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domenica, gennaio 29, 2017

L'irregolarità musicale

Non penso sussistano dubbi circa il fatto che la voce è anche madre della musica. A un certo punto si trovò che anche mediante suoni realizzati con strumenti di varia natura si poteva far musica e si è provveduto, con una lenta ma inesorabile caparbietà, a perfezionare questi strumenti fino a raggiungere risultati di somma qualità. Alcuni di questi strumenti hanno raggiunto un loro punto massimo già tra Sei e Settecento (i cordofoni), altri nell'Ottocento e pochi altri nel primo Novecento. Da questa situazione non si è sostanzialmente in grado di andare oltre. L'idea di molti musicisti di poter fare una musica "moderna" mediante qualsivoglia mezzo elettronico, per sofisticato che sia, è del tutto assurda, perché un fondamento indispensabile affinché il suono si trasformi in musica è la percezione, sia pure inconscia, dello spettro degli armonici. Questa condizione si può solo dare in un ambiente acustico e con strumenti acustici "naturali", cioè senza alcun filtro o mezzo elettrico o elettronico di amplificazione, perché guasta irrimediabilmente il rapporto tra il suono (o i suoni) fondamentale e gli armonici, vuoi dello strumento vuoi dell'ambiente (o risonanze). Per cui partiamo dalla constatazione che un evento musicale vero può solo prodursi con voci e/o strumenti acustici senza amplificazioni innaturali. Si dirà che questa asserzione è esagerata, retorica e "fuori tempo", visto che ormai da più d'un secolo si fa musica sempre più servendosi di varie apparecchiature elettriche ed elettroniche, e che la maggior parte delle persone gradisce e segue con grande interesse e piacere. Ciò non toglie che le cose stiano così. Chiamiamo musica un insieme di eventi sonori che possono suscitare piacere e non di rado anche qualche emozione, ma ciò non basta, perché l'arte, dunque la Musica, deve e può andare oltre questo stadio, alla bellezza pura e infine alla verità, il che implica un profondo coinvolgimento della coscienza, cosa che può avvenire solo nelle condizioni suddette. Naturalmente alla stragrande maggioranza delle persone bastano i primi stadi. A molti basta addirittura un ritmo forte, non interessa nemmeno quello elementare della melodia. Figuriamoci il contrappunto e l'armonia complessa. Ma va bene così, è giusto che sia così, ognuno accede al livello verso cui si sente spinto dalle proprie pulsioni spirituali. Andiamo avanti.
Quando noi parliamo, quindi produciamo parole e frasi, possiamo renderci conto che non esiste una regolarità ritmica. Nelle partiture di musica contemporanea alcuni musicisti hanno tentato di riprodurre l'irregolarità del fraseggio comune, e per far ciò hanno dovuto far ricorso ai cosiddetti gruppi irregolari, cioè blocchi di note che non stanno nelle suddivisioni ordinarie (2-4-8-16...), ma vanno anche oltre le irregolarità già in uso da sempre (terzine, quintine, sestine, ecc.), per cui non solo quintine, settimine, ma gruppi decisamente irrazionali. E' una metodologia cui fece già abbondante ricorso Chopin nell'Ottocento, che già aveva dimostrato una forte propensione per un tipo di fraseggio "umano", cioè non meccanico e iper regolare. Questo si chiamò anche "rubato", e diede vita anche a una serie di incomprensioni micidiali, per cui moltissimi pensarono che la musica dovesse essere priva di regole ritmiche rigide, e una malintesa "libertà" dilagò nelle sale da concerti e nei teatri. E' piuttosto facile trovare esecuzioni discografiche (anche dal vivo) in cui cantanti, direttori d'orchestra, pianisti, ecc., eseguono celebri pagine massacrando ogni rigore temporale e ritmico, facendo diventare la scrittura musicale un mero canovaccio. In campo canoro forse più che in altri, ma ad esempio si ascoltino certe esecuzioni del direttore Stokowsky, ancora negli anni 60 (ricordo in particolare una quinta di Tchaikowsky) dove egli si permetteva veramente di fare ciò che voleva, senza alcun criterio (e molto spesso anche ritoccando abbondantemente la strumentazione). Lasciando da parte questo argomento, che esula, ciò che vorrei puntualizzare è che i musicisti con questi gruppi irregolari hanno toccato solo una parte della questione, grossolana, ma non il focus. La questione è macroscopica. Dall'epoca barocca all'Ottocento, i musicisti hanno sempre più arricchito le partiture di segni agogici e dinamici, e dal primo Novecento c'è stata una vera corsa a chi inserisce più indicazioni, al punto che tutte le note (ammesso che ci siano ancora le note) hanno una o più indicazioni, oltre a quelle generali, e altrettanto spesso gli spartiti necessitano di ampie legende. La domanda può essere: per chi? Ovviamente per gli esecutori, ma la domanda più importante è: cosa cambia tra la musica del Sei o Settecento e quella del Novecento che richieda una così cospicua mole di indicazioni che quella non richiedeva, ovvero cosa è cambiato nel rapporto tra compositore ed esecutore? Molti rispondono semplicemente che molta musica veniva eseguita dal compositore stesso o sotto la sua guida, ma la cosa è vera solo in parte, e spesso non è vera affatto. La questione è che chi studiava musica veniva educato veramente alla musica, dunque sapeva cosa andava fatto e cosa no. Questa Educazione si è andata affievolendo già nel corso dell'Ottocento, ed è andata sparendo durante il XX Secolo, dunque il compositore cerca di porre un argine indicando "cosa vuole". Il che, poi, è un errore ancora peggiore, ma anche questo è un discorso che esula, e che magari riprenderemo. Cosa c'è dunque nel fatto musicale che la voce possiede (o può possedere, se viene mal guidato) e più difficilmente c'è nello strumentale? E' l'irregolarità della parola. L'irregolarità non è esclusivamente di gruppo, ma è di ogni singola sillaba, quindi non basta dire che una certa parola può essere rappresentata, ad esempio, da una quintina, perché se questo anche fosse vero, è altresì vero che all'interno di una parola complessivamente "misurabile" in una quintina, avrò sillabe più corte e più lunghe, nella parola spontanea. Invece tende a prevalere una logica falsamente musicale di cinque note di identico valore e durata, sicuramente più legate a un'esecuzione di tipo strumentale (ma anche su questo mi permetto di dissentire). Ecco che quando si fanno esercizi vocali, gli stessi uomini che parlano con amabile flessibilità, si mettono a recitare noiose filastrocche. Questo perché ci si allontana dal parlato vero, non si bada a trasmettere il significato delle parole, e se non passa quello... figuriamoci il significato della musica, che per alcuni versi è molto più ermetico. Così come non deve essere meccanico il funzionamento della voce, a maggior ragione non deve essere meccanico il modo di condurre gli esercizi. Una certa meccanicità può giusto rivelarsi nell'agilità spiccata, nel vocalizzo staccato, ma mai nel canto sulla parola e quindi negli esercizi che a quella capacità vogliono condurre. Ricordo di aver letto in moltissimi libri sul canto che i vocalizzi devono essere "interessanti" e non noiosi, ma questa frase, buttata là, che può significare? Mi ricordano certi insegnanti di scuola che dicono ai propri alunni che devono farsi interessare dalle materie, se vogliono ricordare ciò che studiano. Bravi, ma come? Forse non è compito degli insegnanti? La stessa irregolarità della parola è anche nella musica anche quando non vi sia un testo. Ci sono flessioni, accenti più marcati e fraseggi a "più" e a "meno" che il vero musicista deve imparare a riconoscere e ad applicare in esecuzione. E' la vera musica, che non si può scrivere e descrivere. Quello che non hanno capito i musicisti dell'ultimo Secolo è che è del tutto inutile riempire gli spartiti di segni, che, se osservati, porterebbero solo a una musica stereotipata e ingabbiata, sostanzialmente irrealizzabile in quanto non tiene conto di nessun elemento ambientale e legato ai parametri contingenti. Il compositore dovrebbe sapere che la musica sta in quanto è stato prodotto e che il buon esecutore non ha bisogno di mille segni per darne una valida esecuzione, mentre quello cattivo potrà avere tutti i segni possibili, ma non riuscirà a darne una versione veramente valida, perché non è dentro di lui, non la sa riconoscere e dunque elargire. Vado ancora oltre. Questa irregolarità della parola caratterizza l'esercizio o l'esecuzione vocale appropriata. Se si comprende ciò che il cantante dice è già un buon segno, ma non è detto che sia l'optimum, perché non è detto che quella sia la verità della parola, ma solo una meccanica riproduzione dei suoni che la comprendono (un po' come certi messaggi letti da computer e cellulari), che noi riconosciamo, certo, ma non sono la manifestazione umana del suo significato. Ecco dunque che spesso durante esercizi e prove, sono costretto a pungolare gli allievi con esclamazioni tipo "parla! parla!", che non significa abbandonare l'intonazione e la melodia o suddividere la parola in tanti impulsi, semmai l'opposto, mantenere un impeccabile legato di base, ma rendendosi conto di ciò che si sta dicendo e far emergere la stessa verità di pronuncia che si ha nel parlato colloquiale, in base all'atteggiamento drammaturgico del caso.

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