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lunedì, marzo 29, 2021

Della posizione

 E' opinione diffusa che lo sviluppo vocale di un cantante (ma la cosa invade anche il mondo di attori, presentatori, ecc.) sia fondamentalmente una questione di posizione del suono, vale a dire che l'educazione della voce consista sostanzialmente nell'alzare, proprio fisicamente, il piano della voce, da uno basso, che riguarderebbe la voce incolta, a uno più alto. Più alto è questo piano, più la voce sarebbe valida. Quest'ultimo assunto di per sè è corretto. Le grandi voci è assolutamente vero che ci appaiono "volare", scivolare sopra le teste degli ascoltatori. L'errore sta nel ritenere che sia la volontà di alzare il piano vocale a determinare la didattica. Rachele Maragliano Mori nel celebra libro "coscienza della voce", in un primo capitolo affronta il tema "imposto" riferendosi al termine francese "placement", che lei traduce con "mettere" a posto, ed è corretto, ma secondo me richiama più "piazzare", "collocare", o, per l'appunto, "posizionare". E' una suggestione sicuramente avvincente, ma detta così non indica la vera strada per conquistare l'arte vocale, cioè non si deve confondere l'obiettivo con la strada per raggiungerlo. E' indispensabile sempre far riferimento allo sviluppo o evoluzione respiratoria e al fatto che per innescarla e promuoverla occorre un approfondito e maniacale lavoro sulla parola. Invece essa è posta a lato, spesso dimenticata o sminuita. E' assolutamente e unicamente una modifica dell'alimentazione aerea a modificare il percorso della colonna aero-sonora. Modificarla solo con la forza del pensiero non è che non porti a dei risultati, ma difettosi, e non poco. Se si alza il piano sonoro senza che sia stata compiuta una profonda modifica del fiato, cioè del "motore", dell'esponente fondamentale di questo sviluppo, significa che la modifica avviene a carico delle muscolatura superiore dell'apparato, cioè fondamentalmente del faringe e dei tessuti viciniori. Significa anche alzare tutta la colonna d'aria con conseguenza perdita, almeno parziale, dell'appoggio, che poi gli insegnanti tentano di contrastare facendo premere verso il basso per riappoggiare, ma è un gioco al massacro, che si conclude poi con voci che possono anche dare l'idea di essere alte, ma sono fondamentalmente indietro, ingolate, offuscate e destinate a non durare. Qualche giorno fa in una famigerata, oltre che celebre, trasmissione radiofonica dedicata all'opera, è stata fatta sentire una celebratissima cantante nei primi anni di carriera, svolta perlopiù come soprano lirico anche con sconfinamenti sul drammatico, in una pagina virtuosistica dalla Cecchina di Piccinni, dove indubbiamente mostrava ottime caratteristiche, e per la quale i commentatori hanno speso grandi lodi per la "voce alta". Benissimo, però come spiegano che questa cantante abbia avuto un rapido declino e sia finita in un baratro inascoltabile? E' evidente che le voci belle e bellissime, specie se tali fin dalla nascita, quindi con poco studio specifico per l'evoluzione e la stabilizzazione del fiato vocale, possono far impazzire i melomani, anche per indubbie doti musicali e teatrali, sempre che non si ponga la voce come elemento fondamentale dell'arte lirica-operistica o classica, dove allora la longevità è un carattere fondamentale. Si parla, a sproposito, di tecnica vocale. La tecnica, come ho già ripetuto molte volte, è un procedimento che si svolge più che altro con meccanismi e invenzioni esterne all'uomo, come gli strumenti musicali. Si può applicare all'uomo quando egli si misura con procedimenti molto ripetitivi, quindi, appunto, meccanici, che deve imparare a memoria e reiterare. Negli sport ci sono tecniche, ad es., lo strumentista, il ballerino... ecc. Nel canto è prevista anche una fase tecnica, che riguarda la vocalizzazione, cioè l'eseguire delle figurazioni musicali, come un vocalizzo o una cadenza, o anche il canto stesso quando è associato a una scrittura particolarmente complessa. Allora distinguiamo la tecnica, che è il modo di eseguire la scrittura musicale, dall'imposto, o disciplina vocale, che è l'arte vocale tout cour, cioè l'elevamento della voce a perfetto strumento musicale CON TESTO, da non confondere con tutti gli altri strumenti musicali che non sono in grado di emettere fonemi. Quindi se si può dire che J. Sutherland avesse una buona tecnica, possiamo dire di sì, utilizzando un'accezione strumentale, ma dobbiamo dire no se intendiamo, come la maggior parte delle persone OGGI ritiene, una valida emissione. Il fatto che la pronuncia fosse quasi assente, è il chiaro segnale di una posizione del suono imperfetta, carente. Quindi è giusto lodare le voci alte, a patto che abbiano realmente disciplinato il fiato a perfetta alimentazione vocale, grazie all'elevamento della parola.

domenica, marzo 21, 2021

Quale lingua?

 Molte persone, anche musicisti, definiscono la musica un linguaggio. Se da un lato non c'è dubbio che la musica necessita di linguaggi per la sua esportabilità e riproducibilità, nonché per il suo apprendimento, ciò non significa che essa sia questo. Il linguaggio che ci è più familiare è la lingua parlata. Qual è la caratteristica saliente di una lingua? il fatto di essere "viva", vale a dire che risente del fatto che l'attività umana compie continui mutamenti, che poi hanno conseguenze sulla psicologia, sulla socialità, ecc., e dunque sulla lingua stessa che muta nel tempo. Si potrà dire che esiste una lingua "ufficiale" e una lingua parlata, ma sappiamo bene che anche la lingua più accademica si adegua e accoglie di continuo nuovi termini e nuovi frasari. Questo possiamo dire che accada anche nel linguaggio musicale, dove il modo di scrivere, di apprendere e di analizzare la musica hanno continui aggiornamenti. I manuali di solfeggio, di armonia, di analisi, ecc. dell'800, del primo o del secondo 900 e del nuovo millennio, pur avendo aspetti comuni e anche uguali, differiscono sempre, anche quando raccontano una stessa pagina musicale o uno stesso argomento. La musica è cosa ben più grande di un linguaggio. Se riducessimo la musica a un linguaggio, sarebbe come ingabbiarla in una corazza rigida e stretta. Per fortuna è qualcosa di ben più ampio e libero. Il musicista deve apprendere i vari linguaggi della musica, sì, ma per poi liberarsene! Se essi possono mutare, non così è per la Musica in quanto tale, che poggia sulla base della struttura antropologica umana nonché sul rapporto tra l'uomo e l'universo. Modifiche ed evoluzioni sono cambiamenti così lenti da apparire inavvertibili. Dunque evitiamo di etichettare l'arte e costringerla entro maglie che non si merita.

Il linguaggio è un codice artificiale che viene creato all'interno di una comunità per innescare processi comunicativi. Appunto perché non nasce da processi interni all'uomo, ma da convenzioni tra uomini, le sue regole, sintassi, nomenclature, ecc., varia da zona a zona. Può variare molto a grandi distanze, ma piccole (ma anche non piccolissime) variazioni si possono avvertire anche a brevi distanze. Cosicché noi oggi nel mondo possiamo contare su decine, centinaia e forse anche migliaia di lingue, e solo alcune si basano su medesimi criteri strutturali. E' vero che anche nella musica, parlando di linguaggi, possiamo scorgere molti idiomi differenti: musica leggera, classica, jazz, popolare, araba, cinese, da ballo, ecc. ecc., Ma, e qui sta il bello, tutti gli elementi costitutivi restano sempre gli stessi, suoni, altezze, ritmi, melodie, armonie. Ciascun tipo di musica che ho elencato poc'anzi, per quanto diverso possa essere lo stile, si basa sempre e unicamente su quei parametri, con cui si possono intessere diversi linguaggi, ma sono elementi oggettivi e immutabili, non soggetti a variazioni temporali o spaziali. Una frequenza, un ritmo, un intervallo, un accordo, sono uguali ovunque e per tutti, anche se possono essere vissuti diversamente. Ecco perché la musica, di per sé, non è un linguaggio. 

venerdì, marzo 12, 2021

Anche questo forse è meglio saltarlo...!

 Placido Domingo canta ancora in teatro a 80 anni. Dunque dobbiamo ritenere che la sua vocalità sia eccellente, un esempio da seguire e da assumere come modello? il soprano Joan Sutherland è ritenuta da molti "inarrivabile", nonostante non si capisca un accidente del testo delle opere che ha cantato. Dobbiamo comunque ritenerla un modello? Per contro Di Stefano, che recitava il testo come pochi, a trent'anni era già in declino. Dobbiamo quindi ritenere la parola, la dizione controproducente e da tenere lontana? Oggi spopola un tenore, che non citerò, che più ingolato non si può. Ma questo è ritenuto un notevole artista, e non è l'unico che viaggi ai vertici delle classifiche di gradimento nonostante noi si avanzino notevoli riserve sul loro modo di porgere la voce. Giacomini ha fatto una lunga carriera, utilizzando, almeno da un certo momento, il cosiddetto metodo dell'affondo, da molti (compresi noi) ritenuto pessimo. Quindi sbagliamo noi, e quella è la strada da seguire? Allora si potrebbe ridurre tutta la cosa alle opinioni personali (ma anche autorevoli) di alcuni (magari... i critici) che fanno opinione. Ho incontrato spesso autentici fanatici di cantanti che non ritengo degni di cantare in teatri di prima grandezza. Su questo però bisogna fare un po' di chiarezza. Ci sono cantanti di grande intelligenza e magari di notevole musicalità. La Sutherland e la Horne hanno dominato un'epoca; ho sempre avanzato riserve sulla loro vocalità, però non posso non riconoscere loro notevoli doti musicali e teatrali, al punto di aver lasciato un segno importante nella storia perlomeno dello stile esecutivo in particolare di alcuni autori. Anche Domingo, la cui vocalità secondo me è sempre stata discutibile, è senza dubbio un musicista che sa calarsi come pochi nei personaggi che esegue. Poi se dovessi entrare più a fondo nella definizione di "musicista", avrei altre riserve anche su quanti ho citato, però è giusto riconoscere perlomeno una notevole predisposizione, così come nelle doti vocali. Senz'altro poi bisogna dire che tanti cantanti sono da indicare come seri professionisti e lavoratori. Non si rimane in certe posizioni di gradimento, in questo genere musicale, senza uno studio continuo. 

Perché faccio questo discorso? Beh, per tanti motivi. C'è da chiedersi perché studiare in un certo modo, se poi i modelli sono altri. A chi interessa avere come riferimento Schipa, Basiola, la Toti o Pinza, se i tromboni che strombazzano dicono che ... sì, sì, però oggi si canta meglio (sentito dire con le mie orecchie pochi giorni fa). Ma che anche la Tebaldi... beh (anche questo udito in diretta); volete mettere i soprani odierni? Io non li metto. Nel migliore dei casi sento "buoni" soprani, magari più preparati stilisticamente e più rigorosi musicalmente (il che non vuol dire più musicali). 

Su cosa si basano la valutazione e le scelte? Sensazioni perlopiù personali. Si analizzano dei dati ma secondo valori personali, senza avere realmente cognizione di causa. In altri casi ci si affida a maestri, o presunti tali, e si seguono ciecamente le indicazioni. Ma tra le due cose c'è un divario notevole! Cioè, mi rendo conto che le stesse persone che seguono con molta attenzione, scrupolo e buon senso determinati insegnamenti, fanno scelte poi meno sensate e condivisibili in altri campi. Quello che ci tengo a dire, e che ho accennato nel post precedente, è che una Scuola che vuole porsi in un determinato contesto artistico e storico, deve avere un osservatorio possibilmente unificato sullo stile di vita. Se no, e ritorno da capo, perché ci si interessa e si sceglie una scuola come questa? Non ci sono motivazioni "utilitaristiche", semmai il cammino sarà più irto, perché qui non seguiamo i modelli strombazzati o in testa alle classifiche. Dunque la motivazione è che si è attratti da un modello di approccio più autentico, umano e vero. Beh, certo, la parola che può piacere e far paura al tempo stesso è sempre quella: la verità. La verità piace, ma desta reazioni violente. Però se ci si avvicina, magari con cautela, e prima si tengono le mani avanti per non cadere, ma poi si tocca con mano che ... sì, forse c'è la possibilità che il percorso sia improntato alla conquista di una verità oggettiva, questo supera altre possibili scelte, più utili e più pratiche, forse. Però bisogna rendersi conto che se la scuola è realmente di questo tipo, non è limitata a un settore pratico e non divide, non separa il sapere, la conoscenza. Quindi, cari amici che seguite questo blog, che siate o meno anche allievi, dovete mettervi nella condizione di non rimanere incollati solo al fattore voce e canto, ma dovete considerare che i fattori voce e canto sono parte di un tutto, e sono percorribili e fruibili a livello perfezionistico se colti nell'ambito di questa unità. La salute umana è oggidì legata a una medicina fortemente parcellizzata; di contro esiste una visione della salute olistica, che non vede gli organi e le diverse parti del corpo come elementi separati e da curare individualmente, ma come parti del tutto, dove sempre il tutto è da considerare e mantenere in salute, per l'efficace mantenimento anche delle diverse e singole parti. Quindi interessarsi di canto... non basta! Ci vuole un'apertura di visuale e di condivisione molto maggiori di quelle comuni. Bisogna un po' rifarsi a uno stile della Magna Grecia o del Rinascimento italiano, dove la ricerca unitaria era realmente l'obiettivo. Sento parlare spesso di "nuovo rinascimento" (lo scrivo minuscolo, in questo caso, per ovvie ragioni); ma cosa intendono? Oggi siamo lontani come non mai da certo stile di vita. Ci lasciamo convincere e turlupinare da messaggi di ogni tipo e crediamo a qualunque cosa, pur sempre assicurando (a noi stessi), di essere impermeabili ai mass media. Oggi tutti sanno tutto di tutto. E non si è mai discusso e litigato quanto oggi. Perché ognuno sente qualcosa e si convince che quello sia vero, e lo propugna fino alla morte! Ovviamente contro tutti gli altri che hanno sentito altro e propugnano altro, anche loro fino alla morte. Quindi regna il caos assoluto. E allora torniamo con il nostro maestro Antonietti: "il cerchio chiuso è silenzio. Chi ha chiuso il cerchio, tace, perché sa che è loquace sol colui che ancor non ha capito". Meditate, gente, meditate. 

sabato, marzo 06, 2021

Meglio se non leggete...

 Se leggete questo post è perché alla fine avrò deciso di pubblicarlo, nonostante la forte ritrosia, per diversi motivi, che capirete. 

Questa scuola di canto non è una scuola qualunque; qui non stiamo nella scia del meccanicismo che impera, siamo decisamente in contrapposizione al 99% dell'insegnamento e dell'estetica vocale odierna. Come sa chiunque abbia un po' frequentato la scuola o anche solo letto un po' di questo blog, sa che c'è una gnoseologia di fondo, diciamo una filosofia, per semplicità. La qual cosa vuol dire che non abbiamo solo un interesse univoco e un po' "arido" nei confronti del canto, della lirica, della vocalità. Così come riteniamo fortemente errata la propensione medica a "dividere" tutto, fino agli specialisti del dito della mano (un paradosso ma non tanto), puntando invece a una sana medicina verso l'olismo, cioè il vedere sempre l'unità organica, la nostra conoscenza musicale e vocale punta all'UNO. Uno, non solo della voce, ma intanto voce, musica, testo, quindi cultura musicale, cultura letteraria e teatrale, scienze, arti... ecc. Così come le note non hanno senso se prese individualmente o a piccoli gruppi, anche il canto, seppur in una visuale artistica, non ha senso individualmente. Allora, come gli antichi atenei, come le botteghe d'arte del Rinascimento, o come dicono anche solo i proverbi (mens sana in corpore sano), possiamo noi pensare di fare buona musica, buon canto e buona vita se ci allontaniamo da principi basilari di salute e moralità. 

giovedì, marzo 04, 2021

Libertà e limiti

 La Musica, come ogni altra Arte, intesa nella sua più alta espressione, è manifestazione dello spirito. La voce, sempre intesa ad alto livello, è il mezzo più prossimo per consentirne la diffusione. La produzione artistica ha come finalità la comunicazione tra spiriti, ovvero la congiunzione tra essi e la possibilità di ritrovare l'unità di cui gli spiriti sono frammenti. Dunque l'Arte ha una valenza comunitaria e trascende la persona. Richiede libertà, perché la personalità "animale"" trattiene e limita la possibilità di manifestazione, essendo legata alla materialità fisica. Dunque, qual è la cosa necessaria per poter puntare a una reale conquista artistica? E' la rinuncia all'ego! L'ego, ovvero quel sentimento per cui prima di tutto veniamo noi, come singoli, viene il nostro successo, la nostra supremazia, i nostri privilegi, ecc. è il grande ostacolo da sbaragliare, da sopprimere. Non c'è l'io, ma il noi. Occorre aprire quella porta che consente al nostro spirito di superare le barriere fisiche (quelle "animali") e potersi congiungere con quelle di chi, libero nell'ascolto, nella percezione, può entrare nella coscienza universale e cogliere il messaggio. Quando si ascolta un brano musicale spesso, anche ingannato da letture e opinioni "musicologiche" fuorvianti, ci si sofferma sugli aspetti emotivi e suggestivi più immediati. Talvolta anche per colpa dei compositori stessi, che hanno posto delle scorciatoie illusorie ("le quattro stagioni", "quadri d'una esposizione", "la pastorale", "la Moldava" e altri numerosi poemi sinfonici, ecc.). Il messaggio in un certo qual senso è sempre lo stesso; è un richiamo all'amore (universale), all'unione, alla congiunzione spirituale, all'uguaglianza che sottostà all'apparenza materiale e fisica. Dunque, lo studio del canto, come di qualunque altra Arte con una volontà realmente artistica e non semplicemente di arrivare a un livello accettabile, ma con un proposito di perfezione, deve porsi in termini di verità, perseguendo l'abbattimento non solo delle barriere fisiche, ma soprattutto di quelle egoiche, per cui ogni richiamo da parte di un maestro è una "mazzata" e un tentativo e un aiuto a farci aprire la porta dello spirito, ma verso cui il nostro istinto e la nostra personalità lotta incessantemente e tenacemente per non cedere. Le espressioni che vedo quasi quotidianamente sui volti e sui corpi di tanti cantanti e di tanti allievi, non è l'espressione "vera" del vero IO di quel soggetto, ma è quella del suo EGO, che non si accontenta della SUA voce, che in realtà manco conosce, ma pretende quella che il suo ego gli suggerisce, cioè quella di una presunta Callas, di un presunto Del Monaco, di un presunto Bastianini, di un presunto Siepi, di una presunta Simionato, e così via. Frasi come "canta come parli", ammesso che riescano a entrare in testa nel loro più semplice significato, sono accolte come limone negli occhi! La semplicità, la apparente banalità, la quotidianità del parlato fanno scatenare l'ego che non tollera che questo possa conseguire i risultati del grande canto spettacolare. Per arrivare a quello, secondo lui, dobbiamo passare per strade complesse, per tortuose macchinazioni laringee, ventrali, diaframmatiche, nasali, palatali e via dicendo. Più si mettono di mezzo forze, movimenti, pressioni, lavori fisio-anatomici, più si accontenta quella parte di noi che coniuga canto e fatica. Ma non è che l'Arte non richieda profondi sacrifici, tutt'altro, solo che sono diversi, e passano esattamente dalla strada opposta, quella dell'ascolto di sé stessi, del rilassamento, della più incredibile semplicità e eliminazione di ogni artificio e costruzione; quella semplicità che permetterà alla nostra esigenza spirituale artistica di aprirsi a una fase evolutiva del nostro fiato che ci consentirà di cogliere i frutti più belli e maturi che il nostro spirito, nei limiti del nostro corpo, possa offrirci, ovvero il raggiungere la nostra perfezione. 

La Musica, come ogni altra Arte, non è definibile, e dunque è erroneo definirla un "linguaggio". Sarebbe misera cosa se la si riducesse a linguaggio. La Musica è straordinariamente alta e grande; è accessibile all'uomo, ma per ogni uomo rappresenta comunque un grande ostacolo poterla rendere trasmissibile. In teoria ogni musica dovrebbe essere una sorta di improvvisazione, dettata dal momento (hic et nunc). Fin dalle origini, però, e per varie motivazioni, si cercò il modo di fermare su un supporto duraturo qualche segno che, codificato e decodificato, consentisse ad altri di riprodurla altre volte. Non è l'unico motivo, ma senz'altro il più sentito. Si cominciò così a cercare il "linguaggio". Per la verità il fatto stesso di voler eternare un pensiero musicale, è di per sé una limitazione. Significa voler "imbottigliare" (o fotografare) qualcosa di gigantesco in uno spazio angusto. Però lo spirito, in soggetti che, per varie situazioni, riescono a lasciar fluire il pensiero profondo, riescono a scrivere, quasi in una situazione "sonnambulesca" grandi pensieri musicali codificandoli urgentemente con la notazione musicale e tutto il corredo adiacente. Dobbiamo però, sempre, ricordare che quella fase e quel prodotto è un compromesso, una necessità fisica che se troppo esaltata non porta a niente. Note, segni dinamici, segni agogici, che sono i mattoncini di base, già sono di per sé catene e lacci al vero flusso musicale. Figuriamoci tutto l'ampio ventaglio terminologico e regolistico che si è sviluppato ed evoluto nel tempo...! Da molto tempo infuria una diàtriba tra chi sostiene il cosiddetto tonalismo e chi invece vorrebbe l'applicazione di nuove regole, meno vincolanti o comunque diverse. Ciò di cui non si tiene conto, è che comunque l'uomo è soggetto a vincoli e limiti, pur comprendendo anche l'immensità. I limiti e i vincoli sono quelli del corpo e dei sensi, nonché delle leggi che ci regolano e ci governano. Il nostro cervello è strutturato in modo da avere degli "stop", laddove un eccesso di dati lo manderebbe in tilt. Ecco dunque che noi vediamo e sentiamo non tutto ciò che c'è, ma ciò che la Natura ha ritenuto che sia conveniente vedere e sentire; ciò che va oltre lo possiamo INTUIRE, ammesso che ci mettiamo nelle condizioni di lasciar fluire l'intuizione proveniente dal nostro spirito. Le dispute sui linguaggi musicali, sulle forme, sulle regole dell'armonia, del contrappunto, dello stesso solfeggio che "allieta" i principianti, sono tutte sciocchezze, in confronto alla grandezza della Musica; sarebbe come voler mettere un vestitino da bambini addosso a un corazziere! Per altro è una necessità legata alla nostra realtà umana-animalesca. Si può superare? Certo che sì, ma in tempi lunghissimi e avendo una predisposizione a superare quei limiti, il che vuol dire una sorta di follia che ci rende poco inclini alla socialità e al riconoscimento, se non in tempi lunghissimi. Dunque la necessità è sempre quella di seguire le orme dei maestri, lasciarci guidare da essi, con umiltà e dedizione, ma anche con la passione che ci sprona a trascendere quelle stesse regole e quei vincoli, tesi ad ascoltare la voce profonda del nostro spirito, o dei nostri pensieri meno superficiali.

Il discorso che ho scritto non ci allontana dall'arte del canto. Anche qui dobbiamo ricordarci che abbiamo dei vincoli, ma possiamo superarli, pur con limitazioni personali, fino a incontrare la verità, ovvero la perfezione, che sarà ovviamente legata alla nostra condizione umana, ma che sarà comunque espressione autenticamente libera della coscienza universale in cui potremo riconoscerci. La questione di fondo però è: è una scelta? Ho sempre più il sospetto che il M° Antonietti, trovata la verità e insegnatala per molto tempo, alla fine comprese che era tempo perso voler creare cantanti perfetti, in quanto - e questo lo scrisse - di cantanti (o artisti) perfetti ne può nascere uno ogni... secolo? millennio? Dunque fatica e tempo perso. Ciò nonostante non è che si debba per forza lasciar perdere. Si tratta piuttosto di mettere traguardi più ragionevoli e alla portata di molti. Il presunto perfezionista si manifesterà da solo, spinto dalla sua forza e volontà spirituale. Se sarà fortunato troverà il maestro che potrà portarlo a destinazione, oppure ci arriverà da solo, ma dovendo percorrere un calvario. In ogni modo ognuno è bene segua la strada che sente di dover percorrere, con passione e con giudizio.