Uno dei problemi che i trattatisti del canto si sono sempre posti, fornendo varie soluzioni, è stato quello del dosaggio del fiato durante l'emissione. I primi grandi e celebri maestri hanno identificato l'origine della forza propulsiva al petto. Mancini, in particolare, ne parla spesso nel suo trattato, Questo avveniva già in precedenza, mentre successivamente il petto ha perso centralità nell'attività respiratoria, mentre è andato assumendo sempre più importanza il diaframma. Nel primo e nel secondo caso, comunque, questo ruolo ha sempre occupato un posto fortemente attivo. Che fosse il petto o che fosse il diaframma, i maestri han sempre ritenuto che l'uno o l'altro dovessero premere, provocare pressione sul fiato, che poi si ripercuotesse sulla voce.
Una forza esterna al fiato stesso, ovvero ai polmoni, genera una pressione incontrollabile, o comunque difficilmente controllabile, e sempre maggiore rispetto quella effettivamente necessaria. Questa è la causa principale della spinta, che non può che avere ripercussioni negative sulla voce. In particolare questo genera la perniciosa confusione con lo sforzo, cioè quella attività istintiva che si genera quando compiamo determinate attività, fisiologiche (come il parto o la defecazione o il semplice riacquistare la posizione eretta quando ci si piega in avanti, specie se sollevando un peso) o lavorative.
Petto e diaframma non è che non abbiano un ruolo, ma... passivo! Passato un certo periodo di tempo dall'inizio della disciplina, quindi superate le reazioni istintive più violente, quando è consigliabile utilizzare una respirazione diaframmatica leggera, si potrà integrare quel tipo di respirazione con una costale, che significa sostanzialmente aprire le costole e tenere il torace alto e avanzato, omde permettere la massima espansione polmonare, sostenendolo con la muscolatura toracica, ma senza farlo richiudere, il che significa che non ci sarà pressione sul fiato stesso, il quale "galleggerà". Ciò che servirà al fiato per avere la giusta dose di energia, è il polmone stesso, che è dotato di una elasticità sufficiente al bisogno. Perché il suo apporto sia efficace, è necessario che la respirazione avvenga orizzontalmente, cioè tra le due ascelle. Questo comporta una dilatazione del polmone (e del suo involucro), che subito dopo vorrà riprendere le dimensioni iniziali, fornendo una modesta pressione sull'aria, senza le forze squilibrate dell'intera cassa toracica. Quanto al diaframma, come ho spiegato più volte, è importante che non abbia movimenti istintivi repentini. Esso ha un moto regolare che permette ai polmoni, appoggiati su di esso, di mantenere un ampio contatto e di fondare su di esso un efficace appoggio, che non deve essere aumentato, a costo di reazioni molto controproducenti.