tag:blogger.com,1999:blog-374316002024-03-18T04:03:27.182+01:00Arte del cantoBlog del sito: www.artedelcanto.net - info@artedelcanto.net fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.comBlogger972125tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-64583759369428481792024-03-05T15:50:00.000+01:002024-03-05T15:50:50.306+01:00Degli esseri viventi animali<p> Quando mi riferisco ai problemi nel canto, ma anche a quelli più generici di chi si accinge a un'attività realmente artistica, faccio spesso riferimento a una questione di contrapposizione tra l'uomo e l'animale. Lo dico, ad es., a proposito dei pianisti o dei pittori, le cui mani non nascono per poter suonare o dipingere in modo esemplare, perché la loro funzione esistenziale è limitata a quella di pinze, palette, martelli. L'uso raffinato delle dita è stata un'evoluzione, nata dal dover intrecciare liane, all'inizio, e poi su su fino a suonare con grande destrezza. Nel canto si vuol produrre arte con il fiato, che esistenzialmente serve alla ventilazione polmonare. Questo aspetto a molti non va a genio, e spesso mi si chiede se c'entra l'evoluzione darwiniana, o cose simili. A me del possibile passaggio scimpanzé-uomo non interessa niente! Parto da un altro presupposto. Tutti gli esseri viventi del regno animale hanno determinate caratteristiche in comune, e l'uomo non sfugge. Il fatto di volerlo o non volerlo associare ai primati come una loro evoluzione, è del tutto fuori da questo discorso. La singolarità dell'uomo non ne fa qualcosa di talmente speciale da non ricadere nelle caratteristiche di tutti gli altri animali. In particolare, come ho ricordato più volte, c'è un cervello che abbiamo in comune con tutti, che possiamo chiamare antico, rettiliano, ancestrale o come meglio si crede, ma questo è pressoché lo stesso in tutti e guida molte delle nostre azioni. Attorno a questo sono poi cresciuti altri cervelli più giovani e specifici di ogni specie. Ma anche il corpo di ogni essere comunque ha aspetti in comune con noi, perché siamo sullo stesso pianeta e ricadiamo sotto le stesse leggi (a parte gli esseri che vivono in acqua, che devono sottostare a leggi specifiche). Quindi la questione su cui riflettere non riguarda l'evoluzione "da" animale a uomo, ma solo le caratteristiche animali presenti e insopprimibili nell'uomo, come gli istinti. Il fatto che ci chiamiamo uomini non ci esime dal ricadere sotto il giogo di alcuni istinti, perché sono comunque indispensabili alla vita. Purtroppo le grandi arti è come se si contrapponessero alla vita animale, il che è vero se le consideriamo come un portato dello spirito, cioè di una forza che non ricade sotto le leggi fisiche. Il canto e la musica sono le uniche arti che più si avvicinano a questo assunto, non producendo beni materiali, ma astratti o al massimo sonori, quindi debolissimamente materiali. In questo senso possiamo definire il canto e la musica le espressioni più alte dello spirito, laddove prodotte con strumenti elevati alla massima purezza.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-33429195983960956272024-02-15T11:01:00.001+01:002024-02-15T11:01:21.664+01:00Cosa sono "gli acuti"?<p> L'essere umano emette "suoni"? Non propriamente. Il nostro apparato vocale produce, genera suoni, ma questi, grazie alla Conoscenza, si possono trasformare in voce, o meglio, in vocali. Voce e vocali sono una straordinaria qualificazione del suono. Il suono è racchiuso nella caverna, il faringe, dove sta la voce primitiva. La voce e, ancor più, la vocale, esce dalla caverna, e gode della luce e dello spazio infinito. Parlare di suoni è erroneo, perché parliamo di una vibrazione muta, anonima, priva di anima. La vocale è vera, ha un carattere, una personalità e una capacità comunicativa molto superiore, perché contiene anche il suono, ma ha un'ulteriore potenza. Andate a leggere "la parola che espone", capirete meglio. </p><p>Al di là di questo, quando diciamo "gli acuti", così come diciamo "il centro" o "i gravi", a cosa facciamo riferimento? E' evidente che il soggetto sottinteso sono "i suoni", ma noi dobbiamo far riferimento alla nostra parte più elevata, quindi alle vocali. Se dico che un/una cantante "ha begli acuti", mi sto riferendo soltanto a dei suoni. E infatti è vero che ci sono tanti cantanti con dei begli acuti, il che significa che emette dei suoni piacevoli, magari ricchi di armonici. Ma sono propri di un essere umano evoluto? O appagano solo il gusto esteriore, superficiale del suono piacevole, che accarezza le orecchie? La voce, in quanto portato della musica, non dovrebbe suscitare qualcosa di più profondo e sensibile? Allora dobbiamo far sì che compia una rivoluzione, che si evolva, che venga elevato dalla Conoscenza che è in noi a vocale vera e sincera. E' ciò che sono riusciti a fare in sommo grado Tito Schipa e diversi altri cantanti del primo Novecento, che non dovremmo mai stancarci di ascoltare e seguire. Le vocali si possono fare su tutta l'estensione, così come le parole. Se non lo riusciamo a fare (e questa è la domanda fondamentale che dovremmo sempre porci e a cui ogni insegnante di canto, specie se vuole qualificarsi Maestro, dovrebbe saper rispondere oggettivamente) è perché non abbiamo una respirazione in grado di sostenerlo. Quindi, proprio grazie alla parola, vera e sincera, noi possiamo far sì che il fiato si evolva e gradualmente ci consenta di estendere la parola cantata su tutta la gamma. Il nostro istinto ci osteggia perché non conosce l'arte e l'astrazione, ma è la parola, che si pone come portale tra il mondo dell'immanente e quello del trascendente che può farci transitare a quella possibilità. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-84660504563389685932024-01-30T12:47:00.000+01:002024-01-30T12:47:52.547+01:00Futilità delle classi vocali<p> Questa scuola ha sempre raccomandato la pronta e sicura classificazione delle voci. Classificare è un'operazione delicata e spesso difficile. Non si deve esibire troppa sicurezza in questo compito perché si può andare incontro a sbagli che possono compromettere il futuro di un cantante. Sto leggendo un bel libro su Boris Christoff, che fu classificato baritono non da uno qualunque ma nientemeno che da Riccardo Stracciari, suo insegnante. Fu la sua cocciutaggine a prevalere; disse risolutamente al maestro che lui non se la sentiva di cantare da baritono, che si era sempre sentito basso e che se avesse insistito, lui avrebbe smesso esarebbe tornato in Bulgaria. Per non creare un "incidente", Stracciari consigliò di sentire il parere di Titta Ruffo, il quale ritenne opportuno provare a farlo cantare da basso. Dopo qualche mese Stracciari chiese scusa a Cristoff, essendosi evidenziato che lui era realmente un basso. Anche Rossi Lemeni credo abbia avuto problemi analoghi. In ogni modo non è questo il tema di questo post.</p><p>Mi capita molto sovente di sentire commenti durante l'esecuzione di opere, dove si afferma: "ah, ma questo non è un tenore, questo non è un mezzosoprano, non è un basso, non è un baritono, ecc.". Su cosa si basano queste affermazioni? in primo luogo sul colore, e in particolare il colore chiaro. Se un baritono, un basso, un mezzosoprano o anche un soprano o un tenore drammatici non esibiscono un colore almno un po' scuro, vengono subito etichettati come inappropriati o appartenenti alla classe superiore. </p><p>Nei bei tempi andati, cioè quando le grandi opere di Mozart o anche di Rossini e dei loro contemporanei nascevano, nel libretto non c'era scritta la classe vocale dei cantanti, ma solo il loro nome. Anche negli spartiti non c'era scritto, la classe si evinceva dalla chiave in cui era scritta la parte, ma non sempre con assoluta sicurezza. Sappiamo della grande confusione che avvenne all'inizio dell'Ottocento, quando i ruoli che venivano assegnati a cantanti definite "contralti" piano piano andarono sparendo e nacquero i soprani drammatici d'agilità, ruoli occupati dalle stesse che si definivano contralti. Del resto anche una cantante celeberrina come Marilyn Horne ha svolto la prima parte della carriera come soprano, passando poi a quello di mezzo, da molti ritenuto di contralto. Paolo Silveri ha svolto una prima parte della carriera come basso, poi la maggior parte come baritono e terminando come tenore. </p><p>Se ascoltiamo le incisioni di moltissimi cantanti del primo Novecento, troveremo sovente baritoni e persino bassi di una chiarezza estrema, che però svolsero la professione con successi strepitosi, senza censure. Allora arriviamo al punto. Tolto che ogni cantante deve avere una classificazione certa, con le caratteristiche e i limiti cui deve sottostare, ciò che conta è se ha le carte in regole per affrontare determinati ruoli. Se è credibile ed efficace. Io di un baritono o un basso che scurisce artificialmente la voce per non sembrare un baritono o un basso, non so che farmene! Voglio sentire come canta quel ruolo con al SUA voce. E' logico che una voce da soubrette non può fare Norma e un tenorino di grazia non sarà credibile in Otello di Verdi, però senza esagerare. Lauri Volpi aveva voce chiara, come Loforese, eppure hanno vestito i panni dei personaggi più drammatici, Turiddu, Canio, Andrea Chenier... Smettiamola di correre dietro ai colori, e ascoltiamo davvero come un cantante sa entrare nei personaggi e renderli nella loro realtà drammaturgica. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-68491140105228552782024-01-20T15:32:00.000+01:002024-01-20T15:32:04.090+01:00Falsetto, falsettino, Stop closure<p> Il tema trova parecchia confusione nel linguaggio popolare ma anche in quello più ricercato degli addetti ai lavori. L'ho trattato diffusamente nel blog, ma forse è meglio se faccio una sintesi.</p><p>Comincerò col dire che il falsetto NON E' quella voce simil femminile che utilizzano i sopranisti maschi.</p><p>Il falsetto ce l'hanno uomini e donne. Nelle donne, in ogni classe vocale, il falsetto occupa oltre un'ottava di estensione, ma trova la sua migliore sonorità tra il Fa3 e il Do#4. Dopodiché prosegue SENZA PASSAGGI fino in zona sovracuta, prendendo il nome di "testa", ma la differenza con la parte precedente consiste solo in un maggior impegno, in quanto la corda si parzializza e la maggior tensione richiede più energia per manifestarsi correttamente. Nei tenori è frequente che quella stessa gamma si presenti in due modalità, cioè leggera e rinforzata. La differenza è in un maggior "peso", maggior impegno respiratorio, ma può dare anche problemi di appoggio. Alcuni tenori utilizzano la componente leggera per fare mezzevoci e piani e pianissimi, il che può essere corretto se la voce mantiene l'appoggio, il che non sempre riesce.</p><p>Secondo alcuni insegnanti e trattatisti del passato, baritoni e bassi non avevano il falsetto, quindi niente passaggio, secondo loro cantavano tutto di petto. La qual cosa è decisamente errata. Però la motivazione di questa impressione sta nel fatto che baritoni e bassi hanno un falsetto molto più intenso e sonoro di quello dei tenori, per cui non prende l'inflessione femminea che fa dire essere falsetto. Infatti oggi viene definito, erroneamente, testa. Nella componente "testa" ci entrano correttamente solo i contraltini, che possono proseguire il falsetto anche fino al Fa4 e forse oltre (ma sconsigliabile).</p><p>Il falsettino non è un registro, è il primo armonico, e credo abbia qualche rilievo solo nelle voci maschili. Assomiglia alla voce femminile, ma è alquanto esiguo, di scarsa estensione e non può essere rinforzato, pena il cadere all'ottava bassa, cioè sul fondamentale. Può essere utile il suo utilizzo in fase didattica, non lo è quasi mai professionalmente, se non a qualche caratterista per fare suonacci a scopo ironico.</p><p>Veniamo invece a sopranisti e contraltisti. La loro voce femminile è dovuta a una caratteristica personale, che si attiva per imitazione, ma, per quanto io sappia, non è trasmissibile, non è insegnabile ed è stato etichettato come Stop Closure (figuriamoci se non si usava l'inglese). In pratica avviene una sorta di piccola paralisi di una porzione delle corde vocali che le rendono un po' più corte, rapportandole appunto a quelle femminili. In questo senso c'è una somiglianza non indifferente con quelle degli antichi castrati, ma senza alcuna operazione. In quelli, come in questi, c'è però un grosso problema: le corde vocali, in questa condizione, non sono più rapportate alla capacità respiratoria, che è di gran lunga più sviluppata, il che determina una incongruenza, per cui capita spesso che questa voci non riescono a esprimere correttamente un canto piacevole, e non di rado vanno incontro a difficoltà di intonazione, perché il flusso d'aria è esagerato rispetto alle dimensioni delle corde. Però sentiamo che oggigiorno non sono pochi i sopranisti che cantano con successo. La valutazione, poi, la lasciamo a chi ascolta.</p><p>Spero di aver chiarito il quadro, ma potete fare domande e osservazioni se qualcosa non vi torna. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-70346472702659887382023-12-06T15:47:00.000+01:002023-12-06T15:47:31.981+01:00"... coraggio aver conviene..."<p> Verso la fine del 1° atto del Don Giovanni, tre personaggi dell'opera, il tenore e due soprani, si presentano mascherati alla festa data dal protagonista per scoprire chi costui sia veramente, se il "nobil cavalier" o il malvagio seduttore. E la verità verrà a galla. Nel presentarsi, per l'appunto, si fanno coraggio, perché intuiscono che Don Giovanni può essere anche pericoloso, se emergesse, come emergerà, che è lui l'uccisore del padre di Donna Anna. </p><p>Allora bisogna riconoscere che studiare canto in una scuola che vuole svelare come stanno davvero le cose, richiede molto coraggio. La voce per affrontare il canto artistico non è riconosciuta dalla nostra mente, quindi viene osteggiata e per chi è alle prime armi o sta percorrendo strade errate, è inconoscibile, coperta da uno strato di fumo denso. Quindi ci si avvicina guidati dall'insegnante che conosce la strada giusta anche al buio, e bisogna fidarsi, fidarsi delle proprie risorse e credere nella possibilità di perfezione insita nella nostra natura umana, che è fatta di corpo (animale) e di spirito (divino). Ad ogni passo ci sentiremo legati e intimoriti dalla paura di commettere errori, gridare, spingere, ingolare... quindi bisogna togliere, alleggerire, semplificare, e questo comporterà altre paure. Siate eroi. non demordete, ma nell'umiltà, nella determinatezza. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-32212529549646337322023-11-12T22:22:00.003+01:002023-11-16T15:50:38.705+01:00Chi l'ha... detto?<p> A me non interessa sapere "CHI" e "COSA" ha detto o ha formulato determinate cose riguardanti il canto; a me interessa sapere "PERCHE'" le ha dette, ovvero, su quali basi, su quali fondamenti. Tutto il resto... è noia!</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-60341089243373973832023-11-04T12:16:00.002+01:002023-11-04T12:16:35.512+01:00Le unità<p> Conquistare un'arte significa in sintesi: UNIFICARE. Nel caso della voce noi abbiamo: 1) unificazione dei tre apparati alimentante (fiato), produttivo (laringe) e articolatorio-amplificante (bocca e spazi oro-faringei); 2) unificazione dei registri (cosiddetti petto e falsetto-testa) che significa anche unificazione delle posture cordali e relative meccaniche nonché tutto ciò che si relazione con essi in modo diversificato, a cominciare dal fiato. Se il fiato alimenta in modo differenziato la voce parlata centrale e quella acuta, c'è una dualità e quindi una difformità e una impossibilità di rendere il tratto unico ed esemplare (del resto, anche petto e testa sono una dualità risonante, da unificare!). </p><p>Dopodiché abbiamo le unificazioni di tipo musicale, che attengono alla fenomenologia, quindi unificare gli intervalli e fino a un intero brano, quindi vivere la fine contenuta nell'inizio. </p><p>Ogni volta che ci si trova di fronte a una dualità, occorre meditare su come annullarla, perché viceversa non sarà mai possibile un risultato artistico.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-13679850540698408362023-10-31T18:14:00.002+01:002023-10-31T18:14:57.158+01:00Lo "sgancio" della laringe<p> Una delle cose più importanti e meno facili nello studio del canto, consiste nello "sganciare" la laringe dal suo ruolo fisiologico di valvola dei polmoni. Purtroppo è anche una delle cose meno risapute, per cui nell'insegnamento di tanti, non si fa caso a questo problema, anche se si coglie che un problema c'è, nel senso che si fa presente agli allievi che la laringe non dovrebbe alzarsi (il che in realtà è un altro grave errore) e quindi invitano a premere verso il basso per non farla alzare. </p><p>La questione in realtà è piuttosto semplice. Parto, però, già dalla conclusione per poi spiegare tutta la questione come sta. La parola ben pronunciata è quella che richiama la laringe al suo ruolo musicale. Quando parliamo, la laringe non svolge, se non in rari momenti e per frazioni minime di tempo, il suo ruolo fisiologico, ed è al servizio della parola. Nel momento in cui vogliamo cantare, cioè emettere SUONI o cantare ma senza dare il dovuto rilievo alla parola, la mente non avverte più l'esigenza primaria del parlato, e torna ad agganciare la laringe al fiato fisiologico, che quindi tornerà ad esercitare la pressione sottoglottica in modo inopportuno dal punto di vista canoro, provocandone il sollevamento. Ovviamente la soluzione di premere verso il basso è la peggiore possibile, perché si mette in moto una catena di azioni e reazioni che sicuramente non possono essere virtuose, né per il canto né per la salute dell'apparato respiratorio-vocale. </p><p>Il fatto di privilegiare il vocalizzo alla sillabazione e al parlato è infausto, perché risulta difficile poter dare alla semplice vocale lo stesso rilievo di una parola o di una sillaba ben detta. Ecco perché il passaggio alla vocale andrà fatto prudentemente partendo dalla parola. Ad es. pronunciando e cantando la frase "ma l'amore va" un po' di volte, ci si potrà fermare una volta sulla "O" (ma l'amoooooo), una volta sulla "A" (ma l'amore vaaaaa), e così via, ma tornando sempre sulla frase, in modo da non discostarsi da quella condizione e soprattutto dalla posizione che si guadagna grazie al parlato.</p><p>La laringe è un organo mobile, per cui DEVE potersi abbassare e alzare, e il volerla tenere ferma è un errore micidiale, anche se sappiamo che molti cantanti con questo "trucco" riescono a cantare, o meglio, fare suoni anche rilevanti, ma addossando un carico insalubre alla laringe stessa, che qualcuno potrà pagare caramente.</p><p>Ciò che ho scritto in questa pagina, è una delle conquiste più importanti che si possono arrivare a fare in questo studio, in quest'arte, ed è pazzesco che pochissimi nella Storia siano arrivati a comprenderlo e a metterlo in pratica. Ancora all'inizio del 900 parecchi cantanti avevano una emissione straordinaria, quindi possiamo arguire che, intuitivamente, diversi ci erano arrivati. Poi, per presunzione, arroganza, fretta, narcisismo, è stato buttato tutto alle ortiche e oggi si viaggia con le idee più strampalate in testa, e i cantanti che sono in carriera, pressoché unicamente per doti e privilegi innati, cantano come possono, e anche quando cantano bene durano poco, perché quella condizione non è conquistata dalla coscienza, quindi non è conosciuta e quindi ricondotta alle funzioni esistenziali. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-58845574439551037642023-10-27T18:16:00.000+02:002023-10-27T18:16:03.171+02:00Dei muscoli e della tridimensionalità<p> Mi sono soffermato lungamente sulla necessità di sganciare la vocalità dalla muscolatura interna, cioè il contrario di quanto si fa in genere nelle scuole di canto attuali. Però nella fase iniziale dello studio, capita che richieda una certa partecipazione di alcuni muscoli facciali, al punto da definire tutta la parte compresa tra mento e zigomi "la tastiera del cantante". E' infatti evidente che la corretta emissione di alcune specifiche vocali, come la "I", la "é" e la "O" richiedano un certo atteggiamento dei muscoli facciali. Questo atteggiamento è genericamente dolce e spontaneo nelle persone, durante il normale eloquio, ma si tende ad abbandonarlo quando si passa al canto, specie se impegnato. Questo fatto può far pensare a una contraddizione. Come ho già spiegato in diversi momenti, l'insegnamento del canto non può sintetizzarsi in un unicum, ma richiede non meno di tre fasi. Una fase che possiamo definire propedeutica, una fase di stabilizzazione e una di perfezionamento. In questi momenti le problematiche da gestire sono o possono essere differenti, e differenti, quindi, anche gli strumenti da impiegare. Nella prima fase il problema più cogente è quello di far sì che la voce nasca e si sviluppi esternamente. Se questo avviene naturalmente quando si parla, è molto più difficile che avvenga appena si intona, specie se si vuol dare maggiore intentistà e se ci si avventura se tessiture più acute. Come è noto, il modo più corretto per sviluppare il fiato consiste nel partire dal parlato, perfezionarlo ed estenderlo. Ma per molti è una linea troppo lunga e impegnativa, o almeno così a loro appare, e dunque bisogna affrettarsi a passare al vocalizzo e al canto, dove le conseguenze della reattività del corpo sono più forti. Pertanto, ecco che occorre ricorrere a qualche mezzo che possa tenere sotto controllo le reazioni e consentire alla voce di portarsi avanti. Un utilizzo sapiente della muscolatura labiale, risoria e zigomale permette di pronunciare adeguatamente le tre vocali suddette. Tutto bene, quindi? Non proprio. La muscolatura esterna ha dei riflessi su quella interna, per cui se si applicano delle tensioni, possiamo essere certi che la fluidità vocale ne avrà riscontro, quindi è necessario che, qualora l'insegnante abbia ritenuto di far ricorso a questa modalità, dovrà poi insistere per toglierla, il prima possibile. Quale deve essere la vera condizione del canto? Che tutto si formi esternamente, e anche la muscolatura esterna del viso resti pressoché impassibile, con appena accenni della pronuncia. Questa è una condizione che per molti risulterà al limite dell'impossibile! Eppure occorre assolutamente arrivarci. La voce è come se venisse vista, oltre che udita, non formulata muscolarmente!</p><p>Adesso passiamo a un altro fattore, non meno importante e legato in parte al precedente. Lo studio del canto si associa, nelle parole degli insegnanti, a procedure dimensionali, che solitamente sono solo due, cioè sopra e sotto, o alto e basso. L'alto è il regno della "maschera", delle cavità sopraglottiche, della bocca, del naso, del faringe; il sotto è il regno sooprattutto del diaframma, della pancia, della schiena e per qualche insegnante anche più giù. Per me questa dimensione è da lasciar stare! Più interessante è quella orizzontale, che però non riguarda "avanti" e "dietro", ma solo l'"avanti", dove però ci sta la terza dimensione, cioè il laterale, destra e sinistra. Spiego meglio. Prima di tutto questo avanti non è generico, ma è relativo all'intensità e all'altezza della tessitura. Siccome la colonna d'aria, man mano che si sale nella tessitura, a causa dell'aumento di tensione, tende a raddrizzarsi e a portarsi verso il centro della calotta cranica, noi dobbiamo fare in modo che questo NON avvenga, perché porterebbe allo spoggio! Il palato è l'elemento che può impedire il raddrizzamento e proiettare la voce verso l'arcata mandibolare superiore e verso l'esterno, Questo però, specie nei primi tempi, creerà una pressione non indifferente, per cui sarà probabile che spesso la voce arretri e si opacizzi. In ogni modo, anche quando si riuscirà a crearla esternamente, questo dato non potrà essere generico. Se parliamo di vocali perlopiù verticali, come la A e la O (anche la "è"), man mano che si sale nella scala occorrerà compensare il fatto di non salire (NON SI DEVE PENSARE IN ALCUN MODO DI ALZARE) lanciando la voce più lontano. Banalmente a volte consiglio di pensare alle diverse note come a delle orbite, e quindi saltare da un'orbita all'altra più lontana salendo. Questo succede anche nella vocali più orizzontali, come la "I" e la "é", che però hanno necessità di una espansione laterale, per cui salendo occorre anche lanciare maggiormente a destra e sinistra. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-10068827773987798482023-09-19T15:11:00.001+02:002023-09-22T12:49:58.988+02:00I due motori<p> Si può dire che nel canto possiamo contare su due motori <span style="background-color: #faf9f6; color: #3e3f3e; font-family: "Crimson Text", Garamond, "Times New Roman", serif; text-align: justify;">[dal lat. </span><i style="-webkit-font-smoothing: antialiased; background-color: #faf9f6; box-sizing: border-box; color: #3e3f3e; font-family: "Crimson Text", Garamond, "Times New Roman", serif; text-align: justify;">motor</i><span style="background-color: #faf9f6; color: #3e3f3e; font-family: "Crimson Text", Garamond, "Times New Roman", serif; text-align: justify;"> -</span><i style="-webkit-font-smoothing: antialiased; background-color: #faf9f6; box-sizing: border-box; color: #3e3f3e; font-family: "Crimson Text", Garamond, "Times New Roman", serif; text-align: justify;">oris</i><span style="background-color: #faf9f6; color: #3e3f3e; font-family: "Crimson Text", Garamond, "Times New Roman", serif; text-align: justify;">, «che mette in movimento»</span><span style="background-color: #faf9f6; color: #3e3f3e; font-family: "Crimson Text", Garamond, "Times New Roman", serif; text-align: justify;">]</span>, uno attivo e uno passivo. Il motore attivo è la parola, è ciò che motiva e aziona la "macchina" vocale. Se il testo non suscita l'interesse e la volontà del cantante, cioè non è coinvolto da essa, il motore non funziona, ovvero non aziona correttamente l'altro. Il motore passivo è il fiato-diaframma. Nelle scuole di canto non si fa che agire (o meglio, tentare di agire) su di esso con varie tecniche ed espedienti, quasi tutti fallaci e comportanti difetti più o meno gravi. E' assurdo spingere, premere, affondandare, ecc. Il fiato ha un proprio fuinzionamento istintivo, basato su principi fisici e fisiologici perfetti. Ciò che manca a questo meccanismo nel canto artistico è la qualità, ovvero la costanza, la regolarità, la relazione mirabile con la laringe e l'articolazione. Ma, per l'appunto, questa caratteristica si sviluppa e si raggiunge proprio grazie a come si pronuncia e si muovono il parlato e la melodia. Affinché la parola sia ricca di significato e abbia il giusto carattere, la giusta intensità, necessita del giusto apporto respiratorio. Quindi è concentrandosi su questi aspetti che essa azionerà il motore respiratorio opportuno. Così e non diversamente, cioè non azionandolo volontariamente secondo modalità del tutto prive di relazioni e arbitrarie. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-41010542428148991272023-09-03T18:30:00.000+02:002023-09-03T18:30:55.062+02:00Il salto quantico<p> E' stato osservato che ogni tanto l'elettrone, all'interno dell'atomo, cambia orbita, modificando anche la propria energia. E' un salto (cui è stato dato il nome di salto quantico) di cui non si conosce a fondo la motivazione e la meccanica, in ogni modo... succede! Quindi, per analogia, si parla di salto quantico ogni qual volta c'è un cambio di vita, di posizione mentale. Nell'apprendimento dell'arte, è necessario un salto quantico, che corrisponde a: lasciar andare, cioè non preoccuparsi più di ciò che succede e soprattutto succederà. Lo studio, l'esercizio, creano le condizioni evolutive, che successivamente metteranno il soggetto in grado di produrre arte senza fare niente, cioè "naturalmente", ovvero aver reso naturale ciò che originariamente non lo era, in quanto non conosciuto. Se si continua a intervenire volontariamente con azioni pensando di guidare, di indirizzare, di correggere, ecc., impediamo di fatto che ciò che abbiamo educato possa operare liberamente. Non pensate, non cercate, non agite, lasciate fare, non mettete i bastoni tra le ruote!</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-73291195898993361272023-08-17T12:50:00.000+02:002023-08-17T12:50:27.038+02:00La fonte della vita<p>Si deve sempre tener conto del fatto che l'unità ha sempre un valore enormemente superiore alla somma dei componenti, in qualunque modo si voglia considerarli. Nella voce si arriva alla stessa conclusione. Essa è sì il prodotto di un insieme di elementi, fiato, diaframma, laringe, faringe,... ma essi non sono che un'ombra rispetto al valore trascendentale di una voce artisticamente educata. Lo stesso vale per una pagina di musica di un compositore di vaglia. Cosa sono ... tante note? niente! Solo il tutto, cioè la pagina nel suo insieme, possiede un valore più o meno elevato a seconda del livello conoscitivo dell'autore. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-6114463828778067712023-08-11T12:48:00.001+02:002023-08-11T12:48:57.573+02:00Suoni aperti e voce aperta<p> C'è una differenza non di poco conto tra parlare di suoni aperti e di voce aperta. Gigli disse di non voler insegnare perché avrebbe indotto gli allievi a fare suoni aperti, come lui talvolta faceva, che sono "pericolosi". La differenza sostanziale tra Schipa, il cui magistero vocale era superiore a quello di Gigli, che pure è stato un cantante strepitoso, sta in questo. Gigli non era arrivato a quell'arte respiratoria che, soprattutto nel canto forte, gli permettesse di avere tutta la voce esterna e galleggiante (come invece gli consentiva quella voce sospirata e delicata che spesso utilizzava nelle arie più "leggere"). Capitava allora che nelle frasi molto concitate e veriste, quando superava la soglia del cosiddetto passaggio, quindi oltre il fa-fa#3, allargasse i suoni, che quindi risultavano un po' più tendendi al grido, un po' eccessivi e volgari. Tornando a questioni già affrontate, ricordiamo che il suono è quella vibrazione anonima frutto dell'attività fisica delle corde vocali, il "materiale" che servirà da fonte per la produzione vocale. Quindi la voce aperta è qualcosa di più raffinato e corretto rispetto al suono aperto. La voce aperta è voce chiaramente comprensibile, omogenea in tutta l'estensione, priva di cambi, scalini, colori differenziati. Schipa, anche se non proprio sempre, riusciva ad utilizzare perlopiù una voce aperta, cioè uguale in ogni settore, con la possibilità di utilizzo della parola perfettamente pronunciata tanto nel centro quanto nell'acuto. Questo ovviamente si rifaceva a un'arte respiratoria rara.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-69802054697184767322023-07-22T12:26:00.000+02:002023-07-22T12:26:47.458+02:00Vincere la forza di gravità<p> Per un direttore d'orchestra, ma anche un pianista e pure un violinista, la forza di gravità è una legge piuttosto gravosa da affrontare e conseguentemente vincere! Il braccio di costoro risente del peso e questo impedisce la libertà che necessiterebbe per affrontare il proprio lavoro musicale, in quanto oberato da colpi, accenti e pressioni che non sempre sono coerenti con il percorso musicale che si sta compiendo. Anche nel canto dobbiamo vedercela con la legge di gravità, che in continuazione rischia di minare la bontà dell'emissione. Quando... e come?</p><p>Ad esempio, quando passiamo da una "I" ad una "A", non c'è solo il fatto che risulta quasi necessario aprire la bocca, ma questo comporta una "caduta" del fiato-suono verso il basso e quindi verso il dietro. Ma anche solo il passaggio dalla "I" alla "E", seppure chiara e senza accento (la congiunzione), la maggior parte di chi canta tende ad accentare con impulsi verso il basso, premendo sulla lingua se non sulla glottide. Per la verità il problema il più delle volte si sviluppa già a partire dalla "I", a cui viene associato un accento, ovviamente verso il basso. Per questo chiedo un "si" senza accento e dove la "I" segue la "S" sullo stesso piano, senza colpi. Noi dobbiamo costantemente aver presente che c'è e ci deve essere scorrimento, consumo sottile, Qual è o quale dovrebbe essere la condizione che vince la gravità? Il galleggiamento. Esso è da considerare la parte più evoluta, e quindi più impegnativa dell'apprendi-mento del canto artistico. E' veramente la parte più elevata, che richiede una capacità di concentrazione fuori del comune e una forza spirituale straordinaria. Il fiato polmonare, la grande spugna, deve galleggiare sul diaframma, non premere (!), e il fiato-suono che si crea, che va ad alimentare la voce-parola fuori della bocca, non deve premere da nessuna parte. A differenza delle braccia, l'aria ha un peso pressoché irrilevante, per cui può galleggiare senza particolari problemi, il suono transita in essa (aria) senza ulteriore appensantimento, se non ce lo mettiamo noi. E' una condizione "spaccacervello", me ne rendo conto, ma siamo nella condizione di farlo, tutti, dobbiamo solo avere molta pazienza. La vocale va attaccata senza accento fuori della bocca, come se lei stessa estraesse il suono-fiato dalla bocca, e deve proseguire in questo modo allontanandosi da noi. Il cambio delle vocali non deve mai gravare, non deve produrre indietreggiamento e soprattutto peso e abbassamento sulla lingua, sulla mandibola e men che meno su laringe e diaframma. E', in sostanza, esattamente il contrario di quello che chiede il 99% delle altre scuole. Sembra una follia, eppure ci sono i fondamenti, i principi per poter dire e dimostrare che è così, a partire dall'esempio. Purtroppo noi siamo schiavi del nostro sistema animale e quindi fisico, a partire dalla mente, e non siamo in grado di governare il fiato, però possiamo lasciarlo scorrere cercando di rilassare il fisico. Cosa intendeva Antonio Cotogni quando diceva "è come cantare tutto in falsetto"? Se si prova a emettere una vocale in un soffice falsetto, noterete che non v'è peso, non c'è gravità. Se si prova a replicare la stessa vocale in voce mantenendo quella levità, ci si renderà conto che è possibile, avviene un galleggiamento sonoro, e non si perde sonorità, ma anzi migliora con tutta una serie di possibili effetti migliorativi perché è tutto più leggero, quindi non c'è bisogno di usare forza e pressione, che sono i deterrenti peggiori della vocalità. Ma frasi del genere le ho viste/sentite da altri cantanti, specie del passato. Perché le abbiamo dimenticate o ignorate? Oggi non si fa che parlare di appoggio, intendendo una pressione verso il basso. Eppure una volta non se ne parlava, e grandissimi cantanti ce n'erano. Lo stesso Gigli, pur facendo confusione, dimostra la possibilità di cantare senza appoggio, anche se per lui era solo il canto in una sorta di falsettone, ma in realtà lui cantava praticamente tutto senza pressione verso il basso, ma già quel poco faceva perdere la perfezione. Forse si penserà che non mettendo il peso la voce resterà troppo leggera, troppo chiara, poco potente, ma non è così! Bisogna comprendere in cosa consiste realmente l'appoggio, che non è e non deve mai essere rivolto verso il basso, ma deve consistere nel concentrarsi sulla parola, sulla verità delle vocali e delle consonanti, delle sillabe e tutto il resto. La parola è divina, e sottovalutarla, come ormai si fa da decenni, significa rendere la voce difettosa e carente, ed è la giusta punizione per la presunzione che si adotta credendo di saperne più del nostro corpo!</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-16882550505403389702023-07-17T14:58:00.001+02:002023-07-17T14:58:24.592+02:00Del rinascere<p> Nel percorso per raggiungere la perfezione artistica, ci può essere un momento che si può definire di "morte" e rinascita. Morire significa abbandonare tutto ciò cui siamo (stati) abituati nel tempo a svolgere per praticare quell'attività che ora noi siamo in procinto di elevare ad arte. Rinascere vuol dire indossare i nuovi abiti di quella vita che ci si apre. Vuol dire non guardarsi indietro se non con compassione, non provare alcuna nostalgia, non avere alcun dubbio che si stia praticando il vero e il giusto. E' una certezza interiore e una visione del mondo nuova e piacevole. Indossiamo nuovi abiti e guardiamo con nuovi occhi. E' una rivoluzione, che può essere entusiasmamte e straordinaria ma che ci dà anche pace, serenità, tranquillità. Il raggiungimento di quello stato passa per la riduzione o addirittira eliminazione dell'ego, per cui la consapevolezza di aver raggiunto un non oltre nella nostra arte, non ci procura quella condizione di poter battere tutti, diventare famosi e umiliare gli avversari. L'arte è amore, condivisione, insegnamento, per cui deve essere usata per cercare di migliorare lo stato generale dei nostri simili, per aiutare gli altri a raggiungere uno stato più elevato senza voler imporre alcunché, anche perché ben pochi crederanno a quanto diciamo, o incuteremo timore e diffidenza, per cui si deve agire con cautela, e perlopiù sarà meglio tacere.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-4626975360703858262023-07-11T15:50:00.001+02:002023-07-11T15:50:32.286+02:00Libertà laringea<p> Tra le tante cose inopportune che vengono praticate in molte scuole di canto, una di quelle che ritengo più negative e violente è l'agire direttamente, volontariamente, sulla laringe. Quante volte ho visto e sentito ordinare agli allievi di premere su di essa! Il motivo è presto spiegato. Specie nei primi tempi di studio, la laringe tende a salire, anche repentinamente, quando si tentano suoni forti ed acuti., quindi il rimedio che sembra più immediato e logico consiste nell'agire in senso opposto, quindi premerla in giù. Non solo poche informazioni anatomiche e fisiologiche, ma semplici osservazioni (congruenti con quelle già praticate dai Garcia a metà Ottocento) sarebbero sufficienti a verificare che la Natura ha predisposto che la laringe debba oscillare (e dunque non gli va impedito), fluttuare nel canale faringeo, Guardando il "pomo d'Adamo" di qualunque cantante maschio, più evidente di quello femminile, quando dice "I" e quando dice "U", si osserverà senza ombra di dubbio che nel primo caso si solleva parecchio e nel secondo caso si abbassa. Se si imprime una forza verso il basso sulla laringe, si compie una violenza, una forzatura decisamente inopportuna e che comunque distorce la tendenza naturale, per cui il risultato sarà inevitabilmente difettoso. Fin qui le osservazioni per fugare ogni volontà o tendenza a fare azioni fisiche. Dopodiciò ci sono altre questioni che riguardano il canto.</p><p>Come ho poc'anzi scritto, la "I" e la "U", agli estremi, comportano dei movimenti evidenti della laringe. Naturalmente questi avvengono anche nelle altre vocali, in base al colore. Il colore chiaro tenderà a far alzare, il colore scuro a far scendere la laringe. Ora, il motivo per cui si agisce ssu di essa, si muove dalla percezione che molto spesso il sollevamento della laringe comporta anche lo spoggio del suono. Istintivamente laringe e diaframma si muovono parallelamente, quindi il sollevamento della laringe può comportare anche quello del diaframma, e conseguente spoggio del fiato e quindi della voce. Chi si ferma qui dirà: "allora è motivato il premere verso il basso!" Assolutamente no! Ho ben scritto "istintivamente!", cioè è qualcosa che riguarda il rapporto respiratorio e valvolare dell'apparato. Noi abbiamo un elevato obiettivo: trasformare l'apparato vocale in apparato vocale, almeno per il tempo in cui ci serve a tal scopo. In pratica questo significa "sganciare" la laringe dal suo ruolo valvolare e permetterle di fluttuare liberamente, cosa che già avviene quando parliamo. </p><p>Capita, dunque, che quando si passa da una "O", "U" o anche una "A" molto ampia a una "I" o "É" stretta, si può essere tentati di premere verso il basso o di fare una "I" o "<span style="font-family: Calibri, sans-serif; font-size: 11pt;">È</span>" oscurate per evitare il sollevamento della laringe. Dove sta la semplice soluzione di tutto questo? Nella posizione avanzata della voce, fuori dalla bocca. Questa posizione crea automaticamente lo sgancio della laringe, per cui passare da "U" a "I" od "É", non solo non comporta alcun problema di spoggio, ma permette sempre la migliore posizione della voce. Bisogna vincere la paura ed evitare di compiere frenate e allargamenti indebiti, ma sempre con l'obiettivo della libertà, del parlar cantando. Questo argomento si sposa anche con la pessima idea di pensare l'appoggio come una pressione verso il basso.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-86200032961382017192023-06-20T15:17:00.005+02:002023-06-20T15:19:24.489+02:00Della distruttività<p> La distruttività è un forte desiderio di creatività, frustrato, ostacolato, quindi una reazione istintiva. Può giungere anche a far male a sé stessi. Molte persone potremmo dire che arrivano a un canto distruttivo per non aver saputo - o trovato - le condizioni per cantare correttamente. Anche per impazienza.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-75395375156059477422023-05-14T20:19:00.006+02:002023-05-14T20:20:13.734+02:00Del controllo<p> <span style="background-color: #b1a7dc; font-family: "Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 30px; font-weight: 700; text-align: center;">Tutto ciò che cerchi</span></p><span style="background-color: #b1a7dc; font-family: "Segoe UI Historic", "Segoe UI", Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 30px; font-weight: 700; text-align: center;">di controllare finisce per controllarti.</span><div><br /></div><div>Non pensate di controllare la voce, inteso come emissione, non è possibile, ovvero è possibile ma solo muscolarmente, cioè non artisticamente.La voce è fondamentalmente fiato, e il fiato non si può controllare. Si devono creare le condizioni affinché il fiato possa evolversi e originare la voce perfetta.</div>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-40824936580787395402023-04-04T11:28:00.000+02:002023-04-04T11:28:59.635+02:00Al di là del muro<p> Chi abita in un condominio ben sa che la voce riesce a superare l'ostacolo delle pareti. Se voi voleste passare al di là di un muro, dovreste praticare un foro, ma la voce passa, senza rompere niente. Ecco, tanta gente che canta, sembra non rendersi conto che la voce viaggia e supera gli ostacoli da sé, mentre non si fa che imprimere forza, spinta, come se si dovesse abbattare le pareti. Allora quando cantiamo, possiamo pensare di avere un muro davanti, ma NON sfondarlo, non abbatterlo, ma avere in mente che la voce supera quell'ostacolo semplicemente in virtù della sua leggerezza, della sua sottigliezza... già, perché più è sottile, più è raffinata, più potrà filtrare tra atomi e molecole e correre libera, mentre gridare, premere, ingrossare, allargare, non faranno che esercitare una inutile, velleitaria pressione su quel muro, che ovviamente non cederà a un'energia così eterica. Quindi, perché si insiste su una azione erronea, come la forza, nei riguardi di una attività umana, la voce, che invece ha i propri attributi in senso opposto, nella leggerezza, nella volatilità, nella raffinatezza, nell'eleganza, nella dolcezza. Si dirà che spesso e volentieri nell'opera ci sono scene che richiedono dosi massicce di voce, e persino urli e strepiti. Vero, ma l'accesso a quel tipo di vocalità passa per la semplicità, per il minimo movimento, e non il contrario. Non è pensabile che un pianista diventi grande pestando e dando pugni sulla tastiera, semmai riuscirà a imprimere sonorità importanti esercitandosi a lungo su brani semplici, dove è richiesta espressività, legato o staccato puliti, omogeneità, calore. La voce è fatta di atomi, e qualunque ostacolo si presenti davanti a voi è anche fatto di atomi, e tra gli atomi ci sono immensi vuoti. Atomi con atomi si possono mescolare e gli ostacoli non sono più tali. Così come una cintura di sicurezza non cede se voi la strattonate, può essere invece interamente srotolata se la fate scorrere dolcemente. Quindi cantate pensando che la vostra voce appaia magicamente dall'altra parte di un muro, non perché l'avete sfondato, ma perché sapete come trapassarlo con l'arte raffinata di un canto esemplare.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-78341064951453118782023-03-24T14:26:00.001+01:002023-03-24T14:26:19.326+01:00Cervello e spirito<p> Nei tantissimi (troppi) scritti di questo blog, si trovano raramente riferimenti a cervello destro e sinistro. Viceversa la letteratura sull'arte si riferisce molto alle differenze tra questi due emisferi e indica, in particolare, a quello destro il luogo delle emozioni, della creatività, ecc. Sono d'accordo su questo, e non potrei non esserlo, visto che ci sono studi ed esperienze inoppugnabili. Ritengo però che concludere che tutto stia in questa condizione sia un assuunto incompleto. Il cervello, per quanto con differenze, a mio avviso può solo lavorare a livello fisico ed esperienziale, quindi come può intuire, come potrebbe inventare, ecc.? Abbiamo bisogno di un'entità che non abbia i limiti di tutto ciò che è fisico e materiale e che chiamiamo spirito, che poi ognuno può intendere come meglio crede. Lo spirito, poi, è anche ciò che modella e spinge il corpo e la mente in determinate direzioni e forme. Lo spirito è anche ciò che chiamo Conoscenza, in senso universale, cioè la Verità e perfezione cui tutto tende, pur frenato da un concetto stesso della verità, cioè la pericolosità della verità stessa, che per difendersi mette in campo le forze avverse e le difficoltà di comprensione ed elevazione. Non intendo entrare nello specifico della Gnoseologia, cioè lo studio della Conoscenza. E vorrei anche dire che non è così importante credere a quanto vado scrivendo a proposito. Va benissimo anche restare su parte dx e parte sx del cervello. Però mi pare anche giusto manifestare il mio, di pensiero, affinché si sappia in cosa credo e quali siano le fonti di quanto vado dicendo e scrivendo. Non chiedo a nessuno di condividerle, e tutto lo studio sulla vocalità che sto producendo può benissimo essere compreso anche senza approfondire questo aspetto. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-14152398915405864322023-03-11T19:39:00.000+01:002023-03-11T20:03:08.491+01:00Suono ed esigenze evolutive<p> Dopo poche pagine di lettura del libro della Valborg, ho trovato un argomento che inizialmente mi ha suscritato qualche dubbio. Anche lei è giunta alla determinazione che il suono è uno stadio intermedio rispetto alla voce, e ritiene che debba subire un processo di dematerializzazione, di spiritualizzazione. E' giusto, allora perché io non lo faccio e non ho neanche mai pensato di farlo? Beh, dopo poco ho trovato la risposta, che riguarda un po' tutto il pensiero didattico di questa scuola. Domanda: come facciamo a far sì che il fiato si evolva artisticamente? Partendo dal parlato ed estendendolo oltre la gamma del parlato comune. In questo modo si crea l'esigenza di una evoluzione respiratoria, in quanto il parlato è già contenuto nel nostro DNA, e solo un principio di economia fa sì che si limiti a una fascia ristretta, per cui il volerlo estendere non contrasta con i nostri principi istintivi. E questa è la filosofia di fondo di tutta la nostra didattica: c'è una esigenza spirituale che ci spinge a intraprendere lo studio di un'arte, la musica e il canto. Nel caso del suono, la Valborg vorrebbe spiritualizzare il suono, ma sulla base di quale esigenza? Facendo come lei suggerisce, diventa una tecnica, e una pratica piuttosto fine a sé stessa, quindi difficilmente sviluppabile. Lei poi fa sempre riferimento all'unità, ma pensare di sviluppare dei segmenti e poi sperare di unificarli resta, a mio avviso, una pratica molto tecnica e che il nostro corpo difficilmente può comprendere e a cui quindi dare agevolmente corso.</p><p>La nostra idea di evoluzione e quindi di sviluppo dei processi di "artistizzazione" della voce (come di altre arti) è che si deve sempre partire da ciò che si vuole ottenere individuando ciò che impedisce quel risultato e mettendo in opera esercizi che suscitino un'esigenza fisica che sblocchi gli elementi che impediscono il risultato atteso. Nel caso del suono vocale, cioè di una vibrazione fisica sonora, è evidente che si tratta di una emissione spontanea e piuttosto rozza (ma questo è anche un dato molto soggettivo). Siamo d'accordo che in un procedimento teso a un risultato artistico, esso vada raffinato, ma non in quanto suono slegato dal suo risultato ultimo, la voce parlata-cantata, bensì proprio dall'essere trainato dall'esigenza di avere una voce richiedente sfumature, colori, caratteristiche musicali ed espressive molto raffinate. Cioè anche l'idea di poter agire sul suono ed elaborandolo personalmente, ritengo ci sia un certo grado di presunzione. Lasciamo fare al nostro corpo e alle nostre elevate potenzialità di perfezione. E in questo senso mi riferisco anche ai tanti aspetti su cui insiste la Valborg nella "frantumazione" delle pratiche educative (ma lei dice fin dall'inizio che non si deve "educare" la voce... mi sarebbe piaciuto capire meglio cosa intendesse), tipo lavorare sulla tripartizione della lingua, e anche dei muscoli del viso, su cui sono abbastanza d'accordo, ma non c'è bisogno di "assumere a coscienza", come lei scrive, ogni muscolo, bensì permetterne lo sviluppo migliorando la pronuncia, che richiede l'uso di quesi muscoli. </p><p>Facendo ancora riferimento a quanto scrisse la Valborg, ho meditato su un possibile equivoco, e cioè considerare dualistico il rapporto tra suono e voce. Per la verità io spingo molto a considerare come separati questi due elementi, dove a noi il suono non deve interessare, però è chiaro che non ci può essere una reale divisione. Il motivo per cui ne parlo come entità separate sta nella tendenza, molto accresciuta in questi ultimi anni, a premere o spingere sul suono (a causa della tendenza delle altre scuole a considerare il suono o voce internamente), il che può solo creare problemi. La realtà è che il suono è da considerare come il primo stadio di un processo evolutivo che si sviluppa nello spazio fino al suo punto focale massimo, che è esterno alla bocca. Non è da pensare in termini temporali, tutto avviene pressoché istantaneamente, però questo processo è di tipo dematerializzante, cioè dallo spazio appena superiore alle corde vocali, dove per l'appunto si forma il primo suono, del tutto anonimo e possiamo dire anche rozzo, grossolano, al punto focale esterno, c'è una perdita di materia, mentre cresce l'energia, la ricchezza timbrica, la velocità e ovviamente si perfeziona il significato. Tra il punto d'origine e il punto focale, c'è un sottilissimo legame relazionale, ma non deve essere concepito come un legaccio, come una corda o altra congiunzione forte e rigida, bensì come un raggio quasi inconsistente ed elastico. E' la voce che si alimenta, che "esige" una determinata materia cui attingere per dar vita alla parola o anche solo alla semplice vocale, quindi possiamo pensare al processo non come diretto dal fiato verso la parola, ma al contrario, cioè la parola che richiede, e ottiene se le premesse sono corrette. cioè di cui ha bisogno. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-85356312861810373312023-03-08T14:03:00.001+01:002023-03-11T20:00:39.926+01:00Valborg Werbeck<p> Grazie alla segnalazione di un lettore, ho potuto conoscere un testo che fin ora ignoravo: "La scuola del disvelamento della voce", di questa cantante svedese. Non ho perso tempo ad acquistarlo e leggerlo soprattutto perché ho subito notato il riferimento al grande antroposofo Rudolf Steiner. Ho poi anche appreso che esiste una scuola di canto, diciamo un metodo, intitolato a lei, e su youtube ci sono alcuni riferimenti a lei e alla sua scuola, che però mi pare perlopiù indirizzata a insegnamenti collettivi e di tipo terapeutico.</p><p>Dalla lettura ho tratto interesse ma anche forti perplessità. Non saprei se consigliarlo; il fatto che ci sia stata questa vicinanza con Rudolf Steiner, il quale ha approvato la sua scuola come inerente il mondo dell'antroposofia, è sicuramente positivo; anche diverse altre cose, di cui scriverò, non solo sono condivisibili, ma addirittura combaciano con alcune mie riflessioni e con le risultanze della mia scuola. Purtroppo ho trovato diversi aspetti assenti, poco o nulla fondati e alcuni anche molto discutibili. </p><p>Comincerò col dire che trovo fondamentale, giusto e di sollievo che in un libro sul canto si parli ripetutamente di arte e di spiritualità, prendendo le distanze da ogni insegnamento meccanicista e materiale. Ciò che secondo me manca un po', in questa ottica, è un contributo più chiaro e specifico su cosa sia l'arte. Però, nella cornice steineriana, non potevano mancare i riferimenti all'unità, altra cosa fondamentale, che non ricordo aver letto su molti altri trattati o testi sulla voce. Dall'universo steineriano, poi ci sono frequenti riferimenti alla tripartizione, e qui le cose incominciano a complicarsi. Mentre l'ho trovato interessante per un lato, mi perplime da un altro la divisione in tre parti della corda vocale e della lingua, mentre non capisco perché manchi il fondamentale studio sulla tripartizione fiato-laringe-articolazione (ovviamente da unificare).</p><p>Sono contento che abbia precisato che l'insegnamento del canto può solo passare attraverso la frequentazione di un insegnante, e che sostanzialmente un libro non può insegnare. Come sempre, non può fare a meno di indicare molte attività pratiche, che rischiano di portare confusione ed errori anche non lievi!</p><p>Un altro elemento di similitudine con la mia scuola è il fatto di considerare come due entità il suono e la voce. Per la verità nella prima parte del libro c'è tutto un discorso su "nota" e "suono", che mi ha lasciato un po' perplesso, ma credo che ci sia difficoltà a comprendere a pieno a causa della traduzione dal tedesco, che infatti è segnalato nella prefazione. Il problema, grosso, è tutto un percorso che la Valborg descrive, per purificare il suono. Come sanno i miei allievi e lettori, sono quanto mai propenso a parlare di "purificazione", quindi di avvicinamento alla spiritualità e di dematerializzazione, però non con queste strane teniche. Questa è stata la fase che più mi ha lasciato meravigliato e confuso. Intanto il fatto di generare il suono con il discutibilissimo "NG", per cui come se si cantasse a bocca chiusa, che ho ampiamente dimostrato essere un metodo pessimo, portatore di problemi. Inoltre la cosiddetta "purificazione" passerebbe per strane tecniche che porterebbero la voce sopra la testa. Spiacente ma tutto questo non è stato svolto con sufficienti criteri e aspetti di fondamento che mi possano far capire i perché di tutto ciò. Peggio ancora la fase seguente, detta "espansione", dove lo stesso suono verrebbe indirizzato alle orecchie, internamente. </p><p>La Valborg non fa mistero, e in questo siamo assolutamente sulla stessa onda, di non gradire l'intervento della scienza nell'insegnamento del canto. Ciononostante fa minuziose analisi della lingua e delle corde vocali, e infine spiega che il percorso è tutto basato sui muscoli, e che bisogna prendere coscienza di singoli elementi anche interni. Ritengo, pertanto, che ci siano non poche incoerenze.</p><p>Non sappiamo granché di come cantasse; una registrazione del 1905 presente su YT è relativa al suo primo periodo, prima che intraprendesse il percorso con Steiner, quindi è di scarso interesse. Non so se abbia cantato in italiano, ma ne dubito, considerando che nel libro lei si rifà anche a vocali non italiane; sono contento però che dia un risalto particolare alla "A". </p><p>Altri punti oscuri: il plesso solare (quindi non il diaframma) lei lo indica come un elemento riflettente. Tutto il capitolo sul fiato; sono d'accordo che il respiro vada unificato, ma nella sua abituale suddivisione in diaframmatico e costale, mentre lei fa un riferimento alla respirazione epidermica, che esiste senz'altro, ma ho tanti dubbi su un suo ruolo attivo. E comunque non mi pare che consigli di unificare diaframmatica e costale, mentre resta legata alla diaframmatica, quindi mantenendo in vita una separazione, e anche questo mi pare contraddittorio. Alla fine scrive che non ci si deve accorgere della respirazione! Ah, meno male. </p><p>Entra nel campo della parola, ma troppo poco. Anzi, all'inizio, lei "spara" contro il canto "parlato". Cosa significa non l'ho capito, ma non mi è piaciuto, Si intuisce che accenna a questo nel quadro di un canto "materiale", ma non è sufficientemente chiarito e induce a ulteriore confusione. </p><p>Ho trovato piuttosto interessanti i suoi riferimenti all'orecchio (tranne quelli che vorrebbero far uscire la voce da lì!).</p><p>La sostanza del suo pensiero, da cosa ho potuto capire, è che i bambini hanno una vocalità ottima e che la pèrdono perché nessuno ha loro insegnato a cantare bene. Anche questo non è chiaro. Se cantano bene, cioè naturalmente, che bisogna ci sarebbe di insegnare? Se lo perdono è perché la vita li porta a cambiare. E che cosa è che li porta a cambiare? Un mutamento delle condizioni fisiologiche del corpo, nonché mutamenti socio-psicologici. Ma la cosa buffa che si dovrebbe evincere, è che dovrebbero essere i bambini ad insegnare ai loro compagni un po' più grandi a mantenere quello status vocale, la qual cosa però è quasi certo che non possa funzionare, perché i bambini sono inconsapevoli di come cantano (che poi mica tutti cantano bene), e non si può fare granché per fermare la muta, che è in gran parte responsabile delle difficoltà che subentrano nel canto. Non per nulla fu inventata quella barbara pratica della castrazione. </p><p>In conclusione, ritengo sia un libro interessante sul piano filosofico, ma decisamente da non seguire sul piano teorico-pratico, per carenze conoscitive e voli pindarici non suffragati da chiarimenti oggettivi e fondamenti accuratamente svelati. Sicuramente nei prossimi giorni farò alcuni commenti relativi a specifici argomenti che mi hanno sollecitato dalla lettura di questo libro.</p><p><br /></p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-32480551542815752392023-03-01T00:02:00.002+01:002023-03-11T20:01:40.437+01:00Della pressione<p> In fondo tutto il problema della vocalità lirica gira attorno a questo tema: la pressione. Cosa sono l'appoggio, i registri, la gola larga, la laringe e il palato su o giù... se non un problema di pressione del fiato? Soltanto che questo apparente problema è come guardare il cielo con un cannocchiale rovesciato. E' stato ampiamente sperimentato e osservato scientificamente che di fiato per cantare ne basta pochissimo. Naturalmente anche in questa osservazione c'è un errore di fondo, cioè confondere la quantità con la qualità, ma a parte questo, posso anche dire che di pressione per un canto di alta qualità ne basta pochissimia. E invece è tutto il contrario. Come mai? La pressione c'è ed è anche piuttosto elevata, quanto più si cerca di cantare forte e di affrontare le note acute. Non si comprende che il nostro corpo non conosce il canto operistico e tende a confonderlo con lo sforzo. Il nostro corpo è programmato per affrontare sforzi di vario tipo. E' evidente a chiunque che nel momento in cui facciamo uno sforzo, tipo sollevare un peso, ma anche solo piegarsi in avanti e riprendere la posizione eretta, o anche fisiologicamente andare al bagno, la voce parlata non esce più con facilità, in proporzione allo sforzo che si compie. Se lo sforzo è notevole, la gola risulta del tutto chiusa. Quindi, semplicemente, per il nostro istinto il canto lirico è assimilato a uno sforzo, che solo in virtù di un processo di tolleranza, tende a diventare più dolce e meno aggressivo nel tempo, ma non per tutti. Ci sono stati e ci sono tutt'ora cantanti che si fanno quasi un vanto di cantare con fatica, vincere una opposizione. Pensate che coerenza: voler esercitare un'arte affrontando una guerra col proprio corpo. Però questo ha trovato e trova estimatori in chi vede i cantanti, soprattuto tenori e baritoni e soprattutto nelle opere più truculente, come eroi che devono lottare e vincere contro "il nemico"... ma ha senso che il nemico sia il proprio corpo? Dunque la verità è che noi dobbiamo considerare l'idea di abbassare il più possibile la pressione, perché è lei che causa i maggiori problemi e difetti, e questa fu una delle ultime affermazioni del m° Antonietti, cioè cantare piano e pianissimo, proprio per non suscitare aumento di pressione, finanche a passare al falsettino. Non che dal dire al fare non ci sia di mezzo il mare. La tendenza ad alzare l'intensità è sempre presente, e pressioni e contropressioni ci attirano e facciamo fatica a evitarle. Il vero parlato, quello quotidiano, ha sempre la pressione giusta, però quando usciamo dalla zona consueta della gamma dove esplichiamo il parlato, tendiamo a perdere l'incisività, la verità comunicativa. Non riusciamo più a dire "A", "E", "I", "O", "U", e tutte le sillabe e le parole. Allievi ancora dopo anni non riescono a pronunciare in modo esemplare in zone desuete, come l'acuta.Ci vuole una concentrazione che a volte sempre disumana. E invece è propria dell'uomo, ma ci costa tantissimo, però è l'unico mezzo se vogliamo raggiungere un obiettivo artistico davvero elevato. </p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-6984395858788134632023-02-21T12:25:00.000+01:002023-02-27T19:17:28.625+01:00La forza vitale<p> Da un interessante breve documentario, apprendo che il celebre fisico Tesla, da un lato, e il grande antroposofo Rudolf Steiner dall'altro, sono arrivati a una medesima conclusione, e cioè che la scienza non ha compreso che l'energia non è solo quella elettromagnetica che prende normalmente in considerazione, ma esiste una energia più "sottile" a cui è stato dato il nome di forza vitale. La questione è un po' la stessa che riguarda materia e spirito, infatti di queste energie si sono occupati e si occupano tutt'ora, le filosofie (pratiche) orientali. Si pensi ad esempio all'agopuntura e alla digitopressione, ma anche più semplicemente alle discipline respiratorie contenute nelle pratiche di tutte le varie scienze tipo Yoga. In un certo senso posso dire che la nostra scuola di canto può raggiungere esiti simili, cioè "togliendo", raffinando, purificando, dematerializzando, possiamo conquistare quella condizione eterica per cui la voce può correre, espandersi, penetrare in ogni anfratto e anche nell'anima delle persone, e non accontentarsi di percuotere solo fisicamente i sensi. Consideriamo che come le onde elettromagnetiche, anche i suoni sono vibrazione, dunque sono fisici, materiali; tutto ciò che è fisico, incontrando altra materia, incontra opposizione, resistenza e quindi interferenza e problemi, dove uno dei due oggetti, voce e ostacolo, o entrambi, ne subiranno delle conseguenze. La voce, pur essendo in origine suono, può aspirare a una dimensione di energia eterica, dunque pressoché priva di materialità, quindi che penetra, attraversa la materia senza interferenze, senza resistenza, dunque non perdendo le caratteristiche potenziali e non creando problemi in ciò che incontra. Questo a cominciare dalla fonte emittente, cioè dagli apparati stessi del corpo. "Togliere" e "liberare" sono le due parole chiave che utilizzo maggiormente nell'insegnamento; saranno banali e forse anche scontate, ma ci sono i criteri e i fondamenti per poterne dare concreta realizzazione. La voce artistica, cioè svincolata, proiettata realmente nello spazio senza interferenze fisiche, cioè senza resistenze, ostacoli, opposizioni da parte del corpo, assume all'ascolto caratteristiche fantastiche, di pura energia, che lascia attoniti per la purezza, la ricchezza, la pienezza, l'omogeneità e la verità che promana. La straordinarietà è che chi canta con questa libertà, quasi non si accorge di cantare, talmente la voce procede nello spazio quasi indipendentemente, con un distacco e una autonomia da sembrare magici, impalpabili. Però quel "togliere", quel quasi non far niente, ai cantanti non sempre piace, e risulta una condizione che non è immaginabile e che a molti può parere una mancanza di impegno e di partecipazione. In realtà l'impegno c'è e pure la partecipazione, ma non sono fisici, non sono corporei, e in un certo senso neppure mentali, esclusa la concentrazione, perché è un impegno più profondo, che quasi non si avverte al livello sensoriale più superficiale. Però è un risultato che richiede tempo e che, ripeto, non tutti sono disposti ad accettare.</p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-37431600.post-48389455925711534272023-02-09T12:23:00.002+01:002023-02-27T19:18:46.229+01:00La conquista della libertà<p> Leggevo poco fa un post su un "social" dove si diceva: "l'arte è la scienza della libertà, ecco perché siamo tutti artisti". Costui intenderebbe dire che siamo tutti liberi? Mi pare sia un grande sogno e che l'umanità in genere sia molto ma molto lontana da un ideale di libertà! Siamo, a mio parere, schiavi di abitudini (pensiamo solo alla dipendenza dall'orologio e dal cellulare!), di plagi, di convenzioni, e purtroppo anche del potere di alcuni. Posso dire che la frase è condivisibile, dal punto di vista potenziale. Tutti "possiamo" essere liberi, perché in noi c'è l'anelito alla libertà, e ci sono le possibilità di conquistarla. La Storia è piena di grandi uomini che hanno lottato e si sono dedicati strenuamente non solo a conquistare la libertà, ma anche a diffondere strumenti affinché altre persone possano rendersi liberi. Le vie possibili sono tante, ma il tratto distintivo è quello dell'arte. Quando si parla di arte c'è la tendenza, avvalorata da definizioni e indicazioni culturali non proprio corrette, di pensare alla pittura e scultura, poi alla musica, alla letteratura e a poco altro. Per contro c'è una diffusa tendenza a dichiare artistico ogni esibizione originale e fuori dagli schemi tradizionali. Anche questo è un sistema erroneo per confondere le acque e far passare per valido anche ciò che non ha alcun valore, e questo purtroppo è l'arma più affilata dell'ego. Convengo che l'arte sia conquistabile pressoché da chiunque, e possa riguardare qualsiasi attività umana, ma quella conquista è possibile solo da pochissimi, perché richiede un percorso di conseguimento di enorme difficoltà, che necessita quindi di uno spirito di sacrificio non comune, e quindi di un'esigenza di conquista straordinaria. Il canto, già a partire dalla vocalità, possiede questa possibilità in nuce, ma colgo sempre più essere un miraggio che una concreta possibilità, non perché le persone si sottraggano all'impegno necessario, ma perché è carente il "fuoco" interiore che spinge a superare qualsiasi ostacolo pur di raggiungere la meta. Però non so quanto questo sia un "peccato", o piuttosto una opportunità, perché solo in rari casi l'arte conquistata si dimostra realmente illuminante e gioiosa come è comunemente inteso. L'uomo è sempre più preda dei vizi, abitudini, modi di vivere di una società malata, la quale però ci mostra, accanto ai suoi peggiori effetti, gli aspetti più confortanti (che possiamo sintetizzare con: la vita comoda - mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione e diffusione, abitazioni e edifici di ogni genere, elettrodomestici e strumenti di lavoro meccanici, ecc.) che ci spingono verso una bambagia in cui crogiolarsi e a cui non riusciamo a rinunciare. (si veda il fatto che oggigiorno non vediamo più cortei, manifestazioni, proteste, rivoluzioni come un tempo contro ingiustizie e provvedimenti antidemocratici). In realtà non è che dobbiamo rinunciare realmente, ma è come se lo dovessimo fare, cioè dobbiamo eliminare quell'attaccamento a valori materiali e di possesso che ci rendono schiavi. Liberati dall'ego e dai legami delle abitudini, ecco che deve iniziare la disciplina per arrivare all'arte che ci è congeniale, che a questo punto diventa possibile, ma che è lunga e ci impone altre rinunce e fatiche, più mentali, psicologiche, che altro, che sono per lo più a "togliere", cioè a semplificare, ad alleggerire e a scoprire che il contrario. Quando si enuncia questo programma, tanti si entusiasmano, pensando di avere la forza e le caratteristiche per vincere, e si sentono già vincitori. Ma la realtà è ben altra e diversa e a volte la rinuncia arriva presto, oppure una continua attività che però non raggiunge mai l'obiettivo perché realmente manca un'accettazione sincera di quel traguardo, intuendo che non è propriamente ciò che ci si aspettava e che ci si illudeva di trovare.</p><p>La frase è di <span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt; line-height: 107%;"><i>ASO Joseph Beuys, </i>e l'ho trovata in questa pagina:<i> </i></span><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/la-lezione-di-joseph-beuys-arte-scienza-della-liberta. </i>Ci sono riflessioni sicuramente di un certo interesse, che quindi invito a leggere ed approfondire. </span></p>fabiohttp://www.blogger.com/profile/12224065853060577230noreply@blogger.com1