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domenica, giugno 17, 2018

Uniformare

L'uniformità di cui scriverò non è quella vocale, perlomeno non direttamente. Parlo delle nostre corde vocali.
Come forse sarà noto, quelli che vengono usualmente definiti "registri" della voce dipendono da due atteggiamenti delle corde vocali e da due meccaniche muscolari. Ma non solo. Mentre il cosiddetto registro "di petto" che investe la voce che si usa normalmente nel parlato quotidiano, coinvolge la parte più muscolare e "spessa" delle c.v., il registro acuto interessa maggiormente il bordo, che è formato da fibre connettivali, quindi si presenta solitamente più duro, rigido e quindi più difficile da mettere in vibrazione, perlomeno nella maggior parte dei casi, e perlomeno per un certo periodo di tempo. Questo fatto cosa determina? che quando si vuole cantare "naturalmente", si incontra, ascendendo nella scala, sempre più difficoltà. Questa difficoltà genera o l'assoluta impossibilità di superare un certo limite, oppure, facendo leva sulla forza fisica, la possibilità di salire ancora, ma in quella condizione "aperta", deplorata dalla quasi totalità degli addetti ai lavori, in quanto sguaiata e sgradevole. Quando non si riescono a produrre suoni appropriati, è anche facile, in campo maschile, cadere nel cosiddetto "falsetto" (meglio, a nostro avviso, definirlo "falsettino"), che è un'ulteriore conseguenza di quanto ho scritto sopra: siccome il bordo della corda è molto teso e quindi difficile da mettere in vibrazione, succede che la corda "fischia", cioè produce un suono armonico più elevato di un'ottava, che non gode, ovviamente, dei requisiti di una voce cantabile. Alla base del problema c'è, ovviamente, e in primo luogo, la condizione respiratoria; essa non ha, nella sua globalità, la capacità di mettere efficacemente in vibrazione il bordo cordale, o in modo insufficiente. Conseguentemente noi dobbiamo constatare che in questa fase le corde vocali sono disomogenee, risultando una parte più morbida ed elastica, una parte più coriacea e resistente. Questa è anche una - o la - spiegazione del fatto che la voce risulta spezzata grossomodo in due ottave negli uomini (poi farò una precisazione per le donne) dove la seconda è molto più impegnativa della prima. La notizia buona è che quella parte di corda di bordo, si può modificare. Però non si modifica da sé, e non si modifica mediante "manovre", meccaniche, trucchi ed escamotage i più tortuosi che la mente possa concepire. Il colore oscuro può risolvere il problema? No, o perlomeno solo parzialmente. Il colore oscuro crea delle condizioni che investono il fiato-diaframma per cui si possono ridurre le conseguenze delle reazioni istintive (cioè il sollevamento della base del fiato, o spoggio). In questo modo si può guadagnare qualche semitono e persino (nel tempo) tutta la porzione di gamma superiore. Però non è una soluzione, ma un "tenere a bada". Utilizzando il colore scuro sul passaggio, si genera una maggior forza e una condizione pressoria che può impedire (non è detto) il sollevamento della base, ma la corda non modifica più di tanto la propria struttura. Però può essere una soluzione temporanea per cominciare a indurne la vibrazione, specie in quei casi molto ostici. La vera soluzione, che in qualche modo ho già descritto alcune centinaia di volte, riguarda sempre e solamente la "cura" evolutiva del fiato. Attraverso opportuni esercizi sul parlato,  normale e intonato, si stimola un'esigenza di modifica interna all'apparato respiratorio che si èleva a motore dell'apparato vocale in ottica artistica. La parte difficilissima riguarderà proprio l'esercizio sulla zona acuta. Sarà da fare? certamente, non si può omettere. Si può esercitare anche col falsettino? Sì, è una buona pratica, perché comunque allena il fiato e permette di capire come sarà la vocalità quando saranno escluse le reazioni; esercitare la voce con le difficoltà imposte dalle resistenze interne, darà invece l'immagine di continue difficoltà che il nostro cervello riterrà di dover superare con il mezzo più comune a sua disposizione, cioè la forza muscolare. In alcuni casi, però, il bordo della corda può fare effettivamente molta resistenza a vibrare completamente. Se la cose non si sblocca in tempi brevi (ma non vuol dire in giorni o settimane), occorrerà fare uso anche di vocali scure, e in particolare della "U". Qui però dobbiamo fare un'importante precisazione. La U scura può comportare una pressione verso il basso. Questa assolutamente non va bene. La potremmo definire, più che scura, "buia". Occorre assolutamente sviluppare una U "chiara", cioè proiettata in avanti e con la stessa luminosità di una A. Quando questo si sarà ottenuto, conquistando una nota dopo l'altra, la corda comincerà a vibrare correttamente. In questo modo si potrà raggiungere, nei tempi necessari, l'omogeneità cordale, cioè la possibilità che le c.v. vibrino nella loro interezza, perdendo quindi quella parzialità che determina anche lo spezzamento dei registri.
In campo femminile le cose stanno nello stesso modo, però il problema si presenta un'ottava sotto. Questo determina una percezione psicologica diversa e anche un approccio differente. Siccome la corda di petto vibra solo per pochi semitoni, almeno nei soprani, la cura più comune è stata quella di ignorarla. Un errore gravissimo! Il falsetto nella donna è vero che solitamente è più duttile, a causa della più ridotta dimensione, ma la disomogeneità è comunque presente e potrebbe rimanere per sempre (come rimane in una maggioranza di cantanti, persino mezzosoprani) se non si passa a quella "cura" già vista per tutte le voci, cioè far sì che con opportuni e ben mirati esercizi che prendano le mosse da un vero parlato, non si stimoli l'esigenza di una diversa alimentazione respiratoria. Anche in questo caso l'utilizzo saltuario di una "U chiara", può essere consigliato. Anche nella donna, poi, abbiamo il problema della seconda ottava, più precisamente a partire dal re4 (talvolta anche do#) quando la componente della corda spessa non può più collaborare. Ma non ci sono particolari differenze didattiche. Almeno per due-tre semitoni è possibile e doveroso esercitarsi con il parlato e il sillabato, e con un po' più di frequenza anche con la U chiara.

domenica, giugno 10, 2018

Non provocare

Torno ancora una volta sul tema della respirazione artistica. Non si dirà mai abbastanza che il nostro corpo non è un semplice meccanismo; quando noi compiamo un'azione che lo coinvolge, possiamo aspettarci una reazione. Se non teniamo conto che il corpo, ovvero la mente che lo controlla, reagisce, dobbiamo anche renderci conto che non stiamo usando l'intelligenza. La maggior parte delle persone che studiano e insegnano canto, per carenza di umiltà, oltre che di uso dell'intelligenza e del pensiero, sono convinte che si debbano fare determinate cose per cantare, e che il nostro corpo le accetterà supinamente. E' esattamente il contrario, ma proprio perché il nostro corpo possiede una sua intelligenza, spesso ci inganna, quindi si constatano determinati risultati come una vittoria, ovvero come la conseguenza che facendo quelle determinate cose, si consegue una certa abilità. Quando i risultati non sono eccellenti, si ritiene che non ci si eserciti abbastanza, non si capisca, o ci siano carenze "tecniche". Ogniqualvolta noi applichiamo un meccanismo nei riguardi del nostro corpo, specie se questa azione non ha una ragione che investa la nostra vita vegetativa o di relazione, dovremo aspettarci delle reazioni, delle conseguenze. Le quali arriveranno, ma con l'esercizio, cioè replicando frequentemente determinate azioni, si può ottenere di migliorare il risultato, perché esiste una tolleranza, cioè l'istinto allarga le maglie dell'accettazione. Senza per questo cessare di considerare intrusiva, indesiderata, quell'azione, quindi tornare a combatterla appena cesseranno gli esercizi. Alla base delle correnti didattiche, c'è un ulteriore equivoco, e cioè che gli apparati debbano compiere delle azioni volontarie per cantare; in questo si fa una grave confusione, cioè non si considera che il fiato deve assumere il ruolo erroneamente attribuito alla muscolatura degli apparati. Naturalmente non il fiato fisiologico, che non possiede le virtù, le capacità intrinseche, di produrre il vero canto artistico, anche quando molto sviluppato, ma quello che definiamo evoluto, cioè che ha assunto un più alto valore conoscitivo. Le fasi dell'evoluzione respiratoria possiamo sintetizzarle schematicamente in due periodi: una fase in cui grazie a esercizi vocali mirati, si creano esigenze respiratorie diverse da quelle fisiologiche, legate a un uso elevato della parola, che richiederà sonorità, ampiezza, espansione, espressività; una seconda fase in cui queste esigenze determinano anche modificazioni fisiologiche e persino anatomiche per consentire l'evoluzione vocale auspicata ("galleggiamento"). Riprendendo quanto detto sopra, noi dobbiamo raggiungere una condizione in cui non ci sia alcuna azione che possa generare reazione, perché la reazione è quella che ci impedisce di esperire una vocalità libera. La situazione che più ci penalizza riguarda la ricaduta delle costole in fase espiratoria. Una volta preso fiato, la gabbia toracica tenderà a richiudersi e quindi a premere sui polmoni e quindi sul fiato, ma quindi anche sul diaframma. Questa chiusura determina condizioni decisamente negative riguardo l'emissione vocale, e in particolare determinerà una mancanza di omogeneità nel tempo, nel corso dell'emissione stessa, perché si modifica la pressione dell'aria, che sarà minore all'inizio e maggiore man mano che le costole ricadono. Gli antichi trattatisti parlavano di "sostenutezza del petto", proprio a ricordare che il torace, "scatola" dei polmoni, non si deve richiudere nel tempo del canto, ma deve rimanere ampia e aperta, onde consentire al fiato di non restare oppresso, schiacciato. Questa azione meccanica (nell'azione fisiologica naturale) ha anche un serio risvolto nel canto: va a insistere alla base della laringe (pressione sottoglottica), incentivando la sua azione valvolare fisiologica, che è decisamente opposta a quella "musicale" che invece noi vogliamo esaltare. La soluzione di tutto questo sta nel "galleggiamento", che non è una ricetta miracolosa, non è l'escamotage, non è l'ennesima trovata "segreta" che risolve ogni e qualsiasi problema, come tante se ne sentono. E' un percorso con solide basi e che richiede un impegno non facilmente affrontabile da chiunque. Non c'è nulla da "fare", c'è da seguire un piano programmatico fatto di concentrazione e di ascolto. Non è facendo due ore di esercizio al giorno che si ottiene, è riflettendo ed esercitandosi costantemente anche pochi minuti, ma con quell'attenzione che richiede un completo coinvolgimento. Quando la fase uno va a terminare, cioè dopo un certo tempo in cui ci si è esercitati con la parola e con tutte quelle pratiche che portano a una modificazione qualitativa del fiato, si dovrà passare, nei tempi e modi imposti dall'insegnante, a un cambiamento posturale. Il m° Antonietti utilizzava un'esortazione per far assumere rapidamente la giusta postura: "datti delle arie". In effetti, anche guardando alcune silouette di cantanti ottocenteschi, si nota questa postura "nobile", che può anche far pensare a un atteggiamento un po' snobistico, presuntuoso, che è invece proprio quella "sostenutezza" del petto che è indispensabile, a un certo punto, per escludere dal processo vocale quella pressione che impedisce alla laringe di operare in libertà. Affinché il canto sia puro e vario nei colori e nelle dinamiche, ogni più piccola vicinanza all'apnea deve essere eliminata. Il che significa che il petto non deve mai ricadere, durante tutto l'atto vocale, vuol dire che la muscolatura relativa all'inspirazione deve sempre rimanere attiva, vuol dire che il fiato entra ed esce senza coinvolgere la muscolatura espiratoria, ma solo grazie all'elasticità polmonare. Polmone il quale per poter operare nel modo più efficace, dovrà orientarsi maggiormente nelle componenti orizzontali, cioè svilupparsi verso le ascelle e verso il petto e la schiena. Dopodiché alcuni muscoli esterni, in particolare i "dentati" dovranno sostenere il petto affinché il fiato galleggi e non prema da nessuna parte. Deve essere una vera condizione di galleggiamento, un po' impegnativa per qualche tempo, ma molto piacevole ed entusiasmante, poi. Quindi una respirazione toracica, che molti demonizzano perché porterebbe a quella respirazione apicale che può risultare dannosa. Ci può essere del vero; la respirazione toracica è da considerare INTEGRATIVA, cioè non deve essere praticata in tempi precoci, come si è detto sopra, interviene solo nella seconda fase, quando grazie a sapienti esercizi, si sono ridotte le possibili azioni e contestuali reazioni. Sarà come elevarsi su un cuscino d'aria, su una nuvola. Premere su quel cuscino sarebbe letale per una buona vocalità. Molti trattatisti, docenti, cantanti, mal interpretando il concetto di "sostenutezza" (ovvero omettendo quel "del petto"), hanno inventato di sana pianta il "sostegno della voce", che in realtà non ha alcun significato, se non omologo dell'appoggio. Ma anche su questo la trattatistica ha fatto a pezzi il senso artistico del concetto: appoggiare non significa, non DEVE significare, premere, fare forza o una qualsivoglia pressione. L'appoggio è qualcosa di naturale, soffice e involontario. Nessun cantante deve appoggiare in senso attivo, cioè provocare azioni verso il basso, che contrastano la normale e naturale fuoriuscita del fiato; è vero il contrario, cioè che l'appoggio esiste da sè, e non dobbiamo mettere in atto attività che contrastino, o meglio non dobbiamo provocare reazioni che ci portino verso lo spoggio.