi; in effetti Ruffo fu una sorta di Caruso dei baritoni, con voce possente e, purtroppo, qualche attacco in zona nasale. Il suo è un canto discutibile, ma non propriamente nasale, quello di Bechi decisamente sì, e pagò dazio, perché dovette smettere di cantare a grandi livelli piuttosto presto. Ci sono diversi commenti che si possono fare relativamente all'uso e abuso di suoni nasali. Intanto parliamo di colore e carattere, cioè delle cose più superficiali ed evidenti. Non credo vi sia dubbio che la voce con inflessione nasale sia decisamente brutta, fastidiosa, con un pessimo colore (diversi cantanti "caratteristi" la usano per impersonare personaggi strani o tediosi, come Gianni Schicchi o il rivendugliolo nella Forza del destino, o anche Don Alonso nel Barbiere). Allora perché non pochi cantanti in varia percentuale vi ricorrono? Beh, alcuni lo fanno incosciamente, non se ne accorgono. Ho già notato che molti non sentono quando la voce è blandamente nasale, e in compenso altri sentono voce nasale dove non c'è! Ma questo è un problema generale sull'udito, che riguarda anche la voce libera, la voce ingolata e via dicendo. Altri vi ricorrono coscientemente, cercando di mascherarlo, anche se è molto difficile. Ad esempio alcuni, che sono seguaci del canto "in maschera", ritengono più o meno palesemente, che un rapido "colpetto" di naso sull'attacco possa portare il suono "in alto", e quindi tenerlo lì, anche se poi va subito tolto! (direi Florez). Kraus da giovane non sembrava aver voce di naso, ma con il tempo la cosa è venuta fuori, anche macroscopicamente, anche nel suo caso perché riteneva che la voce dovesse stare "in maschera", intendendo quella zona tra naso e occhi. Na sciagura!
In genere in una vocalità sufficientemente sana, è molto difficile che la voce sia nasale, perché ciò avviene se il velopendolo si abbassa. Pensate in po' quale contraddizione è consigliare da un lato di tenere sempre il palato molle altissimo e dire di mettere la voce tra occhi e fronte. E' come voler uscire con la porta chiusa! In ogni modo, noi dobbiamo prendere in considerazione le motivazioni che possono indurre a scegliere questa strada, pur sapendo avere controindicazioni. Il fatto è che se la colonna di fiato-suono invece di piegarsi nella cavità orale ha la possibilità di proseguire attraverso le coane, anche solo minimamente aperte, nelle cavità nasali, essa si alza complessivamente dal diaframma, diminuendo quindi l'appoggio, il che è coerente proprio con il fatto che se l'appoggio fosse elevato, il velopendolo starebbe anche alto e chiuderebbe le coane stesse. Questo diminuito appoggio, ovviamente crea una insufficiente carica energetica, mettendo in difficoltà l'apparato produttivo (laringe). Contrariamente a quanto dicono i foniatri, la nasalizzazione crea un notevole "rumore", anche se dicono che le pareti sono assorbenti, tant'è vero che tutti coloro che hanno sentito Bechi, da vicino o da lontano, hanno testimoniato di una voce poderosissima. Anche un tenore che conosco e che canta spudoratamente di naso, manifesta alla fin fine una sonorità non da poco. Quindi sotto un certo punto di vista c'è un vantaggio, però ricordarsi che si paga in termini di durata, perché cantare in questo modo mette a dura prova la laringe e in termini di minor qualità, perché la voce nasale è brutta. Il vantaggio che si prova è di maggior facilità, naturalmente, perché il diminuito appoggio fa faticar meno. Faticar poco è sempre una strada che appagga: "faticar poco, divertirsi assai, e in tasca sempre aver qualche doblone....". In molti casi chi nasaleggia ingola, perché il sollevamento della colonna d'aria, col diminuito appoggio, viene avvertito, e non sapendo come rimediare, si chude un po' la gola per contrastarlo, creando quindi due difetti in uno. Evviva!

domenica, febbraio 14, 2016

Pro e contro Natura

Una frase ricorrente di molti pensatori è "andare in accordo con la Natura, e non contro".Concordo, ma occorre prima prendere coscienza di cosa ciò voglia dire. Condividiamo, "noi" che abbiamo come punto di riferimento un certo intendimento di cosa sia o sia stato il "Belcanto"? direi di no; il più delle volte sono generici e nostalgici panegirici che alla fine non si concludono con unitarie visioni né di cosa sia né di come si insegni o si pratichi, né di chi ne sia stato autentico portavoce o portatore, tranne rarissime eccezioni (Schipa e Gigli). Si concorda che il meccanicismo sia esattamente l'opposto di un modo di cantare belcantisco, quindi niente spinte e schiacciamenti, niente azioni su laringe e velopendolo, niente movimenti "in maschera". Fin qua, forse, concordiamo, ma bisogna anche stare attenti che ciò che si dice non implichi, poi, inconsce e incontrollate azioni e reazioni che vanno contro ciò che si dice, senza accorgersene. Il fatto è che noi consciamente non sappiamo, non riusciamo a riconoscere con sicurezza ciò che va in accordo o contro Natura, nel nostro corpo. E', credo, piuttosto evidente che determinate azioni risultano faticose, ci pongono di fronte a scelte da fare, perché anche senza riuscire a capire se una certa cosa è "giusta" o "sbagliata", ci rendiamo conto che non è per niente facile, o, peggio, crea contrasti, barriere, situazioni che riusciamo magari a superare, ma solo per pochissimo. La soluzione che si prospetta, quasi sempre, richiede l'uso della forza. La forza è di solito ritenuta la più efficace perché è più rapida e quanto produce non ci spiace più di tanto. La strada opposta, cioè quella di passare attraverso la "non forza", quindi con suoni leggerissimi al limite dell'udibile, del sospirato, del sussurrato, non ci accontenta, perché ci appare lontanissima dal tipo di risultati che intendiamo raggiungere. Eppure, a ben vedere, è l'unica strada realmente naturale, perché non incontra particolari ostacoli e reazioni. Ahi! Però ho già detto una parola di troppo! Reazioni! Sì, perché tanti che si sono affacciati a questa scuola, blog o quant'altro, hanno messo in discussione questo aspetto, e cioè che cantando il nostro organismo reagisca ostacolandoci. Noi questo l'abbiamo imputato al normale funzionamento dell'istinto di conservazione e difesa della specie, ma questo non solo non ha convinto molti, ma li ha addirittura spinti a dileggiare l'intero impianto didattico. Ma questo a me non interessa, nel senso che sono apertissimo a qualunque dialogo sul canto, sul suo insegnamento, purché abbia un fondamento apprezzabile. Io vedo che tutti coloro che parlano di canto suggeriscono di fare così e cosà, ma nessuno sa spiegare perché funziona (o funzionerebbe) e perché un'altra cosa crea problemi, ecc. ecc. Per quanto io sappia, questa è l'unica scuola di canto che pone le proprie basi su un pensiero che consente di spiegare ogni perché di un grande risultato vocale, e il perché sì o no di vari metodi. Se io dico "seguiamo la Natura", non posso poi dire "apriamo la gola", o "mettiamo in sintonia gli spazi interni", o "facciamo un sorriso interno", perché cosa c'è di naturale in questo? Muovo muscoli, "cerco" spazi, suoni, modifico, amplio, insomma non mi muovo "con" la Natura, ma contro di essa, perché non lascio che le cose vadano come il nostro corpo ci suggerisce, ma cerco di forzare, di trovare qualcosa che non mi si offre spontaneamente, specie se e quando vado in zone della gamma vocale non abituali, o quando voglio esprimere intensità e volumi sonori non abituali, senza cadere in strilli e grida ben poco espressivi. Si può arrivare a un canto artistico perfetto seguendo la Natura? Forse sì, ma con tempi biblici! Il tempo necessario affinché, evitando costantemente di mettere il nostro istinto e il nostro corpo in una fase di difesa, e quindi di reazione, si riesce a sviluppare una respirazione artistica idonea al risultato vocale che auspichiamo, è imponderabile, comunque enorme. E' impossibile passare dalla strada del suono forte, perché dopo pochi suoni centrali, già ci troveremmo in difficoltà. La stessa pronuncia a un certo punto ci trova deficitari. Dunque una scuola adatta ai nostri tempi, che cioè programma tempi educativi accettabili, non può fare a meno di passare anche attraverso un certo modo di affrontare l'istinto anche prendendolo "di petto", anche perché non possiamo fare a meno di assecondare la psicologia di quanti studiano, e che non potrebbero sopportare a lungo un cantare o esercitarsi solo su sospiri, falsettini, o su parlati semplicissimi.
La nostra Natura umana non è rigida e incontrovertibile; è elastica, si adatta ai cambiamenti, all'ambiente, alle esigenze; purtroppo l'istinto è "testardo", è un sistema preistorico, molto radicato, dunque i cambiamenti si possono realizzare in tempi incompatibili con le normali esigenze di utilizzo. Questo non vale solo per il canto, ma per ogni attività artistica, che sostanzialmente vuole anticipare una evoluzione umana molto futuribile. Potrebbe essere un disegno a lungo termine che fra diversi Secoli o millenni, le persone possano evolversi al punto di scrivere, dipingere, comporre, cantare, scolpire, ecc. ecc. in modo esemplare, se la Natura si evolverà in quel senso (cosa di cui dubito, visto che ogni arte sta decadendo vistosamente); in ogni modo tale Natura è già in noi, dunque l'insegnamento non è destinato a dare ciò che non c'è, ma a far emergere, riconoscere, ciò che già c'è ma è "custodito" e blindato nel nostro corpo, e una saggia disciplina può portare a coscienza questo meraviglioso contenuto, ma considerando che ogni azione può incontrare reazione, dunque occorre saper "dribblare" tra attività possibili, quindi accettate e che portano sviluppo ed evoluzione, e quelle meno tollerate, che portano a reazioni e potrebbero bloccare, e che quindi vanno aggirate o moderate in modo da poter "convincere" l'instinto che non comportano danni o minacce all'organismo.

domenica, febbraio 07, 2016

Le linee del canto

Già da tempo mi pongo una domanda: al di là del fatto che ormai da diversi decenni la qualità del canto è andata degenerando, come mai una volta tutte le voci, ma in particolare i tenori, non si ponevano più di tanto il problema degli acuti, che raggiungevano con facilità e nitore? Leggendo le cronache musicali di fine Ottocento, noto con una certa meraviglia che "il trovatore" veniva rappresentato in continuazione in tutti i teatri italiani, e in quasi tutti i commenti c'è il riferimento all'ottima prestazione dei tenori, quasi sempre con la precisazione che "ha emesso un do squillante e intonato". Il trovatore si rappresenta abbastanza anche oggi, ma non so quanti do veri vengano emessi e anche quando "si", quanto intonati o squillanti o sicuri (l'ultimo che ho sentito, da Vienna, era, oltre che un si, una notaccia orribile). Non è che faccia la caccia ai do, in particolare del trovatore; la questione che mi pongo è solo: come mai il settore acuto è diventato così problematico. Indubbiamente alla base c'è la questione del passaggio, come sottolinea anche Simone Angippi, anche se io vedo il tutto sotto una luce un po' diversa. Non posso arrivare ad affermare che il passaggio non c'è e che quindi non va considerato. Ciò che ho sempre scritto, detto, esemplificato e insegnato è che la disposizione "naturale" degli apparati, quella che ci troviamo quando iniziamo a studiare canto, porta a segmentare la gamma vocale in due grandi piani sonori, in gran parte sovrapposti, ma che l'arte del canto conduce a riunificare questi "pezzi" in uno solo. Sottovalutare l'esistenza dei cosiddetti registri a mio avviso è pericoloso per la futura saldezza e longevità vocale, perché anche chi si ritrova, per dono celeste, a percorrere con facilità tutta la gamma fino agli acuti estremi senza avvertire passaggi (il che non vuol dire che non ci siano e non si sentano), prima o poi dovrà fare lo stesso i conti con problemi vocali vari, che non si chiamano "tecnica", ma si chiamano "istinto". In ogni modo, per sintetizzare, in cosa è consistita la differenza fondamentale tra i cantanti, bravi anche se non sempre immacolati, di cui comunque possiamo ascoltare le registrazioni, e quelli degli ultimi decenni? Che quelli cantavano FUORI, lasciavano che la voce scorresse, si ampliasse e si spandesse nell'ambiente, cioè la linea vocale prendeva la linea della bocca e fuoriusciva con estrema nitidezza. Questa può sembrare una cosa banale, semplice, ma è di terribile difficoltà, perché non è la linea preferita dal nostro istinto, che preferirebbe una linea verticale, verso il palato molle e la cupola cranica. Questa seconda linea conduce fatalmente alla manifestazione del passaggio, perché è la linea del cosiddetto registro di "petto", che non avverte l'esistenza dell'altro, e preme per proseguire con quella sonorità. Viceversa la linea che piega verso la cavità orale, provocherà quel polo di appoggio superiore e anteriore che manterrà il pieno e inconsapevole appoggio sul diaframma. La realizzazione del passaggio come viene insegnato nella stragrande maggioranza delle scuole, con "sbadiglioni", "giri"; oscuramenti, ecc. ecc., essendo fatto internamente senza seguire la vera e consapevole pronuncia vocale, va esattamente nella direzione opposta, cioè non risolve il problema del passaggio, perché non vi è reale appoggio, ma solo manovre muscolari per cercare di evitare catastrofi (cosa non sempre realizzata), dove la gola non si apre quanto dovrebbe, la laringe non occupa il posto che le compete e l'organismo continua a reagire e a opporsi. Risultato: voce artefatta, limiti espressivi, carenze di estensione, impossibilità di realizzare prodotti musicalmente di alta qualità.

La questione però va ben compresa! Non è che "mandando" la voce fuori si risolve il problema! Si deve far maturare, si deve permettere un'evoluzione (in genere piuttosto lenta) respiratoria che consenta alla voce di nascere e svilupparsi all'esterno. Quando ciò avverrà, anche nelle sue fasi iniziali, già si avvertirà una gamma vocale pressoché unificata. Ovviamente i possibili errori, in questa fase di maturazione, saranno moltissimi, perché l'istinto "spinge" affinché non si cerchi di commutare la respirazione da istintiva, appunto, ad artistica.

sabato, febbraio 06, 2016

Mantenere il colore

Il tenore contraltino Blake, in una lezione che vidi su YT, non so se ci sia ancora, spiega che secondo lui più che il passaggio, l'oscurare la zona acuta può servire a "mantenere il colore". Cosa che, mi pare, nel suo caso non accade, perché la sua zona acuta e sovracuta è quanto mai chiara, il che è anche dovuto a quell'eterna posa sorridente (però non disgiunta da una corretta ampiezza anche verticale, quando necessita). Allora, dopo il post precedente riguardante i colori, è forse il caso che prenda in considerazione questo argomento.
Come ci insegna la fisica elementare, per poter accedere al settore acuto in qualunque strumento, occorre un assottigliamento delle corde e/o un loro accorciamento. In alcuni casi le due cose vanno in controtendenza, cioè per ottenere un suono più acuto occorre un allungamento delle corde, perché questo genera assottigliamento. Naturalmente ci sono dei limiti. Lo strumento umano, grazie all'estrema elasticità, si comporta un po' diversamente dagli strumenti meccanici, che avendo corde metalliche soffrono una notevole rigidità. Gli strumenti a corde, pertanto, presentano, man mano che si procede verso l'acuto, corde più sottili E più corte (o accorciate). Le corde umane, invece, si tendono sempre più, quindi si allungano e si assottigliano; quando questo procedimento non offre più mezzi idonei al caso, inizia una parzializzazione del bordo vibrante.
E' fatale che questo procedimento porti a uno schiarimento del suono, perché è lo stesso processo. La produzione della vocale "I", anche su note centrali, provoca una maggior tensione delle corde per generare un assottigliamento, e capita invece il contrario per i suoni gravi e i suoni più scuri, tipo U. Ecco dunque che le scuole che immotivatamente vogliono e impongono un canto scuro, procedono verso la U, perché questo "infossa" la laringe, che trova meno spazio nell'ipofaringe, e quindi anche un ammassamento delle corde, che si accorciano e si ispessiscono. Questo procedimento trova una sola eccezione (rara) e cioè quando si intendono produrre suoni "contrabbassi". L'infossamento della laringe non può andare oltre certe note, ed ecco quindi che per trovare note più gravi, essa deve tornare a salire, e molto, e potersi allungare nello spazio che si trova nella parte prossima all'orofaringe (è una delle cose che comprese già Garcia a metà Ottocento). Parliamo di suoni orribili, giusto adatti ai cori russi, che in quel contesto fanno un certo effetto, ma che non sono idonei a un canto artistico.
Se un tenore o un soprano devono produrre suoni acuti, in genere non si preoccupano troppo del problema del colore degli acuti, che schiarirà proporzionalmente al timbro personale del cantante. Del Monaco, ad esempio, ebbe la fortuna di studiare con un altro insegnante, che gli fece guadagnare gli acuti senza uccidersi, cosa che invece capitava con la scuola di Melocchi, e infatti c'è poco da fare, gli acuti di Del Monaco sono chiari, o meglio sono più chiari rispetto al suo centro. In ogni modo anche tenori e talvolta anche i soprani temono che gli acuti siano troppo chiari rispetto al loro "gonfiore" centrale, e quindi "uizzano" tutto  il settore per poter mantenere quell'accidente di colore. Però spesso calano e vanno incontro a problemi anche seri, perché questo sforzo di produrre suoni più scuri in un settore che li vuole più chiari mediante artifici muscolari, è logico che produca danni; nel migliore dei casi la voce balla, oscilla, sferraglia, si intuba; viceversa perde note, produce noduli, patologie varie. A parte questo, perché poi vengono a dirti: eh, ma tizio e caio hanno comunque fatto una carriera lunga, dobbiamo sempre riferirsi a "come"? Un canto perennemente forzato, duro, declamato, forte, inespressivo, non è un biglietto da visita sufficiente! (almeno per me).
Fatalmente mezzosoprani-contralti, baritoni e bassi saranno molto più sensibili a mantenere i colori, perché temono critiche, laddove bisogna che qualcuno spieghi che un baritono non è un tenore perché è più scuro, ma perché ha un diverso "carattere", che può ANCHE manifestarsi con un colore più scuro, ma non è questo il punto saliente. Domingo, ad esempio, per quanto possa scurire (ma almeno questo non mi pare lo faccia), non è e non sarà mai un baritono, appena apre bocca si sente che ha un carattere tenorile; è stato un ripiego, e va beh, tanto non è peggio di altri.
Il vero canto artistico libero esemplare, troverà sempre il giusto colore su tutta la scala, che potrà essere, come dicevo nel post precedente, leggermente modificato, come è possibile fare anche su molti strumenti meccanici (su corde più spesse), mediante una maggiore verticalizzazione. Chi pensa di ottenere un colore più scuro agendo sulla laringe, rientra, volente o nolente, nel novero degli affondisti, ed esce dalla logica del canto libero ed esemplare. Una maggior verticalità orale, richiama più fiato, che può sostenere una maggior tensione e spessore cordale, e quindi un colore un po' più scuro, senza per questo rinunciare (MAI) alla perfetta pronuncia (le donne quando superano il sol-la4 dovranno comunque continuare a volerlo, anche se l'effetto difficilmente sarà ottimale). Questo settore è quanto mai impegnativo per la respirazione, dunque pensare di poter emettere acuti in colore scuro fin dai primi tempi di studio, anche se si ha una vocalità innatamente favorita, è sbagliato, perché si sottopongono gli apparati a un lavoro improbo che non sono pronti ad affrontare, ma soprattutto vengono stimolati vieppiù a una reazione, che darà seri problemi in seguito. Quindi, con la pazienza e l'umiltà necessarie, si deve perfezionare la gamma vocale sul colore naturale del soggetto, senza esasperare né i colori chiari (che producono spoggio) né quelli scuri (che provocano reazione), salvo, in entrambi i casi, quelle necessità didattiche del momento. Quando il momento sarà opportuno, si potrà puntare anche ad ampliare il ventaglio cromatico sviluppando con gradualità le componenti un po' più orizzontali e un po' più verticali, sempre verificando che questo non provochi difetti, nel qual caso vuol dire che non è ancora l'ora!!! Tutto sempre senza alcuna volontà di azione muscolare. Non c'è se e non cè ma! Chi pensa di fare una certa cosa come "eccezione", è già fuori. Meglio allora un canto omogeneamente difettoso. Un canto buono con una "macchiolina" è peggio, sarà un pugno nell'occhio.

giovedì, febbraio 04, 2016

Il colore e la vocale

Tra qualche mese questo blog compirà dieci anni, e, pur non avendo realmente cose nuove da dire, mi rendo però conto di avere ancora riflessioni fondamentali da condividere con i pazienti lettori.
L'argomento che mi accingo a illustrare è quanto mai importante, e richiederà un po' di tempo.
Parliamo dunque di COLORI E di VOCALI, che è diverso dal parlare del colore DELLE vocali.
Ritorno ancora una volta su una questione a mio avviso fondamentale, e cioè la differenza tra SUONO e PRONUNCIA, ovvero tra suono e vocale. Attenzione, perché nel trattare queste "parti", non intendiamo dividere, tutt'altro, ma considerare unitariamente un sistema che è composto da diverse parti interagenti e in continua e perfetta sintonia tra loro, dove ciascuna deve possedere caratteristiche relative alle altre per poter dare il meglio e il giusto.
Sappiamo che l'organo produttore, le labbra della glottide o corde vocali, produce un suono, di per sé anonimo, che non può essere considerato ancora una vocale. Di fatto questo suono non avrebbe nemmeno un colore particolare, se non quello proprio della persona che lo produce, con le sue caratteristiche anatomo-fisiologiche. Però c'è un altro fatto; le persone, anche quando non intendono dire qualcosa di significativo, quando fanno "dei versi", un qualunque suono, di fatto si orientano verso una certa vocale. Il motivo, già esposto tempo fa, è relativo alla manifestazione di sentimenti; allegria, gioia, stupore, malinconia, ribrezzo, ecc., si esternano mediante vocali, anche di estrema purezza. Quando invece tale manifestazione è superficiale, poco coinvolgente, si emettono suoni piuttosto generici, che hanno solo parzialmente la componente vocalica conclamata, acquisendone il colore; il colore chiaro riporterà alle vocali "I", "é" ed "A"; le scure la "è", la "O" e la "U".
Ora capita, invece, che le scuole di canto parlino di un 'colore del suono' da ottenere indipendentemente dalla vocale! Se questo è possibile, ed è possibile, vuol dire che abbiamo una sovrapposizione e una interferenza! Se io intendo eseguire una, mettiamo, "I" con un colore oscuro, vuol dire che sovrapporrò la pronuncia della "I" a quella di una vocale dal colore scuro, quindi dell'area "è-o-u". Questo genererà una interferenza, in quanto la postura anatomica della "I" è estremamente diversa da quelle delle vocali scure, possiamo dire opposta, quindi di fatto si genera anche un contrasto e una forte tensione tra la lingua, il faringe e la stessa laringe, perché sono chiamate a svolgere contemporaneamente compiti opposti, per cui il cantante che intende cantare con questa intenzione, dovrà necessariamente accettare un compromesso, per cui non emetterà correttamente né una "I" né una "U", ma troverà una posizione intermedia che riterrà accettabile. Ovviamente questa soluzione è quanto di peggio si possa trovare in una qualunque forma d'arte. Conosciamo bene cosa significa a livello di insegnamenti: fai una ... (a?, i?, e?...) pensando U (lo diceva persino Celletti!!), e magari cercando l'ampiezza della A. Quale orror!!
Arriviamo a un dunque. Risulta evidentente che l'idea di sovrapporre le vocali per dare un colore è antivocale, produce obbrobri. Non è quindi giusto, possibile, dare diverse gradazioni di colore alle vocali? Certo che sì, ma con criteri che evitino le storture, i difetti e le interferenze di cui sopra.
Le vocali hanno una connotazione di particolare purezza, dove ogni vocale esprime il colore che le è proprio e con il timbro peculiare della persona che canta. In ogni vocale esiste comunque una componente chiara e una componente scura; potremmo dire che c'è una percentuale di scuro che esprime la componente "verticale" del suono, ovvero la lunghezza del "tubo", la profondità, ed è anche in relazione agli armonici, quindi all'intensità, ovvero a quello che viene indicato come appoggio, che però non è una "spinta" o pressione verso il basso, che darebbe un valore falso, artificiale, innaturale e enfatico, ma il giusto grado in relazione alle condizioni ambientali ed espressive di quanto si va a cantare. La componente chiara è più legata all'orizzontalità, e quindi alle caratteristiche di espansione orale della vocale. Credo sia evidente che la I è la vocale che si espande maggiormente in orizzontale, mentre la O e la U sono quelle che si diffondono maggiormente in verticale. Ci si deve rendere conto che una percentuale di chiaro e scuro è indispensabile in ogni vocale, perché "togliere" il chiaro da una vocale per renderla più scura,  sacrificherà, e gravemente, l'espansione del suono nella sua componente orizzontale, che è quella che esalta le componenti di squillo, di ampiezza, di brillantezza. Per contro sminuire la componente scura vuole dire rischiare lo spoggio, sacrificare la pienezza, la profondità, quella che anche il Mancini chiamava "cavata". Ma esaltare questi colori con "manovre" significa impendire sul nascere la piena libertà di risonanza. Ancora una volta devo insistere che il primo obiettivo da raggiungere, di per sé oggi da considerare quasi miracoloso, è l'esternalizzazione. Tutte le vocali devono suonare esternamente. Quando ciò capiterà, noi ci troveremo già in una diffusa eufonia e una parificazione di pronuncia; non esisterà più l'avanti, l'indietro, il sopra, il sotto, ma solo il fuori, ampio. Le percentuali o componenti chiare e scure risulteranno le componenti comuni nel "legare" tra loro le vocali. Passando da A ad O, ad esempio, è evidente che una parte del "chiaro" della A dovrà rimanere nella O, altrimenti non c'è un vero legato, ma uno "scalino", un cambiamento inaccettabile. Anche nel passaggio più estremo, da una I a una U o viceversa, ci sarà una percentuale di chiaro della I e di scuro della U che si manterranno. Ma per tornare al "dunque", se è necessario, per questioni stilistico-espressive, utilizzare un colore della vocale con una percentuale diversa da quella base, è possibile, escludendo ogni interferenza. Dal momento in cui la vocale è esterna, noi possiamo variare leggermente l'atteggiamento labiale e la volontà. Se io sto emettendo una "I" e ne voglio esaltare un po' la componente scura, per quanto effimera, lo posso fare verticalizzando le labbra. Rimarrà una I perfetta (grazie alla volontà, che guiderà le labbra nella giusta posizione), ma assumerà una connotazione che potremmo definire (come si è sempre detto) più "tonda" o "raccolta". In ogni vocale è possibile quindi sfumare in un senso o nell'altro con piccole modificazioni labiali, ma soprattutto con una volontà cromatica, che non dovranno però MAI comportare una modifica sensibile della pronuncia, che deve assolutamente sempre rimanere perfetta, cioè non portarsi verso una cosiddetta intervocale.

Non ho finito, mi spiace!! C'è un'altra componente da considerare! Le corde vocali sono altrettanto partecipi e coinvolte nella timbratura delle vocali. La parte marginale delle corde produce suoni più chiari, in quanto più sottili e tese, mentre la parte interna produrrà suoni più scuri e morbidi. Sarà semplicemente e sempre grazie alla volontà e all'acconciatura della bocca, allorquando si saranno unificate le cosiddette meccaniche in un'unica corda graduata, che richiamerà ora la componente più "falsettante" o quella di petto per produrre le varie gradazioni cromatiche. Ovviamente sempre e solo quando la respirazione sarà elevata al grado di permettere tutto ciò! Ma non si provi a cercare di fare tutto ciò con tecniche e manovre, perché il risultato potrà essere letale!!

lunedì, febbraio 01, 2016

Esempi

Inserisco per l'amico che nel post "la gabbia glottica e l'acuto aperto" sta ponendo alcuni quesiti sulla copertura del suono, questo esempio di grande canto. De Luca, che considero tra i più grandi baritoni e cantanti della Storia, da quando esiste il disco, è qui al massimo delle sue manifestazioni. Un canto semplice ma sentito, senza effetti, senza "gonfiori" e artifici di alcun genere. Parla col cuore in mano; nell'ipocrisia di questo personaggio, egli è comunque sincero e accorato. Come si può esprimere meglio di così questa pagina verdiana?