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domenica, luglio 22, 2018

La deriva dell'universo

E' assodato che dai tempi del (presunto) Big Bang, l'universo tende ad espandersi. Ciò che nessuno al momento è in grado di prevedere, è se questa deriva di galassie e corpi celesti continuerà all'infinito o se a un certo punto si invertirà la marcia e l'universo tornerà a contrarsi per ricominciare un ciclo. Da un punto di vista gnoseologico, ritengo che la seconda ipotesi sia quella giusta, ma tutto sommato poco importa, considerando che i tempi non ci consentono verifiche. Ma perché ho fatto questa riflessione? Perché "così in cielo, così in terra", ho colto un'analogia con le attività umane. Se noi partiamo dagli albori della Storia e veniamo almeno fino al Rinascimento, possiamo vedere che le attività di tipo artistico erano molto concentrate, e chi si occupava principalmente di una di esse, possedeva comunque perlomeno una cultura molto ampia nelle altre. Scultori-poeti, pittori filosofi, scienziati architetti... si capiva che tra le arti c'erano forti collegamenti e venivano esplorati e percorsi. Io poi dico arti, ma il concetto era molto più ampio; la scienza non era solo osservazione, ma intuizione, la magia non era (solo) un'attività da ciarlatani o da spettacoli di piazza. E in tutto questo anche le religioni, vale a dire gli aspetti della filosofia, della morale, ecc., c'entravano eccome. Nei tempi più remoti, chi sapeva illustrare abilmente con graffiti una parete, era considerato non un semplice "pittore", ma un vero mago, sacerdote, guida di una comunità. Cioè una figura mediatrice tra l'inconscio, la spiritualità, il divino e la vita fisica terrestre. E in tutte le cose si coglievano e si cercavano i nessi tra i due mondi, la caccia, la pesca e le coltivazioni, cioè l'alimentazione, la fertilità e la salute, cioè la sopravvivenza della specie. Nei tempi successivi, è iniziata anche in questo mondo una sorta di deriva; arti, scienze, mondo dell'occulto e attività umane si sono allontanate tra loro, e questa sequenza prosegue in modo sempre più evidente. Non solo le arti si sono allontanate tra di loro, per cui difficilmente un pittore sarà poeta o architetto, un musicista architetto, uno scienziato scultore, ovvero buona parte di queste cose insieme, ma vengono a mancare i collegamenti con le attività umane. Pensare, come succedeva ancora nel 700, che una stagione siccitosa poteva avere delle motivazioni di tipo metafisico, per cui si organizzavano imponenti processioni, si esponevano reliquie, si radunavano folle preganti, oggi è considerato ridicolo, frutto di superstizioni infantili. Può benissimo darsi, e non intendo affermare il contrario; ciò che però manca, è il collegamento tra le due componenti, cioè cercare di cogliere intuizioni e aspetti metafisici che possono spiegare e risolvere situazioni che l'osservazione e lo studio scientifico non hanno ancora potuto raggiungere, come succedeva anticamente. Noi oggi non possiamo che meravigliarci e renderci stupefatti che centinaia e persino migliaia di anni fa delle popolazioni avessero raggiunto la capacità di conoscere determinate soluzioni o dati cui siamo arrivati, razionalmente, solo da pochi anni o decenni. In compenso, stiamo perdendo pezzi! Molte branche del sapere si sono estinte o restano circoscritte a nicchie di persone che sono poi quasi sempre dileggiate e considerate folli perché non seguono le correnti di pensiero in auge. Ovviamente sappiamo che ci sono miriade di persone che giocano, anche sporco, sul mondo dell'occulto e del cosiddetto trascendente, però non dobbiamo sottovalutare il motivo di tutto ciò: la sete di sapere dell'uomo, la necessità spirituale di non accontentarsi delle formulette e delle considerazioni della ragione. Sono dell'opinione che si debbano fare sforzi per cercare di riunificare il più possibile le arti e assommare anche altre materie, anche solo per curiosità e cultura di massima. Constatiamo che uno dei precetti della scuola pubblica è (dovrebbe essere) l'UNITA' DEL SAPERE! Se c'è un luogo dove questa massima è lontana mille miglia dall'essere non dico raggiunta, ma anche solo minimamente ricercata, è proprio la scuola. Ci sono dentro, senza contare la mia esperienza da studente, da circa 35 anni, e non ricordo di aver conosciuto un docente di lettere con una seppur sommaria cultura musicale, per non parlare dei docenti di lingue straniere o di matematica. Del resto i docenti di italiano solitamente denunciano di saper ben poco anche di matematica (che era un'arte!), quasi nessuno, tranne i diretti interessati, sa granché delle scienze... quanti, se non hanno una passione personale, sanno qualcosa di astronomia? Questo perché, rispetto al sapere di qualche secolo fa, le nozioni sono aumentate in modo straordinario, e la cultura di Dante o Pico, oggi risulterebbe, forse, insufficiente. Ciò però non giustifica la separazione e addirittura l'ostilità verso determinati campi e fonti informative.
Tutto ciò ha qualcosa a che vedere col canto? Per la verità mi interessava fare questa riflessione in modo generico, però è chiaro che il canto c'entra! Prima di tutto perché il canto, non solo inteso nella sua componente musical-teatrale, ma anche solo intesa come capacità di emissione, è da considerare arte, con tutto ciò che comporta. Ciò determina anche che deve trovare le connessioni con più rami possibili delle altre aree conoscitive. Se ho potuto scrivere tanti messaggi interessanti in questo blog e se trovo sempre più aspetti fondamentali nell'insegnamento e nella pratica musicale e canora, è dovuto al fatto di "curiosare" in letture e ascolti di tutt'altri campi, cercando di evitare quei preconcetti e prevenzioni che ci appartengono per istinto. Ci vuole elasticità e COMPRENSIONE! il termine "comprendere" va inteso proprio nell'accezione di "mettere dentro, annettere, far proprio". Lo dico anche ai miei allievi. Prima di "giudicare", che di per sé è sempre un moto erroneo dell'uomo, cercate di comprendere, cioè di valutare il perché si fa o non si fa in un certo modo. Chi studia con un determinato insegnante, dà per scontato che quello è l'unico modo ed è quello giusto. Fino a un certo punto è comprensibile e giusto, perché se noi partissimo sempre col dubbio, non troveremmo mai una strada sicura. Però non ci si deve accontentare degli assiomi, cioè di formule che non vengono dimostrate perché... "è così", "si è sempre fatto così", e via dicendo. Le spiegazioni ci sono e devono essere fornite, anche se non necessariamente devono appartenere al mondo della scienza e della ragione, come oggi si vorrebbe, appunto perché, come ho scritto più sopra, i collegamenti e le intuizioni, ovvero la Conoscenza dell'uomo, che esiste in quanto propria della forma umana, non deve essere sottovalutata o rifiutata (meglio, sacrificata) in nome di una scienza algida e distaccata. Anche perché senza la prima, comunque non si sarebbe potuto sviluppare nemmeno la seconda! Quindi quando si ritiene che un certo modo di fare (nel nostro caso diciamo di cantare) non sia giusto, dobbiamo avere consapevolezza del perché. Cioè, se io dico a qualcuno: "guarda che non si canta in quel modo", costui potrebbe giustamente replicare: "e perché? chi lo dice? Se a me piace cantare così, perché non devo farlo?". Quindi ci vuole una risposta che non sia, a sua volta, assiomatica, quindi, non perché "lo dice il mio maestro", "non si fa", e formulette generiche. La risposta deve avere implicazioni ben più ampie, tipo "questo modo di cantare porta a usura dell'apparato", e poi spiegare perché, in quanto anche questa frase di per sé potrebbe essere arbitraria, quindi bisogna fare esempi, indicare il ruolo del fiato e far comprendere quanto sia diverso e salutare far sì che la voce corra liberamente per azione respiratoria rispetto a un suono frenato da parti dell'apparato che si frappongono, che arginano, che offrono resistenza e impediscono la libertà. Anche in questo caso potrebbe non servire a niente, ma intanto magari si è instillato il dubbio e si sono offerte diverse chiavi di lettura. Ma sempre con cortesia, col disinteresse personale.

mercoledì, luglio 11, 2018

La voce "diversa"

Ormai da tempo si è inoculata nella testa dei più che la voce dei cantanti di musica lirica sia "diversa", cioè poco o niente abbia a che spartire con la voce che utilizziamo quotidianamente per parlare, gridare, canticchiare. Alla base di questo colossale equivoco ci sono due fondamenti: 1) in parte è vero, perché indubbiamente la voce di chi canta l'opera o un repertorio "classico", è particolarmente ricca, timbrata, estesa, il che contrasta nella maggior parte dei casi con la voce "naturale", o spontanea, che risulta piuttosto rozza, limitata; 2) il fatto che nel tempo, e sempre più, si faccia ricorso a artifici di emissione, che con alquante varianti, fanno comunque riferimento a un unico sistema che possiamo tranquillamente chiamare "ingolamento", il quale crea istantaneamente una timbrica apparentemente più ricca e particolare (se ne può sentire in questi giorni un chiaro esempio nella pubblicità della carne Manzotin, quando un anonimo, in conclusione, canta "i-ta-li-a-no". E' anche quello che fanno i bambini istintivamente quando gli si chiede: "com'è il canto lirico?"; il re è nudo (cit). Albergando questo concetto nella mente della maggior parte delle persone, ne discende che chiunque si avvicina al canto lirico è indotto a pensare che lo studio consisterà nell'applicare tutta una serie di azioni che produrranno quelle modifiche alla voce che ne comporteranno quella modifica auspicata. Molti insegnanti fin da subito daranno consigli e faranno applicare formule mentali e fisiche per cui in breve tempo sorgerà una voce "diversa", nella direzione, per l'appunto, di una voce "lirica". Quando qualche allievo appena giunto da me, meglio se proveniente da altra scuola, è stato invitato a fare esercizi sul parlato "semplice", abbandonando timbrature e storture varie, dopo poco non ha potuto evitare di chiedere, magari anche piuttosto preoccupato: "ma la voce lirica?". Quindi emerge quel "tarlo" che si è ormai radicato nella mente di quasi tutti. Eppure se voi sentite tanti cantanti di un tempo, e confrontate la loro voce parlata con quella cantata, si evince che non c'è una gran differenza, anche se è perfettamente compatibile anche con il grande canto artistico. Oggi quando il parlato emerge più del solito, saltano fuori i soloni a esclamare: "eh, ma questo è un canto da musica leggera!", oppure: "eh, ma questo è un canto non impostato!". Già, accanto a "voce lirica", il secondo termine ormai abusato è "imposto" o "impostazione". In particolare in campo femminile si utilizza il termine proprio a significare: "commuta apparato!" Come se avessimo un apparato per il canto lirico e uno per tutto il resto...! Ho sentito io stesso sentir dire a una cantante: "anche quando si parla in scena bisogna usare l'imposto". Il che poi si traduceva nell'usare il falsetto (ma guai a dire che stava cantando in falsetto!), anche sulle note centro gravi. Se non usi il falsetto sui centri, non sei impostato! Cioè qui siamo ormai al delirio. Se usi il petto dove va usato, con una educazione consona, ti dicono che "è basso", "non impostato" (infatti per molti "petto" significa voce non in maschera, non appoggiata, non impostata, quando tra le due cose non c'è alcuna relazione). Ma qual è l'altro problema che sta alla base di tutta questa situazione? La totale mancanza di capacità di ascolto. Tu dici che non ho imposto? Allora mi fai cantare in un locale di ampie dimensioni mi vai ad ascoltare a distanza e percepisci se centri e acuti si sentono allo stesso modo. Questo è avere un buon imposto. Cioè avere voce che spande, che "corre". E infatti sempre più si fa ricorso a varie forme di amplificazione elettronica, sia per evitare che si sentano disuguaglianze nei vari settori vocali, sia che si avvertano disuguaglianze TRA i vari cantanti, sia per evitare che le incapaci regie e scenografie, che fanno assumere posizioni inadatti e utilizzano materiali acusticamente inadatti, siano di impaccio allo spettacolo. Tra un po' di tempo diventerà tutto un musical, con tutti i cantanti dotati di microfonini alla bocca, che potranno quindi muoversi agilmente sul palco, senza preoccuparsi di rivolgersi al pubblico, e studiando un anno o due, giusto per dire che ha studiato. Ma di che stiamo a preoccuparci? 
Qualcuno però può ancora insistere: "ma allora la voce lirica non è diversa? Come si ottiene?" Come ho già spiegato in mille occasioni, ma non mi spazientirò mai a ripeterlo, la voce si educa, e come qualunque azione educativa richiede tempo, molto tempo, e i frutti si colgono solo poco alla volta. La voce non denuncia particolari cambiamenti, ma si modifica nella sua essenza, acquista "velocità", uguaglianza, spessore, varietà espressiva. Come diceva Celibidache, è una potenza "di dentro". Questo cambierà poco a poco anche il timbro, che acquisterà ricchezza armonica e di colori. Anticipare i tempi, significa rovinare tutto. E' come togliere una torta dal forno prima del tempo, si sgonfia. E' un'evoluzione che richiede un coinvolgimento fisico ma anche psicologico profondo, è una crescita artistica che deve necessariamente passare per la coscienza, altrimenti non potrà durare. Il canto è voce parlata all'ennesima potenza. Non altro.