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sabato, agosto 20, 2016

Arte primitiva

Qualche tempo fa ho partecipato all'inaugurazione di una mostra, in una seria galleria d'arte, di dipinti realizzati dai bambini di una scuola dell'infanzia (3-5 anni). Il curatore della mostra ha collocato, accanto alle opere dei bambini, alcuni quadri d'autore di artisti recenti che si rifacevano all'arte visuale primitiva o propriamente all'arte infantile. Il gallerista si è profuso in una piuttosto lunga dissertazione in merito, sulla quale non mi sono trovato del tutto d'accordo, ma questo è poco importante; ha però, a mio avviso, puntualizzato giustamente il punto d'incontro tra queste arti, e cioè cercare di tornare ai fondamenti espressivi separandoli dalle sovrastrutture che un certo tipo di cultura ha creato e reso quasi indispensabile a livello fruitivo. Faccio un esempio che forse potrà risultare più chiaro. L'architettura Medievale era necessariamente sobria; dapprima molto "umana" (romanico), poi più austera (gotica) ma in ogni modo pressoché priva di orpelli. Il Rinascimento ha coltivato molto l'aspetto visuale, l'equilibrio e la qualità espressiva, ma anche in quell'epoca rari e solo con precisi intenti si dava spazio a una bellezza che fosse fine a sé stessa, che non si relazionasse con le strutture e nell'unità complessiva dell'edificio. La questione, invece, si capovolge completamente nell'epoca successiva. Il Barocco valorizza l'aspetto teatrale urbanistico ed esalta l'orpello, l'elemento isolato da esaltare, il piano estetico ed esteriore di alcune prospettive che potevano anche gravemente penalizzare l'aspetto pratico e funzionale. Al di là degli indubbi capolavori dell'epoca, la frammentazione e l'esteriorizzazione di questa poetica è rimasta anche nei periodi successivi, aggravata dalla monumentalizzazione "classica" ed eclettica di fine 700 e inizio 800. Si è creata da un lato una (pseudo) cultura dell'immagine architettonica che ha imposto un modello estetico ed urbanistico svincolato dalla funzione propria degli edifici, che si è profondamente radicato nell'opinione pubblica. Quando, dopo le rivoluzioni di primo 900, ai due lati dell'Oceano due architetti profondamente diversi ma egualmente impegnati nell'abbattimento di quegli ormai obsoleti stereotipi estetici, F. L. Wright e Le Corbusier, iniziarono a progettare TOGLIENDO dai loro edifici ogni sovrastruttura, superfetazione e orpello, per ridare valore alla semplicità e alla funzionalità, trovarono vita difficile, perché quel modello si era ormai radicato e la semplicità, la pulizia, l'eleganza e la ri-umanizzazione degli spazi parevano, a quell'opinione pubblica, togliere tutta la presunta bellezza che ai loro sguardi mancava. La storia del canto dell'ultimo Secolo, ripercorre la stessa storia in sintesi. Voci chiare, semplici, parlanti, umane, vere (benché sonore ed estese) ancora a fine Ottocento e primo Novecento, mentre iniziavano a nascere parallelamente voci pompose e scure, ma ancora poco diffuse e non sempre ben accette. Viceversa un gusto decadente, un po' in tutti i campi, che si instaura tre le due Guerre e ancor più dopo, porta al successo nell'opinione pubblica una vocalità rozza, unicamente esteriore, sommaria, musicalmente al limite dell'indecente e questo diventa il modello di riferimento! Ancora per tutti gli anni '80 e fino ai giorni nostri, nonostante il crescente sviluppo del recupero delle opere più antiche con la necessità di ritrovare i giusti parametri espressivi e musicali, una parte preponderante dell'opinione pubblica operistica ha continuato a sostenere la vocalità opulenta e grossolana, basata solo sulla forza (se non sforzo), sulla potenza, sul colore, sul "machismo" o sulla bellezza fine a sé stessa. Il problema non indifferente, però, è stato che la diminuzione di vocazioni canore, la diminuzione delle prestanze fisiche e il minor interesse verso il teatro verista, insieme ad altre crisi intorno all'opera nel suo insieme, ha causato un crollo verticale di tutte le qualità, controbilanciato, ormai, da pochi singoli soggetti che riescono a sostenere e dare agli spettacoli un livello di dignità che risulta sempre più difficile intravvedere.

domenica, agosto 14, 2016

Il pignolo

In alcune cose sono il primo a darmi del pignolo. Simpaticamente me lo dicevano a volte i miei allievi di scuola quando insegnavo disegno tecnico, e oggi, oltre a dirmelo da me stesso, me lo dicono, sempre senza polemica, alcuni allievi. Ma nei giorni scorsi, pur non seguendo con particolare interesse le Olimpiadi, mi è capitato di soffermarmi per alcuni minuti su alcune gare di ginnastica artistica e di tuffi sincronizzati. In particolare mi interessava sentire i commenti non del giornalista ma dell'esperto a fianco. In particolare nei tuffi, io restavo allibito nel sentire che un certo tuffo, che a me pareva assolutamente perfetto, al commentatore risultava impreciso, e andava a dire dove, ma avrei forse dovuto rivederlo 10 volte per notare ciò a lui appariva palese. E' evidente che costui ha sviluppato un "occhio" pronto a cogliere i dettagli. Ci riusciremmo tutti, presumo, con una buona guida e un esercizio costante. Un maestro di canto esercita la stessa abilità con l'orecchio, quindi perché lì si punta alla perfezione e nel canto si passa per "pignoli"?  Va bene che il canto non è sport e le cose stanno un po' diversamente, però, ad esempio, anche l'analisi di molte esecuzioni strumentali non sono lontane da questi paragoni. Io sento esecuzioni canore che sono di una approssimazione musicale e vocale che è come vedere quel povero tuffatore filippino che termina goffamente di schiena. La differenza è che quello ha preso zero, e magari è stato solo un incidente  e successivamente avrà migliorato, oppure sarà radiato da qualunque competizione, questi cantanti calcano le scene dei teatri più importanti, prendono fior di quattrini e sono portati in palmo di mano anche da un folto pubblico e possono solo peggiorare, in genere. Quando l'orecchio ovvero la mente colgono l'imperfezione e l'approssimazione, se si è seri e onesti, non si può fare a meno di fermare un'esecuzione (didattica) e tentare di suggerire le strategie per migliorare, e quando si sentono "grandi cantanti" che non sanno nemmeno avvicinarsi a una esecuzione di buon livello (altro che esemplare!!) non si può fare a meno di segnalarla, di scriverne e pubblicizzare. Se poi i fan attaccano e contestano, senza argomentazioni plausibili e coerenti, saranno affari loro che invece di cercare di crescere in competenza, in sensibilità, rimarranno affogati nelle proprie carenze. Proprio in questo senso, la gara di ginnastica artistica che ho visto, di un'italiana, si basava musicalmente su una esecuzione "vocalizzata" del nessun dorma, che persino in una acustica approssimativa, attraverso la tv, con gli echi della grande sala, appariva strozzato all'inverosimile. E la gente lo va ad ascoltare, ad applaudire e ti dice, magari, che non è poi tanto male! Certo, posto che al peggio non c'è mai fine...!! Acc, che pignolo sono!!

sabato, agosto 13, 2016

Dal passato al futuro

L'arte è verità, dunque una realistica manifestazione d'arte, come può essere un canto esemplare, ci porta in una condizione senza tempo, ovvero nel tempo musicale, non misurabile con strumenti meccanici ed "esterni". Nella voce pura c'è il passato il presente e il futuro, ovvero da dove veniamo e dove andiamo, dunque chi siamo! Questo lo possiamo anche tradurre con: la fine è contenuta nell'inizio. A cosa faccio riferimento con queste espressioni? Con la generazione della voce (con vocale "vera", pura) che deve avere in sé "il futuro" di quanto si sta cantando. Capita sovente che io fermi l'allievo quasi immediatamente dopo l'attacco (se non prima!!) non tanto o non solo perché la nota non è stata presa correttamente, ma perché in essa non c'è "futuro", cioè è inutile proseguire perché, anche se accettabile, appare evidente che mancano le condizioni affinché le note successive siano perlomeno altrettanto accettabili. Ma non solo. Capita che io dopo l'esecuzione di alcuni esercizi, considerati validi o sufficienti, io torni indietro o chieda un ulteriore salto di qualità, perché si avverte che non è pensabile di affrontare una successiva parte di esercizi, magari in una zona più acuta, con quello stesso livello, perché è evidente che sarà un risultato troppo modesto. 
Qualche anno fa sentii dal vivo un cantante piuttosto celebre, che in quei giorni stava anche esibendosi in un importante teatro in Medea, cantare "il lamento di Federico". Dopo poche note non mi chiesi come facesse a cantare la Medea, ma mi chiesi come avrebbe fatto, dopo circa un mese, a cantare Don Carlo in un altro grande teatro. Infatti fu sostituito alla generale. Tutto questo pensiero mi è nato oggi, perché un'allieva, dopo qualche correzione, ha emesso una vocale "in stato di grazia" e a me è uscito: "ecco, questo è un suono che ha un futuro". Dopo un secondo ho realizzato cosa avevo detto, quasi inconsciamente. La mia percezione profonda aveva realizzato la situazione di un suono che "prometteva". Allora posso ancora ampliare quanto esplicitato sopra dicendo questo: l'attacco è una promessa, così come il musicista che compone, nelle prime note del suo lavoro espone un'idea, che è una promessa; è promessa di farci godere, di farci sognare con quanto seguirà, un seme che dovrà dare (contenendola già in nuce) una magnifica pianta. Il cantante che sa attaccare, che sa far nascere, generare, nel nulla e dal nulla, un suono vocale purissimo, espone un piano, una prospettiva di un percorso musicale, sonoro e verbale che nel "suo" tempo (distogliendoci totalmente dal tempo fisico) ci riempirà di gioia e di sofferta passione. Dato che spazio e tempo sono intimamente legati, devo anche dire che un suono "fermo", un suono che non fluisce, che non "corre", non può avere alcuna possibilità di futuro. E' un suono inutile, fine a sé stesso. Il cantante, qualunque cosa faccia, un esercizio parlato, un vocalizzo, una frase di un'aria, deve porsi in quella condizione in cui la fine (del vocalizzo, aria, frase, ecc.) sia contenuta nell'inizio. Se deve fare cinque note, mettiamo, non sono realmente cinque note, ma nella prima nota ci dovranno già essere le quattro successive, ovvero non una nota dopo l'altra ma una nota elevata a una potenza (quindi dotata della necessaria energia) tale che faccia sbocciare e sviluppare l'intera articolazione. Mi è capitato di usare questo mezzo: "fai la prima nota, immagina quelle centrali, e riesegui l'ultima", e varie altre forme (fai la prima, accenna pianissimo le altre e concludi di nuovo in voce, ad es.). Viceversa ascolto frequentemente cantanti che cantano realmente solo una nota ogni tanto, tralasciando di dire, di pronunciare, di comunicare quanto sta in mezzo. Non è, si badi bene, la stessa cosa! Qui ciò che sta in mezzo è come se non ci fosse, in quanto la prima nota non è "futuribile", è morta in sé, non ha vita. Avere vita vuol dire avere futuro. Come dice Celibidache "se muore subito è perché le ragioni perché è apparsa erano troppo deboli". Cioè non promettono niente, non c'è un piano, non c'è... per l'appunto, la FINE. 

lunedì, agosto 01, 2016

Lirica Vs moderna

Affligge molti studenti di canto il problema di cantare musica cosiddetta "moderna" avendo, magari, una formazione lirica o volendo cantare entrambi i generi. La questione non è propriamente sciocca, perché da qualche tempo esistono generi che potremmo definire, seppur impropriamente, misti. Il musical è un genere piuttosto nuovo dove alcune voci devono salire anche su note acutissime e, peraltro, nel centro cantano come nella musica leggera. L'unica, fondamentale, differenza, consiste nell'uso di microfoni, ma questo non toglie che la preparazione vocale non può essere troppo superficiale. Anche molte canzoni, specie portate al successo da alcuni cantanti americani, richiedono estensioni ragguardevoli, per le quali non basta una vocalità spontanea.
Dunque, la domanda che moltissime volte mi viene rivolta, è: "non posso cantare l'ottava do3-do4 in falsetto, come si fa nella lirica, perché risulta del tutto fuori stile, quindi dovrei cantare di petto? ma, ammesso di riuscirci, come proseguo, nel caso sia necessario salire nella successiva ottava?" Quindi il problema che angoscia di più, soprattutto LE cantanti, riguarda il settore dove lo studio tradizionale prevede il cosiddetto passaggio (fa3). Facciamo una escursione storico-stilistica. Negli anni 40-50, la musica leggera, contaminata dal jazz che si andava rapidamente diffondendo, vede il successo di alcuni diversi stili, ma fondamentalmente uno melodico, molto soft, e uno più "duro". I cantanti provengono comunque ancora da scuole di canto accademiche, magari con durate più brevi, ma in cui emerge una vocalità piena ma morbida. Stranamente non si ha una percezione di un canto dichiaratamente "di petto", seppur neanche falsetto. Dunque è evidente che qualche testa fine c'era! Sentite Tajoli, il giovane Villa, Buti... ma anche il trio Lescano o Nilla Pizzi! Alla fine degli anni 50, inizio 60, con il boom economico, scoppia anche il boom degli "urlatori". In questo periodo, e per diversi decenni, i "canzonettari", specie quelli delle canzoni estive, da spiaggia, urlano a gola spiegata. Anche la giovane Mina ci dava dentro a tutto petto, fino al do4 e anche oltre. Ancora nei concorsi degli anni 80 la maggior parte dei cantanti di musica leggera cantava tutto di petto; ricordo che diverse allieve del mio m°, ragazzine di 15-16 anni, vincevano concorsi a go-go con questa impostazione (ho ancora alcune registrazioni). Ma le cose sono poi cominciate a cambiare con l'arrivo di alcune cantanti del Nuovo Continente che cominciavano a far uso anche di falsetto e testa per andare sugli acuti. Anche in Italia sono balzate al successo alcune cantanti che facevano uso dei due registri, magari esternando di aver compiuto studi lirici. Ora si tratta di chiarire cosa eventualmente cambia e a cosa fare attenzione quando si studia. Purtroppo devo anche fare alcune considerazioni poco eleganti ma necessarie. Lo studio del canto lirico, in una elevata quantità di scuole italiane, con le annose questioni della "maschera", della gola aperta, della laringe bassa e via dicendo, storpia orribilmente suono e soprattutto pronuncia, per cui il risultato è quanto di più lontano possa esserci per un cantante "moderno". Per cui devo dire che volendo rivolgersi a un insegnante che predilige il canto lirico, occorre in primo luogo accertarsi che il suo insegnamento prediliga la parola e la vocale pura, altrimenti meglio evitare. Per ragioni diverse io sconsiglio /e mica poco!!) anche le scuole di ispirazione foniatrica, tipo SLS e voice craft.
E andiamo a spiegare.
In primo luogo introdurrei il concetto di CARATTERE! Vedo piuttosto raramente fare riferimento a questo aspetto della voce, che invece secondo me è essenziale; in alcuni casi è determinante per la classificazione della voce o, quantomeno, per il "sottoinsieme" di classe (lirico, drammatico, leggero...). Faccio due esempi legati al repertorio operistico: la Santuzza della Cavalleria rusticana viene solitamente eseguito da mezzosoprani, ma sta in una tessitura accettabile anche per qualunque soprano (tant'è che molte l'hanno cantato); il fatto è che il carattere del personaggio si presta maggiormente alla voce del mezzosoprano, specie nella famosa scena della "malapasqua". Al contrario il personaggio di Adriana Lecouvreur, anch'esso scritto su una tessitura buona per entrambe le classi, si presta maggiormente al soprano (infatti non mi pare che nessun mezzo l'abbia portato in scena) perché ha un carattere eminentemente sopranile. Per fare un altro esempio ancor più di ampio spettro, se pensiamo a Placido Domingo, al di là della sua vocalità sicuramente molto discutibile, ma il passaggio alla classe baritonale al di là di ogni altra considerazione, è fallimentare in quanto il carattere vocale di Domingo è prettamente tenorile, per quanto possa scurire. Allora, per tornare al tema, a parte questioni di stile, è innanzi tutto una questione di carattere l'approcciarsi a un brano jazz, melodico, lirico, blues o altro. Ho avuto un'allieva che cantava con grande successo brani blues. Ha voluto studiare, era un soprano, e certamente il salto non è stato facile e il dover lasciare il carattere blues è stato l'impatto più duro da superare. Pensiamo a Gigli che canta "mi par d'udire ancora" e, mettiamo, "la donna è mobile": due caratteri completamente diversi, che egli sapeva distinguere con due vocalità opposte. Ecco, potremmo sintetizzare in questo modo. Si tratta di distinguere, senza una volontà "tecnica" di modificare. Bisogna "sapere" qual è il carattere per ogni repertorio e poi capire se si hanno gli strumenti per poterlo rendere.
Lo "strumento" vocale, per poter cantare diversi stili o repertori o caratteri, consiste nell'avere una voce completa. Se partiamo dall'idea che per cantare la musica leggera o moderna, basta l'ottava inferiore, fino a do-re4, allora partiamo già da una limitazione, che limitazione resterà. Chi ha cantato spontaneamente la musica leggera facendo uso esclusivamente del cosiddetto registro di petto, e non è un male, sia chiaro, parliamo di calibri quali Edith Piaf, non hanno sviluppato una respirazione idonea al canto sul secondo registro (anzi, potremmo dire che l'hanno inibito). Se partiamo da questo presupposto, c'è una sola strada e un solo repertorio. Viceversa, laddove si vuole estendere il repertorio, noi dobbiamo partire dall'educare fiato-voce secondo i canoni artistici, quindi rispettando le proporzioni. Il fatto di salire di petto sino a un do-do#4, non è pericoloso e non è dannoso, a patto che le caratteristiche vocali soggettive lo consentano e che lo si faccia nei tempi dettati dallo sviluppo respiratorio e sotto osservazione del maestro, ma anche senza una frequentazione assidua e anche quando il falsetto testa starà iniziando a dare buoni frutti.
Ah, ho dimenticato di fare una precisazione: di quale classe vocale parliamo? Se parliamo di contralto, il salire di petto non costituirà alcuna difficoltà, semmai lo scoglio al limite dell'insormontabile sarà lo sviluppo del falsetto, una prova difficilissima, ma sempre consigliabile. Per il mezzosoprano il petto costituisce un discreto successo, ma appunto per questo è bene allenare il falsetto il prima possibile, evitando per un po' di salire di petto oltre il fa3, perché si rischiano degli squilibri difficili da sanare. Per il soprano occorre capire di quale sottoclasse parliamo: per il lirico e lirico spinto la salita di petto è molto difficile e il rischio ingolamento altissimo. Per i leggeri e leggerissimi invece è facile e divertente, ma presenta pericoli, perché spesso presentano un petto leggero che sembra falsetto, ma non lo è, e se salgono con questa modalità rischiano di scassarsi la voce. Per loro, più di chiunque altro, è indispensabile prendere coscienza della diversità tra le due modalità. In sostanza si tratta di educare il più completamente possibile la voce, e quando si vorrà cantare un genere si dovrà fare riferimento al carattere di quel genere; se la voce è educata correttamente, darà quanto richiesto. Ah, forse ho dimenticato di dire, questo è il fondamento assoluto, che la voce deve essere completamente fuori! Se poco poco è ancora attaccata ai muscoli interni, ovvero suona dentro, il "gioco" non funziona.