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lunedì, ottobre 09, 2017

"Ma mi sentiranno?!"

Questa domanda-esclamazione viene detta o pensata da miriadi di allievi di canto quando, dopo infinite esortazioni a "togliere" intensità, spinte, pressioni, forzature varie, riesco a far ottenere il giusto grado di sonorità (che loro percepiscono come troppo piano). C'è poco da fare; l'istinto e la mente razionale ci fa ritenere che se non cantiamo forte il pubblico non sentirà. Questo blog è pieno di post in cui si parla dell'importanza del "dare poco". Ancor meglio: il maestro Antonietti in una lezione (che si trova sul sito) dice, poco dopo l'inizio: "il centro è come quando si parla". Cosa significa? Non è difficile, ma nessuno ci arriva, sembra assurdo, paradossale. Parlare con la stessa semplicità e naturalezza con cui si parla, compresa l'intensità. Una persona che non canta e non ha studiato potrebbe dire: "se io vado su un palco e parlo, nessuno mi sente! E anche se cantassi, farei ridere!". Ed è vero, ma allora come stanno le cose? Ripetiamo per la millesima volta (ma va bene, anche per un milione!): occorre educare, far evolvere il fiato affinché diventi alimentazione perfetta di un suono vocale perfetto. La voce perfetta è parola elevata a canto, cioè è parola con le più elevate potenzialità foniche, quindi è quella parola cantata che si potrà sentire in qualunque ambiente (con  i limiti del soggetto, che però nella perfezione sarà sempre udibile, anche se con voce molto modesta). La parola parlata quotidiana è relativa al contesto, cioè della quotidianità e della povertà richiesta da una situazione che non richiede più di quanto diamo normalmente. Occorre quindi soffermarsi sulla scarsità di qualità del parlato che noi usiamo e iniziare un percorso qualificante di elevazione della parola, quindi di associazione al tono. Questo è semplicemente il cammino più elementare e meraviglioso che possa esserci per innalzare la voce alle sue più alte condizioni di manifestazione artistica.
Per spiegare la cosa a un livello un po' più razionale: quando si canta forte, senza avere una preparazione respiratoria artistica (quindi... mai o quasi mai!) la pressione del fiato insiste sulle corde vocali e tende a spostare l'intera laringe verso l'alto; tutta la colonna di fiato tenderà quindi a sollevarsi. E' il cosiddetto spoggio e spiega perché alcuni insegnanti siano terrorizzati (e terrorizzanti) dal sollevamento della laringe. Ma questo è un effetto! la causa è data dalla spinta, quindi dall'allievo e indirettamente dallo stesso insegnante. Inoltre il cantar forte comporta un considerevole aumento della pressione respiratoria che insisterà sul diaframma, il quale reagirà ancora una volta sollevandosi, quindi nuovamente un possibile spoggio della voce. Gli insegnanti che insistono su questa strada non potranno che proporre, come "controffensiva" al sollevamento del fiato-diaframma, il "premere giù", quello che credono sia l'appoggio. L'appoggio in realtà non richiede un bel niente, solo di non essere provocato. E' la parola scolpita, detta con tutta la bellezza e l'espressività che le compete a stimolare le migliori condizioni affinché la voce non perda la propria ricchezza e sonorità, scevra della minima spinta. Quando si saranno consolidate le condizioni del perfetto parlare musicale, o canto, quando tutta la voce suonerà limpida fuori dal proprio corpo, vorrà anche dire che tutto il complesso e meraviglioso, elastico, apparato vocale (compreso il  respiratorio) avrà guadagnato quella condizione olistica di interdipendenza e interrelazionalità che unifica tutto creando un risultato esemplare. La creazione è sempre il raggiungimento di un'unione.
Allora perché si verifichino le condizioni ideali per un elevato canto, bisogna andare in una direzione d'amore; l'amore rifugge le violenza, lo sforzo, l'opposizione, ma è sinonimo di libertà, di dolcezza, di rilassatezza, di armonia e accordo. Dunque far sì che il fiato "violenti" le corde vocali, o che si cerchi di imporre con mezzi vari al diaframma di restare basso, non potrà MAI e poi MAI creare le condizioni per un canto che neanche approssimativamente possa definirsi artistico. La voce del sospiro, del minimo fluire, è quella che getta le basi del grande canto. Schipa lo capì molto bene; in fine carriera si permetteva di cantare praticamente gran parte delle opere in una sorta di falsettone, che peraltro nessuno riconosceva, mettendo a piena voce solo i momenti clou dell'opera. Cioè si rese conto che quando la voce era "ben messa", non c'era alcun bisogno neanche di dar "peso", poteva davvero soltanto parlare, dando un po' più di spessore alle arie più impegnative. Ma il suo canto è stato fino agli ultimi istanti un canto di grande musicalità e interesse profondo, perché metteva sé stesso in tutto ciò che diceva. Allora ripeto ancora fino alla consunzione: togliete! Non spingete, non date volume e forza al canto, ma assottigliate, rimpicciolite, sfumate, ma senza togliere il senso più vero di quanto dite.

6 commenti:

  1. Il problema al massimo potrebbe sorgere quando si devono affrontare compositori poco accorti nell'uso di masse strumentali e corali, che rischiano di coprire il solista... Ma del resto, molto dipende dalla natura che ciascuno si ritrova. La voce per certo repertorio, o te l'ha data mamma, oppure è meglio desistere. Un parlato corretto, nel silenzio, si sente ovunque, questo è certo, e senza bisogno di dare particolare intensità o di chissà quali fantasmagoriche "impostazioni"...

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    1. La questione non è propriamente questa. Certo che ci sono persone cui "la mamma" ha dato voce gagliarda, forte, potente, il che non significa che poi si sentirà bene in teatro. La voce educata, anche se piccola, invece si sentirà. Si sentirà in quanto piccola, ma si sentirà, cioè è SONORA, il che è diverso da forte, potente. La cosiddetta "voce che corre", che occupa gli spazi, che non sai da dove arriva, che si propaga come un gas...

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    2. Non bisogna aver troppa paura nemmeno delle orchestre. Io ricordo la Fabbricini che passava oltre l'orchestra e il coro pure facendo piano. E' proprio come se il suono venisse gettato "sopra" il suono delle masse.

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  2. C'è una frase che il Maestro Antonietti pronunzia in una lezione pubblicata sul sito:"Il falsetto non si può rinforzare" e poi, aggiunge, "se non con il colore oscuro", ma questo mi interessa meno. Il concetto è che nel falsetto non si può mettere forza, altrimenti si rischia di perderlo e di cadere nel petto. La frase, probabilmente riferita alla vocalità di soprani mezzosoprani e contralti, è però valida anche per le voci maschili che sfruttano tutta l'estensione del falsetto e riescono a saldarvi la voce di testa, ossia i contraltini (ma ritengo che lo stesso discorso sia valido anche per taluni tenori leggeri). Anzi il concetto è utile per qualsiasi voce, solo che bassi e baritoni possono permettersi in ragione di una maggiore robustezza fisica e vocale di fare uno strappo alla regola, oltretutto la gamma di bassi e baritoni non comprende che pochi semitoni di falsetto. La questione è che almeno a partire da Bellini e Donizetti ciò che è stato scritto per la voce (in particolare di tenore), insistendo su note acute da risolvere di forza e non più in agilità, è in sostanza anti vocale e appannaggio dei soli superdotati. Di questo sono fermamente convinto. Viene citata la Fabbricini ma la vocalità femminile è tendenzialmente facilitata nella proiezione, in quanto la frequenza le favorisce (in qualsiasi coro i soprani si sentono su tutti, anche se non hanno voce).

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  3. Le questioni che poni sono piuttosto delicate; qui si entra in quei discorsi in cui le parole rischiano fortemente di creare confusione. Nell'educazione ogni volta che si dice qualcosa, occorrerebbe contestualizzare a che fase dell'educazione fa riferimento. Io in genere parlo di tre fasi: iniziale, matura e avanzata. La frase del m° che riporti fa riferimento a una fase iniziale, cioè quando i cosiddetti registri sono evidenti, in quanto la respirazione è ancora a uno stadio fisiologico. Se così non fosse non potremmo dire che i registri spariscono e noi arriviamo a possedere una "corda unica". Ciò significa che in base alle caratteristiche foniche del soggetto, si potrà comunque far sì che la voce possa dare il meglio di sé potendo cantare con colori e caratteri vari. Non sono, se ho capito bene ciò che hai scritto, per niente d'accordo sulle tue convinzioni, che peraltro hai tutto il diritto di esporre e conservare. Poter dare alla voce tutta la portata di intensità di cui è potenzialmente dotata è questione di tempo, anche moltissimo (dipende da molti fattori), ma non di "talento" perlomeno di tipo culturistico. Fuori-lontano, appoggio avanti-alto permettono questo, come sai.

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  4. Io mi sto rendendo conto che il settore acuto ha da essere pura sonorità, una scintilla luminosa, come un'aura, puro "squillo" immateriale, sonoro sì, ma non potente, anzi "vuoto". Secondo me a questo si riferiscono le parole di Antonietti, e non le intendo come descrizione di un particolare stadio educativo. Qualsiasi tentativo di rinforzo è un attentato alla tenuta della voce, infatti fino almeno a metà Ottocento tutti i maggiori trattati prescrivono di studiare il registro acuto in diminuendo, in piano, appunto in falsetto, l'esatto contrario di quel che si fa oggi. Il minimo eccesso scardina l'equilibrio e impedisce di portare a termine con successo anche solo una semplice aria, in cui ogni energia va calibrata con il contagocce. Il fatto è che mentre il modo di concepire la linea vocale di un Rossini sembra quasi propiziare e facilitare questa corretta erogazione della voce, già un Donizetti ha una scrittrua vocale che porta ad appesantire troppo i primi acuti, e a rendere di conseguenza ingestibili quelli successivi, salvo nature particolarmente dotate. Il canto, a livello lirico-professionale, è anche resistenza fisica, resistenza di polmoni e di gola, suvvia, c'è poco da fare.

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