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sabato, gennaio 18, 2020

In questo mondo di significanti

Prendo spunto da questo vecchio siparietto di Gigi Proietti per introdurre un tema importante. Interessa per questo discorso la parte finale, più di quella iniziale, cioè quando recita la poesia "il lonfo". 
Chi si è accostato alla recitazione, si sarà sicuramente imbattuto nella recitazione "insignificante", cioè dire cose utilizzando un "gramelot", cioè una sonorità che assomiglia a una lingua, ma che non lo è, oppure addirittura usando numeri. Qui Proietti lo utilizza come oggetto di divertimento, recitando una poesia senza significato, cioè tante parole inventante, dando però una intonazione e un'intenzione che ci fanno dare un sottinteso a questi suoni. Si possono creare interi spettacoli con questi mezzi, che però si devono basare sulla scena, perché se noi avessimo solo la parte verbale, dopo poco ci stuferemmo, non riuscendo a cogliere il significato.
E' quello che succede in alta percentuale nell'ascolto musicale. Noi ascoltiamo qualcosa che magari ci piace, ci dà sensazioni, ci dà "emozioni", ci appassiona, ecc., ma di cui non capiamo niente, perché è come se fosse scritta in una lingua sconosciuta. Allora o ci accontentiamo, e finisce che ci annoiamo, per cui cogliamo qua e la quello che ci piace di più e il resto lo ignoriamo (salvo magari dopo anni scoprire che c'è un altro punto che ci piace, ma che per anni è come se non avessimo ascoltato, ed è lo stesso motivo per cui scopriamo un certo interprete che ci fa sentire dei "particolari" che non avevamo mai notato), oppure passiamo alle interpretazioni. L'interpretazione, semplificando, è quell'attività che si esegue quando non si sa com'è una certa cosa. Uno degli sport più in voga è quello di sovrapporre alla musica un sistema di lettura più alla portata, come le immagini o le storie. Cioè rinunciare alla musica e ridurla al livello di un commento sonoro. Questo perché mancano gli strumenti di lettura e di appropriazione. Fin quando si percepirà un brano musicale come una sequenza di suoni, saremo obbligati a trovare un altro mezzo di lettura. Ma se ci poniamo nell'ottica che dietro ai suoni c'è un significato, cominciamo a cambiare chiave e ci rendiamo conto che non devono essere le immagini o le storie a guidarci, ma la musica stessa, che ha tutte le caratteristiche per portarci nel sublime, e non ha bisogno di surrogati, che, anzi, ci fanno proprio perdere il filo diretto. Noi stiamo vivendo sempre più in un mondo di significanti, che rischiano di uccidere i significati, che sono sicuramente più difficili da cogliere, abbiamo bisogno di pace e tranquillità, di intuizione, di maestri, di voglia e di impegno, cose oggigiorno sempre meno disponibili. Anche il canto artistico, e non da oggi, vive molto più del suo guscio esterno che non della ricchezza interiore. Chi tratta di voce parla molto più di "timbro" di "colore", di "bellezza", che non di ciò che porta con sé. Ormai da molto tempo, specie (spiace dirlo) in campo femminile, le parole restano l'ultima delle preoccupazioni, ma con strane dinamiche. Ho visto delle masterclass dove l'insegnante faceva leva su determinate parole chiave, ma non solo non dava importanza al fatto se quella parola era ben riconoscibile nel canto, ma spesso suggeriva delle modifiche di pronuncia per cui non solo era poco detta, ma addirittura distorta. Quindi la parola assumeva un significato astratto, che aveva importanza teorica, ma la escludeva nella realizzazione pratica. E questo perché la "tecnica" necessitava di determinate manovre che non permettevano la pronuncia esemplare, ma questo, secondo loro, era comunque prioritario, quindi il significante a un livello più alto del significato. Certo che la struttura è fondamentale, perché senza di essa crolla tutto, ma la struttura deve essere finalizzata a sostenere un determinato risultato, e non a distruggerlo o distorcerlo. Quindi se la tecnica mi impedisce o mi rende enormemente gravoso pronunciare in modo esemplare il testo, quella tecnica è sbagliata! Si fa un ragionamento al contrario, siccome si ritiene giusta la tecnica, si sacrifica il contenuto. E' realmente un assurdo, un controsenso, eppure le cose vanno così! Siccome la fine è contenuta nell'inizio, noi vediamo che la maggior parte degli insegnanti come inizia le lezioni?Con i vocalizzi, cioè con qualcosa che ci servirà nella parte più virtuosistica, più sofisticata del canto, mentre la maggior parte del canto si basa sulla parola, senza la quale ci troviamo come nella recitazione della poesia di Proietti! Quindi si ricorre ai sottotitoli o si impara o si legge il libretto. Ma nella musica strumentale non ci supportano i sottotitoli e non ci dovrebbero essere nemmeno libretti che ci raccontano delle favole su quel determinato brano. Quindi è necessario sapere di cosa vive un brano musicale e come fa il compositore, prima, e l'esecutore, dopo, a farcelo seguire senza distrazioni, senza noia. Ma questo costa!

1 commento:

  1. Bellissimo post, che ci apre a mondi sconosciuti. Ricordo un concerto di una pianista molto brava, mi ero complimentato con lei dicendole: hai dato senso a quello che hai suonato, e lei contentissima mi rispose che era proprio quello che aveva cercato di fare, segno che i pianisti di solito hanno bene in mente il senso in musica, al di là del tocco brillante o della tecnica (e nel pianoforte di tecnica si può parlare). Paradossale che nel canto, dove il senso musicale è esplicitato dalle parole (dove la musica è scritta bene), NESSUNO parla di senso, si insiste sulle emozioni ma il senso è qualcosa di più olistico, che appaga anche la mente, non solo la "raw emotion" tanto di moda adesso. Intendiamoci, sono d'accordo che "si canta col cuore" (anche questa espressione è diventata stereotipata) ma il rischio è che si metta il cuore, sapendo di mettercelo e si crea una patina tra la vera emozione e la performance

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