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sabato, aprile 15, 2017

Respiro e Musica

Fin da quando insegno canto mi sono interrogato sugli aspetti musicali che dominano l'emissione del cantante. E' meno facile individuarli nel canto vero e proprio mentre nel corso degli esercizi, data la loro regolarità e modularità, sono più immediatamente rilevabili. Fin da subito, date comunque anche le stesse conoscenze acquisite nel corso degli studi e dalle letture, avevo colto che gli esercizi basati su una scaletta o un arpeggio ascendente e discendente, trovavano differenze piuttosto nette tra la fase ascendente e la successiva, dove la seconda risulta sempre meno valida. Mi sono quasi sempre riferito a due condizioni che determinano questo fatto: 1) psicologico: siccome la fase ascendente va "in su", si tende con facilità a impiegare correttamente il fiato, nella discesa si tende a risparmiare o addirittura a tirare indietro, per cui si rallenta il procedimento di emissione, che risulta quindi carente; 2) distrazione: siccome la concentrazione è difficile da mantenere, superata la nota acuta, che riserva sempre un ruolo accentrante, l'allievo si distrae, non controlla più e lascia andare, per cui le note del ritorno risultano imprecise, saltellanti e spesso non ben intonate (specie l'ultima - vedi oltre). Pur confermando queste tesi, in tempi più recenti mi sono accorto di qualcosa di ancor più profondo e coinvolgente l'intero argomento "emissione" e il legame con l'obiettivo evolutivo che ci poniamo. Esiste a livello inconscio un legame tra i movimenti musicali e quelli respiratori, in particolare i movimenti ascendenti sono legati ai moti espiratori e quelli discendenti a quelli inspiratori. In questo modo noi ci troviamo nella condizione che quando il moto è ascendente noi siamo in una posizione più aperta, ampia e facilitante l'emissione, mentre nei moti discendenti ci relazioniamo a una condizione inspiratoria, quindi più introversa, retrograda e quindi frenante l'emissione. Questa situazione è legata poi a un discorso più approfondito sulla respirazione. Come scrissi già in passato, l'evoluzione respiratoria legata al canto porta gradualmente a allentare e pressoché eliminare la condizione muscolare antagonista che avviene tra inspirazione ed espirazione, facendo mantenere al cantante artista una postura, che noi definiamo galleggiante, dove, essendosi eliminate le pressioni istintive interne del fiato, che ruotano sulla funzione valvolare della laringe, e quindi sulla condizione apneica che rischia sempre di prodursi a ogni fine atto inspiratorio, noi possiamo dire di rimanere per tutto il tempo di un'emissione senza sensibili intervalli di tempo (che consentano un rilassamento complessivo per qualche minuto) in una situazione che non si può definire né inspiratoria né espiratoria, ma a "doppia circolazione", o "a tubo aperto". E' questo un risultato di estrema specializzazione, cui pochissimi possono pervenire, però un sensibile miglioramento dell'emissione può nascere proprio da un maggior controllo degli intervalli discendenti dove è opportuno verificare che la scorrevolezza del fiato non rallenti e non freni, anzi è bene proprio facilitare la fluidità, magari pensando di allungare il percorso oltre la bocca; è inoltre un buon modo di migliorare il costante consumo utilizzando (almeno in fase discendente, anche in alcune frasi del canto vero e proprio) il portamento (quello che gli antichi definivano "strisciato"). Quest'ultimo, che è da usare con somma parsimonia nel canto vero e proprio, non solo è molto utile negli esercizi, ma è da considerare una sorta di "tappeto" sonoro onnipresente, che aiuta nel legato (evita i colpi e gli attriti) e ci permette di percepire meglio, anche in zona acuta, il ruolo del fiato, che dobbiamo sempre consumare e mai risparmiare.
Prima di concludere devo fare un cenno agli esercizi "in giù" di cui era fautore ad esempio G. L. Volpi, sulla base dei suoi ricordi della scuola di Cotogni. Un'altra constatazione spesso presente è che molti cantanti giungono sull'ultima nota bassa leggermente crescenti. Questo è dovuto all'ennesimo malinteso (diciamo così) degli insegnanti che dicono in continuazione "tieni su". L'idea che il suono possa "cadere" viene contrapposto al consiglio, appunto, di tenere su, verso gli occhi e la fronte (se non addirittura la sommità del cranio), adducendo anche la questione della "maschera", che, cioè, se si lascia andare il suono, durante la discesa, si perde il "fuoco" della maschera. Non solo son sciocchezze, ma si ingenerano errori. L'unica cosa che fa cadere il suono è l'arresto o il forte rallentamento della corrente aerea. Lauri Volpi usava dire che partendo da una nota centro-acuta e discendendo, si trova il più corretto punto di attacco e si bypassa il problema del passaggio. E' evidente che attaccando in zona acuta, dove cioè c'è una più evidente influenza della corda di falsetto, scendendo si rimane prioritariamente su questa corda (in L. Volpi si sente tantissimo) e quindi è vero che riattacando sullo stesso punto e risalendo non si avvertirà un cambio di registro (Cotogni diceva che nel grande canto è come cantar sempre in falsetto, ed è assolutamente vero). Non so poi come la pensasse lo stesso cantante in merito al "tener su" (in certi periodi so che era del tutto contrario anche all'idea della maschera, ma bisogna ammettere che è stato un cantante e un pensatore molto volubile, quindi c'è poco da fidarsi dei suoi consigli e delle sue teorie) però posso convenire che fare esercizi "al contrario", cioè che prima scendano e poi risalgano può essere vantaggioso, anche per il fatto che l'esercizio consueto ha il difetto di arrivare alla parte discendente quando il fiato è già stato in buona parte consumato, quindi il cantante, oltre a quanto già scritto sopra, sente anche la necessità di risparmiare avvertendo la minor disponibilità d'aria.

2 commenti:

  1. Bellissimo post Maestro....mai mollare il fiato, una linea che non si deve mai spezzare....il fiato che scorre. Grazie

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  2. salvo2:16 PM

    Per i miei trascorsi di sub, mi ha sempre affascinato l'idea che come quando ci si immerge in acqua, così noi siamo immersi nell'aria che ci circonda che ha un suo peso. Infatti, se non ricordo male 1 mc. di aria dovrebbe pesare circa 1,30 kg. L'aria di un piccolo palcoscenico dovrebbe pesare tra i 200 e i 300 kg. Noi cantando, prendiamo ritmicamente ed incessantemente parte di quell'aria, la moduliamo attraverso le corde e lo stesso fluido aereo lo trasmetterà nei punti più lontani così come un sasso lanciato in acqua rimbalzerà lontanissimo se scagliato con la giusta angolazione, potenza, energia, al contrario farà un tonfo miserabile....

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