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domenica, dicembre 08, 2019

L'ego-sistema

In tutto il blog, circa tredici anni di articoli, ho trattato infinite volte il problema dell'istinto che si oppone alla disciplina artistica e ci guida verso soluzioni razionali e fisiche che poco hanno a che vedere con l'arte. Ho trattato diverse volte anche dell'ego, ma forse non abbastanza. L'ego lo potrei definire un "istinto umano", cioè una condizione tipicamente dell'uomo, soprattutto quello moderno, che invece vuol sfruttare un fenomeno artistico a fini esteriori. A parole, e anche con una certa sincerità, credo siano in tanti d'accordo di non coltivare l'ego e avere un approccio serio, profondo, non superficiale, ma esso è più radicato e subdolo di quanto si possa immaginare! Specie in chi ha scelto discipline così rappresentative di un soggetto, come il canto e la direzione d'orchestra, esso è sempre in agguato e pronto a prendere le redini. Parliamo del canto. Nel momento in cui una persona si appassiona al canto, l'ego subito salta fuori e vuole condurci verso l'esaltazione celebrativa. Uno, a un certo punto, sarà pronto a dire: no, io non lo faccio per la fama, per i soldi, per gli autografi e l'esaltazione mediatica, ma perché mi piace la musica e il canto. E fin qui magari è sincero, ma "lui" lavora sotto. In sintesi, noi ci facciamo idea di una voce "vincente", cioè quelle caratteristiche edonistiche che possono raccogliere folle di fans: timbro, colore, potenza, espressività. Sostanzialmente non interessa la "nostra" voce, ma "quella voce", a volte legata a qualche celebre cantante, talaltra idealizzata. Questo inseguimento, che sottolineo, è un travaglio interiore, incosciente, ci porta a non lasciare libera la nostra voce, perché l'ego la considera povera, normale, uguale a quella di tanti altri, ma a cercare ad ogni costo di esaltare quella idealizzata, unica (ma in realtà standardizzata), ricorrendo a ogni trucco per cercare di crearla, quindi pressioni, gonfiamenti, scurimenti, ingolamenti, nasalizzazioni ecc. Il lavoro che opera l'ego è così sottile e nascosto che quasi nessuno riesce a coglierlo. Il segnale più evidente è la spinta. Tutti spingono come matti, pensando di farla diventare forte, potente, mentre è solo ingolfata, distorta, schiacciata. Il compito di un vero maestro è abbattere l'ego, che rappresenta quel muro che impedisce al soggetto di poter diventare cosciente. La coscienza è oscurata dall'ego, dunque nessuno riesce a intravvederla in quanto separata dal nostro vero io. Tutto questo lo si coglie soprattutto in un atto strutturale della lezione, cioè il passaggio dal momento degli esercizi a quello del canto. Spesso il cambiamento è sorprendente, cioè esercizi svolti con grande giudizio, con risultati entusiasmanti per pulizia, libertà, espansione... poi il canto ritorna all'età della pietra! E' vero che il canto, rispetto agli esercizi presenta molti punti di maggior difficoltà, ma anche su frasi relativamente semplici e lineari, il cantante torna a soluzioni deludenti, ingolamenti, spoggio, ecc. Questo è in buona parte dovuto all'ego, che nel canto si esalta, quindi per "dimostrare" non si accontenta di quanto svolto nella fase propedeutica, ma vuole "far sentire che...", dimostrare, gonfiarsi, impressionare. Ricordo bene quando un giorno a casa, dopo qualche mese che studiavo col m° Antonietti, mi parve di aver finalmente trovato la soluzione ottimale. Andai, dopo qualche giorno, a lezione, pensando di impressionarlo, lui accennò un lieve sorriso annuente, ma poi mi annientò non dicendomi che non andava bene, ma facendomi rendere conto che se fino a qualche lezione prima ero sotto zero, adesso... ero a zero!!! Quindi una botta al mio ego. Queste sono le "docce di chiodi" che se uno ha la forza di superare può ambire alla strada della perfezione, se no si lascerà guidare dall'ego e inseguirà "quella" voce. In diversi casi potrà anche raggiungere un risultato interessante; l'importante in questi casi è sperare che la coscienza non si mostri mai, perché rendersi conto improvvisamente che si è buttata via una vita per inseguire un sogno, è un brutto risveglio. Ma questa, fortunatamente, è un'ipotesi piuttosto remota.

3 commenti:

  1. Quante docce gelate e devo dire anche lacrime. Dopo qualche ora però mi riprendevo e mi sentivo più forte e determinata.
    E' un percorso, mi sento di dire caro Maestro Poggi, che serve anche nella vita quotidiana.
    A volte guardo indietro e provo una certa amarezza.... quanto tempo sprecato a costruire tensioni per poi doverle rimuovere.
    Mi sento di aggiunegre che questa scuola è di tutti ma non per tutti. Richiede un percorso imoegnativo ma guardando la meta mi sento di dire che ne vale la pena e non tornerei più indietro per alcun motivo.
    Grazie per tutto quello che ci doni.
    Grazie di cuore.

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  2. Il problema dell'ego non riguarda solo il canto, ma tutta la nostra esistenza: Milan Kundera scriveva che ci sono persone che vivono costantemente nel desiderio di essere osservati e quindi approvati da qualcuno. Io tante volte mi sono ritrovato a pensare: se ci fosse Tizio o Caio ad ascoltarmi, oppure faccio questo accordo in una posizione più difficile così vedono quanto sono bravo. È una lotta e i complimenti spesso sono veleno/nutrimento per l'ego. Io credo che la cura sia ancora una volta la parola, parole di senso, sensatamente dette, parole vere. Oggi va tanto di moda esaltare chi sa emozionare con il canto, ma spesso si critica in modo poco oggettivo, con frasi stereotipate come "non mi arrivi" "non mi emozioni". Io credo che bisognerebbe partire dal testo, se le parole cantate sono vere e un esercizio interessante sarebbe pronunciare il testo solo parlato, in fondo, come hai scritto in un post, un cantante è prima di tutto un attore. Il problema è che la libertà e la verità spaventano e la maggior parte delle persone preferisce la bugia e la schiavitù che anestetizzano le sofferenze

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  3. Comunque il problema nasce già dal fatto che il nostro sistema razionale non riesce a trovare facilmente corrispondenza tra la parola detta e la parola intonata; se poi non troviamo subito insegnanti che ci portino su quella strada, tornarci sarà sempre più difficile.

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