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venerdì, aprile 03, 2020

Un passo avanti

Abbiamo visto che gli strumenti più utilizzati dai compositori sono la ripetizione e l'imitazione. Come questo ci deve interessare in quanto esecutori e ascoltatori? Partiamo però dal perché il compositore li usa. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, i compositori si resero conto che praticamente la musica per diversi secoli si era basata su determinati criteri, uno dei quali era la ripetizione. Si volle dare un colpo di spugna a tutto ciò cercando di instaurare un nuovo linguaggio della musica. Ora, questo modo di procedere, fin dal Medioevo, se non prima, era stato "inventato" da qualcuno? No, la musica nasceva in base a ciò che suscitava, quasi sempre legata a un testo, soprattutto sacro. Dall'esecuzione si traevano anche delle conclusioni su ciò che "funzionava" e ciò che si poteva cambiare. Così nacque il sistema detto "tonale", prima soprattutto nei monasteri, chiese e conventi, poi nelle corti. Quindi scoperte e intuizioni. Pensare di fare tabula rasa di un sistema millenario solo per cambiare, senza avere un sistema alternativo che fosse nato dall'uomo stesso, ma imposto intellettualmente, è stato un vero fallimento. Come ho spiegato nei post precedenti, il tema è un modo per riconoscersi, e la ripetizione, o anche l'imitazione, è un modo per confrontarsi con sé stessi e con gli altri. Togliere questi elementi vuol dire snaturare la musica, svuotarla e renderla incomprensibile. Ma questo è un discorso a parte che non è il caso che svisceri in questa sede.
Qual è il compito del compositore? Ideare un discorso di senso compiuto che abbia un inizio, una fine, un punto massimo. Per invogliare i fruitori, dopo l'inizio, ad ascoltare tutto ciò che segue fino al fondo, egli deve utilizzare determinati mezzi, ma cosa deve seguire per capire se sta seguendo la pista giusta? Si dirà il suo estro, l'ispirazione... Certo, le sue capacità creative sono importanti, ma di fatto dovrà seguire in ogni caso un filo che colleghi ogni punto del brano all'inizio, alla fine e al punto massimo. Questo filo, come già detto, si chiama TENSIONE. E' come avere un termometro che misura il calore, quindi la vita, del brano (anche il calore è una vibrazione). Se il calore è troppo basso, il brano muore, se è troppo alto per troppo tempo lo uccide. E' quindi un tenere sotto controllo questo dato in modo che sia adeguato a ogni fruitore (ed è anche il "filo" che dovrebbero seguire gli esecutori). Se il brano ha dimensioni molto ampie, sarà molto più difficile da dosare, mentre su brani brevi e brevissimi sarà più semplice. Per la verità nessuno ci pensa; la nostra coscienza riesce a rilevare ciò che serve da un brano brevissimo, non avrà il tempo di annoiarsi, però, per esemplificare, vi indico il tragitto in un brano superbreve, cui già avevo fatto cenno all'inizio di questo piccolo trattato: "tanti auguri a te".
Questo microbrano, inizia con un temino, "tan-ti_au-gu-ri", che definiamo "impatto", e una risoluzione "a te"; siccome non finisce subito, e bisogna accorgersene, questa prima risoluzione resta sospesa, non è concludente, è instabile. Infatti c'è una seconda proposta (chiamiamolo anche secondo tentativo), che inizia in modo identico al primo, quindi RIPETE: "tan-ti_au-gu-ri", altro impatto, e seconda risoluzione, sempre "a te", su due note più alte, quindi più ATTIVE, in quanto più le note sono alte più vibrano, hanno un maggior numero di vibrazioni (Herz). Questa seconda risoluzione non resta sospesa, però non ha nemmeno un carattere conclusivo, lascia comprendere che manca ancora qualcosa, mantiene un carattere debolmente instabile. E il qualcosa è il punto massimo. Terza proposta, o tentativo, questa volta riuscito, ancora ripetizione della cellula iniziale "tan-ti_au-" che però non termina come nelle prime due, ma compie subito uno spettacolare salto di ottava [cioè è la stessa nota di "tan-ti_au" ma con il doppio delle vibrazioni], che introduce l'elemento fondamentale del brano, cioè nominare la persona a cui sono rivolti gli auguri. Ovviamente qui sta il punto massimo, e ciò che segue, ripetendo ancora "tan-ti_au-gu-ri" con una imitazione solo più del ritmo, è una cadenza conclusiva, che possiamo definire una "catarsi" della tensione e una ritrovata stabilità. Ora, il brano è scritto talmente bene, che l'esecuzione non ha quasi nessuna necessità di essere compresa tensivamente, perché gli elementi proseguono parallelamente. Dopo l'inizio, che è basato su due note ravvicinate, c'è un piccolo salto, che già imprime un po' di tensione, e il fatto che cada su una nota "sospensiva", crea attesa sulla prosecuzione; a voler essere pignoli, la seconda ripetizione dovrebbe eseguita (proprio perché ripete pedestremente) con una dinamica leggermente più accentuata [la dinamica riguarda le intensità, quindi... piano e forte]. Ma qui veniamo tolti d'impaccio dal salto successivo che è più alto del primo, quindi c'è automaticamente più tensione e più dinamica, stessa condizione riguarda la terza cellula, che non è poi ripetuta in modo calligrafico, ma è un po' accorciata per arrivare al clou. Al salto d'ottava, come è giusto che sia, si succedono sul nome del festeggiato, diversi intervalli discendenti (la tensione si sta già abbassando), ma per non concludere troppo rapidamente, c'è l'ultima definitiva risoluzione che prende ancora un po' di tensione dal piccolo salto in alto ("tan-ti_au-gu-ri") per poi nuovamente discendere, piccolo accento ("a") e conclusione sulla nota fondamentale sul "te". Per una spiegazione più completa dovrei anche parlare dell'armonia, ma non voglio essere ridondante.
Ora pensate a tanti brani che iniziano con una serie di ripetizioni: la sinfonia 40 di Mozart, moltissime composizioni di Vivaldi, come il Gloria... la Quinta di Beethoven, ma l'elenco è infinito... Come si deve comportare l'esecutore? Il problema sta nel fatto che molti esecutori non si pongono minimamente il problema, le fanno tutte uguali! Uccidendo di fatto il brano stesso. Altri si pongono il problema ma lo risolvono in modo meccanico, specie nella musica più antica: una forte, una piano! (giustificando che la seconda è una eco) (questo si trova anche sugli spartiti "revisionati"). Anche questo è un modo per uccidere la musica, perché un procedimento meccanico è, per l'appunto, non umano, quindi porta al disinteresse. Se non si comprende che ciò che fa vivere il brano è la tensione, la soluzione non arriva. Qual è il rapporto tra tensione e dinamica? Anche per questo non c'è una formuletta risolutiva, ma ci si può arrivare. In una ripetizione testuale, la tensione sale o scende? ovviamente scende, perché non c'è alcun contrasto, quindi per compensare la minor tensione, è necessario aumentare l'intensità. Quando ci avviciniamo al punto massimo (che, ripeto per consolidare il concetto, è il punto di MASSIMA TENSIONE), in linea di massima tensione e dinamica andranno di pari passo, cioè aumenteranno, tranne che in alcuni casi in cui il compositore ha voluto esasperare a tal punto la tensione da minimizzare l'intensità, cioè fare un "pianissimo" (succede nel "Laudate Dominum" di Mozart), o addirittura azzerare la musica, con una pausa, che ha un grandissimo effetto, come succede nel "Valse triste" di Sibelius o nella Prima Sinfonia di Brahms, quarto movimento. Però occorre precisare che queste decisioni, vanno prese durante le prove, le decisioni a tavolino possono essere sempre erronee. La musica va vissuta! E l'ascoltatore? Ovviamente ora sa che deve tenere sotto controllo le ripetizioni, sia minimali che di più ampio respiro, e deve sentire cosa fa l'esecutore, strumentista o direttore o cantante che sia, per far vivere la corretta tensione del brano, quindi le varia? e se sì, come? Vedete che adesso vi potete avvicinare a un ascolto un po' più consapevole.

1 commento:

  1. Anonimo3:56 PM

    Ci sono autori come Vivaldi o ancor più Domenico Scarlatti che della ripetizione testuale fanno un uso sistematico, continuo, con grande economia di idee e di materiale tematico, ma con il rischio di esecuzioni appunto schematiche e noiose se l'esecutore non sa orientare. E' questo problema a rendere una qualsiasi sonata di Scarlatti apparentemente semplice ma in realtà difficilissima da rendere bene quando la si esegue. Stesso discorso le sonate di Mozart. Viceversa un autore come Bach che è maestro assoluto nell'utilizzo di tecniche contrappuntistiche come la fuga, pur nella continua ripetizione non risulta mai schematico ma sbolge il discorso in un'ottica di continua modulazione, perennemente cangiante, senza mai una vera e propria ripetizione testuale identica. Forse questo rende le sue composizioni più difficili e meno immediate per l'ascoltatore rispetto ad Handel o al barocco italiano. (Francesco N.)

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