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giovedì, maggio 12, 2016

"Parole, parole parole..."

L'ho già scritto e detto tante volte e prima di me il m° Antonietti e chissà quanti altri, non è certo una nostra scoperta, che alla fin fine tutti questi libri, migliaia e forse milioni, sul canto e soprattutto sulla voce, sulla "tecnica" di canto, non servono assolutamente a niente, se non a confondere e a intorbidire le acque. Ci metto tranquillamente dentro anche tutte le parole scritte da me e dal m°, non voglio certo escludermi. La questione è semplicemente che tutto ciò può avere un senso, un significato, una utilità, fin quando ci sarò io, o chi saprà condividere tutto ciò al mio stesso livello, che con l'insegnamento pratico, con l'esempio, con l'udito elevato allo stesso grado artistico, possa dare un significato e innescare negli allievi lo sviluppo, l'evoluzione vocale cui aspiriamo. Chi per diverse ragioni non usufruisce dei miei insegnamenti può trovare nelle parole di questo blog, così come nel libro del m°, degli spunti di riflessione e di orientamento che possono portarlo ad aprire gli occhi rispetto ad altri insegnanti e metodologie, ma nulla più. Qualche giorno fa stavo cercando una certa frase sul libro del Mancini, e l'ho risfogliato un po' tutto. In questa carrellata mi è proprio venuto da dire: quante parole vane! Tutti i libri, i metodi, i trattati, da Tosi a Mancini a Garcia ai Lamperti fino ai più recenti... ma cosa potranno mai dirci, non potendo noi sapere nulla di loro, del loro insegnamento pratico, dei risultati che ottenevano sui loro allievi, e sullo stesso loro canto. Prendiamo per oro colato ogni frase (l'ho fatto più volte anch'io) come se fosse una grande scoperta, o per appiccicarlo lì come un trofeo: anche "lui" diceva questa frase! Salvo, poi, leggendo oltre, trovare che magari diceva anche il contrario... Questi libri sono pieni di contraddizioni e se da un lato troviamo una frase che ci conforta in un pensiero che condividiamo, ne troviamo altri che non comprendiamo e che si discostano considerevolmente. Quindi qual è il senso di cavalcare tutta questa letteratura, considerando che alla fin fine nessuno ne sa ricavare alcunché? Esiste l'eccezione. Quest'eccezione per me è stata incarnata proprio dal m° Antonietti (così come lo è stato per il m° Celibidache), che avendo avuto intuizioni profonde importanti, è riuscito (dopo, però, aver conquistato praticamente l'arte vocale) a scoprire tra le righe di questi trattati ciò che non appare così scontato e superficialmente. Me ne accorsi anni fa quando rileggendo qualche paragrafo del Garcia, trovai quasi per caso alcune parole cui non avrei mai dato particolare peso se non avessi avuto l'"imbeccata" di quanto aveva detto il m°. Lui l'aveva visto, io no, e come me migliaia di persone che l'hanno letto. Lo stesso vale per molte altre parole o frasi, prese da altri trattati o dai libri di anatomia e fisiologia. Per la maggior parte degli utenti sono concetti che potremmo definire "convergenti", cioè di univoco significato, quello scontato, di natura scientifica. Per un maestro c'è un pensiero "divergente", cioè altri significati ben più profondi e "laterali" che si ricollegano a una rete di pensieri che realizzano un'unità; ma quest'unità bisogna già averla conquistata empiricamente e nella coscienza; ciò che può mancare sono i concetti razionali, cioè le modalità di espressione verbale. E' così che è nata una scuola vera, dove il cerchio è chiuso. Dopo ogni esperienza di successo con i miei allievi, il mio pensiero è: ma come avrà fatto?? Alla semplicità dell'azione didattica, fa riscontro una tale ragnatela fitta di collegamenti con altri elementi d'ogni genere (dal filosofico, all'antropologico, all'anatomico, allo psicologico, ecc.) che ancor oggi a me sembra impossibile che sia riuscito a risolvere. E' come aver capito come è fatto realmente l'universo, la sua equazione, ma anche l'equazione della vita. Quando ero studente e lui si profondeva in meravigliose dissertazione filosofiche, a mia volta mi entusiasmavo a parlarne con i miei amici, che puntualmente mi rinfacciavano l'assurdità che un maestro di canto, una persona di modesta cultura e di una materia "modesta" come il canto, potessero dar vita a concetti filosofici di rilievo. E allora mi sovveniva una sua poesiola: "E' tanto dolce vagare nel vero, quanto è amaro vagarvi da solo."

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