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sabato, luglio 30, 2022

Vivere il canto vivo.

 Faccio sempre più fatica ad ascoltare opere e concerti di recente produzione, perché sempre più percepisco la mancanza di vita in essi. Soprattutto nel canto sento sempre più voci "morte"; i cantanti più accorti si rendono conto di questa carenza fondamentale, ma non sanno come riportarla in vita e ricorrono a mezzi artificiosi, meccanici, innaturali, come il vibrato. Il suono non è NIENTE! Produrre un suono, vuoi con uno strumento che con la voce, è solo eccitare un corpo elastico a vibrare; si possono ottenere suoni belli e anche bellissimi, e questo stimola e illude che quello sia un risultato importante, qualcosa che va oltre le nostre pure capacità di comprensione, quindi arte. Invece no, siamo ancora nel campo del puro piacere fisico, quindi l'aria vibrante che eccita i nostri timpani. Per entrare nel regno dell'arte, quindi della comunicazione spirituale, occorre qualcosa di più, dove il qualcosa, però, richiede una capacità di trascendimento di quella vibrazione fisica,. che è il vero duro lavoro di chi vuol ambire a un risultato "vero". Nel canto c'è un mezzo inequivocabile per perseguire quell'obiettivo, e cioè mettere al centro dell'attività canora la parola. La parola vera, che comunica realmente ciò per cui è scaturita all'interno di una situazione e in stretto legame con ciò che precede e ciò che segue. Ci sono cantanti che hanno l'intenzione di "parlare", cioè di recitare, di pronunciare con verità ciò che è legato alla melodia, ma la vocalità non lo consente, il suono è indietro, è disomogeneo, è impuro, ecc. Non basta volerlo, bisogna lavorarci sempre e a fondo, affinché la parola diventi l'artefice della voce intonata o cantata, non solo un elemento della voce. Iniziare e soffermarsi, come accade credo nella stragrande maggioranza delle scuole di canto, sul canto vocalizzato, per poi passare a cantare con le parole cercando di adattare quest'ultime al vocalizzo, è impedire di fatto ogni possibilità di rendere la voce vera, cioè togliere da essa il principio basilare e fondamentale, quello comunicativo. Ma il problema nasce anche da coloro che vogliono cantare, perché sono ammaliati dalla voce in quanto suono, o bel suono, "impostato", falso ma bello, strumentale, quindi parziale, imperfetto, fine a sé stesso. In tanti anni di insegnamento, ho esperienza che gli allievi si innamorano di alcuni propri suoni e non arrivano mai a "dire", si fermano alle vocali, cioè a niente, perché le vocali, per quanto belle, non dicono niente, così come i suoni. Si possono arrivare a fare gli intervalli, che muovono emozioni e sentimenti, ma noi umani possiamo fare un passo avanti importanti, cioè far evolvere la parola da puro, semplice parlato, a un parlato musicale di grande spessore, altezza, cioè unire la vera poesia, l'amore, la passione al movimento musicale, cioè al moto della coscienza. Ma chi possiede questa umile e fondamentale capacità? Si vive per l'apparenza, per il celebrare, il mostrare, ma quello non è vivere, nel migliore dei casi è sopravvivere, però lo sforzo di entrare nel mondo artistico con coscienza appare troppo grande. A parole tutti lo vogliono fare, nei fatti manca il fuoco, manca l'energia e la conoscenza interiore che spinga verso quel risultato, indipendentemente dal poterla ottenere realmente, perché le possibilità purtroppo sono comunque scarse; però il solo fatto di volerci entrare e mettere in moto tutte le strategie, il che vuol dire dedicarvici con tutta l'anima, già può condurre a un canto di qualità molto più elevata del comune sentire.

giovedì, luglio 14, 2022

L'acuto "passato"

 Ho supersintetizzato il titolo di questo post, che doveva essere: "gli acuti dei tenori col "morso" all'indietro". Oltre che lungo sarebbe stato anche incomprensibile. Capita ormai da una ventina d'anni, prima credo mai, che i tenori per emettere gli acuti facciano una sorta di "morso" all'indietro, cioè: https://youtu.be/VS1WRddhsSE?t=162

come si vede in questo video, nel momento in cui il tenore prende il salto dalla nota base all'acuto, compie una sorta di arretramento per poi lanciare l'acuto verso l'alto. Il qui presente Fabio Armiliato è stato il primo che ho visto ricorrere in modo così evidente a questa "tecnica", orribile anche solo per il risultato fonico, cioè invece di udire un normale intervallo musicale, si sente una dilatazione, una fermata e un'aspirazione del suono verso il palato posteriore. Recentemente lo sento fare da tantissimi tenori, compreso Meli. Perché viene fatto, che vantaggi può avere? 

Man mano che si procede verso la zona acuta, i suoni aumentano il loro peso, ovvero la pressione del fiato che deve vincere la resistenza delle c.v. Questo aumenta anche la reazione dell'istinto che stimola la risalita, anche molto energica, del diaframma, che può diventare incontrollata e portare alla stecca. Allora ecco che si inventano le "tecniche" per evitare la figuraccia. Una delle modalità che si sono escogitate è l'affondo, ovvero il premere fortemente la laringe verso il basso. Siccome la laringe è strettamente legata al funzionamento respiratorio, essendo la valvola dei polmoni, premere in giù la laringe costringe anche lo stesso diaframma a rimanere abbassato e questo può permettere di fare l'acuto senza il pericolo della stecca. E' una forzatura innaturale della fisiologia respiratoria e ovviamente una misura del tutto antivocale. Inoltre richiede una notevole resistenza da parte della laringe e delle stesse c.v., che devono resistere a una pressione enorme. Per questo motivo ci vuole parecchio tempo di allenamento, aspettare che la muscolatura si sviluppi (il che poi non consentirà più di lavorare su mezzevoci e piani-pianissimi) e potrà dare alcuni problemi fisici sia verso l'alto che verso il basso. L'unico dato migliore, rispetto a quello di cui sto parlando, è che l'intervallo ascendente verso l'acuto (ad es. Sol-Do) può essere pulito, cioè non non bisogna ricorrere a "sirene" (benché lo si faccia durante lo studio e qualcuno ha continuato a farlo anche nel canto vero e proprio) e strane meccaniche mandibolari e faringee. 

Nella tecnica che vediamo nel video, non possiamo parlare di un vero affondo, ma di una suddivisione della gamma vocale in due settori: il settore centro-grave, dove si canta "normalmente" (nel caso presente molto ingolato); quando si sta per lanciare un acuto, si irrigidisce la mandibola, si apre la gola verso il dietro e si lancia l'acuto verso l'alto (quindi nel palato molle). In pratica si è bloccata, anche in questo caso, la laringe, però invece di premere verso il basso, si è creato un blocco servendosi della mandibola e della muscolatura vicina. E' meno gravosa dell'affondo, ma peggiore sul piano sonoro. E' chiaro che sono tutti sistemucci pessimi per cercare di scansare i problemi istintivi, che nessuno riconosce, con artifici che danno anche orribili risultati sul piano vocale e musicale. Ma alla gente piace così, sentite che applausi...! Quindi tutto ok! Le scorciatoie danno risultati più rapidi e sicuri, e qualche inconveniente non è la fine del mondo, specie se la gente manco lo sente...

PS: chi trovasse "decenti" gli acuti del video su riportato, deve fare una cura pesante di revisione uditiva.

martedì, luglio 05, 2022

Le divergenze parallele2

 Se voi chiedete a una donna, non cantante, di parlare di falsetto, noterete che solitamente incontra difficoltà a pronunciare correttamente e si riscontrerà una voce poco gradevole e priva di mordente. Il motivo fondamentale, che ho cercato di spiegare nel precedente e in molti altri post, è che il fiato non è predisposto ad alimentare abitualmente questo registro, che serve in occasioni meno frequenti e durature. Non è predisposto significa che non ha l'energia sufficiente e soprattutto salendo creerà una pressione sul diaframma che non è disposto a sostenere e che quindi reagirà esercitando una contro-pressione verso l'alto che causerà varie difficoltà e difetti. 

Cosa succede a questo punto? Che o si cerca di continuare a parlare, ma forzando e mantenendo il registro di petto, (cosiddetta fonazione "aperta") o si rinuncia e si fa un passo indietro, cioè ci si accontenta dei suoni, passando soprattutto ai cosiddetti suoni "coperti". Questi sono interni e da un lato peseranno meno proprio perché il "tubo respiratorio" risulterà più corto e dall'altro lato risulteranno più fattibili perché il suono oscurato pesa un po' di più e quindi faciliterà il mantenimento della posizione bassa del diaframma e quindi di maggiore appoggio. Ma naturalmente si tratta di un compromesso; la voce sarà gestibile e incontrerà meno difficoltà, ma sarà, perlomeno in tutto il settore di falsetto, decisamente meno valida, incompleta, disomogenea. Qualunque voce risulterà disuguale fin quando le due linee simboliche che ho disegnato nel post precedente non si sovrapporranno, diventando una linea sola, esterna. Come si perviene a questo meraviglioso risultato, punto focale di una vocalità perfetta, realmente artistica?

Dunque: 1) il nostro fiato fisiologico non è predisposto ad alimentare nello stesso modo il petto e il falsetto-testa, perché nella nostra vita di relazione non utilizziamo le due modalità nello stesso modo, quindi non c'è motivo perché ciò accada e nell'affrontare il settore centro-acuto, questo risulterà carente. Questa carenza è legata al fatto che la nostra evoluzione umana ha riguardato il parlato, ma non il cantato su larga scala, per cui per poter raggiungere quel risultato cui ho puntato, è necessaria una integrazione evolutiva, cioè far sì che il fiato sviluppi la possibilità di alimentare il settore centro acuto della voce con l'energia adeguata a renderlo omogeno con quello centrale. Naturalmente questo è un compito arduo in quanto il settore centro acuto è in ogni modo più impegnativo e inoltre perché è un intervento che agendo sul fiato provoca la reazione dell'istinto che non può tollerare che si cerchi di modificare il funzionamento di una risorsa di primaria importanza vitale qual è il fiato respiratorio. 

2) quali mezzi abbiamo per raggiungere quell'insperabile risultato? principalmente uno, con alcuni altri stratagemmi collaterali. Parlare! Ovviamente c'è da chiarire che non basta quel parlato sciatto e impreciso che utilizziamo solitamente nella vita di relazione. Occorre lavorare di fino, come coloro che studiano dizione e recitazione. Questo è già uno stimolo per sviluppare un fiato più avanzato, come sanno appunto coloro che si sono dedicati a questo studio. Però fin dalle prime lezioni, si può cominciare a intonare, quindi unire il parlato al cantato, dove questi esercizi devono essere brevi, su una, massimo tre note, dove l'aspetto su cui puntare l'attenzione deve essere l'assoluta nitidezza e verità della parola.

Riferendoci specificatamente al mondo femminile, il parlato in zona falsetto può quasi risultare un cominciare da zero. Qui può essere d'aiuto il ricorrere a un parlato "infantile". Solitamente questo facilita il compito. Richiede molto tempo, tanta pazienza, concentrazione nell'ascoltare e nel maturare una capacità di riconoscere se ciò che si sta facendo è corretto. Il maestro ci corregge, ma piano piano bisogna capire se quel che facciamo è valido o meno e tentare di correggersi. Si chiama coscienza, ed è l'obiettivo fondamentale da raggiungere. 

Ci sarà poi un grande passo, tra la seconda e terza fase educativa (quindi parliamo di anni di studio). L'abolizione dei registri. Il che vuol dire che anche nel centro grave avremo una vocalità non esclusivamente di petto e fino al Do4 ci sarà una graduale collaborazione del petto. Non gradisco il termine "misto", che poi nei manuali è indicato come esistente nel tratto Fa3-Do4, mentre noi lo prevediamo fin dal Si2. La nostra scuola intende tutto il tratto dalle note gravi fino al Re4 come emesso da una corda unica, dove le modalità di vibrazione intrinseca-estrinseca collaborano per tutta l'estensione (ovviamente non più dopo il re4, che risulterà solo testa). Questo modifica profondamente anche la timbratura vocale; quando le cantanti raggiungono questo traguardo, quasi si spaventano, perché le note basse con l'apporto di un cospicuo falsetto non risulterà così netto come è il petto puro, e le note del tratto Fa3-Do4, non risulteranno così chiare e deboli, ma il tutto risentirà non poco della presenza del petto. La voce, a fronte di un apparente gran consumo di fiato (illusione che lentamente sparirà), risulterà molto sonora, piena, fortemente appoggiata e dotata di una perfetta intonazione e soprattutto pronuncia. Anita Cerquetti è andata molto vicino a quanto vado dicendo e dunque offre un buon esempio.

domenica, luglio 03, 2022

Le divergenze parallele

 Come ho cercato (forse inutilmente) di spiegare in tanti post, il parlato, e dunque quel settore della voce (detto "registro") preposto alla comunicazione verbale abituale, suona esteriormente alla bocca delle persone, e questo perché solo in tale condizione l'articolazione e l'espansione sonora risulteranno complete ed efficaci. Quindi gli apparati e il sistema respiratorio funzionano in tale prospettiva ma al "minimo", cioè facendo spendere al corpo la minor quantità di energia possibile. Quest'ultimo aspetto è fortemente soggettivo, vale a dire che le condizioni sia acustiche del corpo (e questo dipende dalle forme degli apparati, dalle volumetrie, ecc.) sia energetiche, costituiranno situazioni molto diverse da soggetto a soggetto, per cui ci saranno persone dotate di voce forte, molto sonora, bella, modulata, anche estesa, e persone con voce povera, sgradevole, corta. Poi subentrano, e non è poca cosa, condizioni psicologiche, lavorative, ambientali, familiari, culturali, ecc. Da ciò si evince che ogni caso è a sé stante, ma ciò nonostante si può affermare che comunque la voce (e il relativo registro) parlata è quella più facile, e in ogni caso, escluse possibili patologie o difetti congeniti o traumatici, essa suonerà esternamente. 

Il canto effettuato nel settore della voce parlata risulterà comunque meno facile rispetto al parlato, perché l'intonare e il prolungare l'emissione delle vocali costituirà un aumento di impegno respiratorio. Pur mantenendosi il canto nel settore cosiddetto "di petto", salendo verso gli acuti l'impegno aumenterà a causa della progressiva maggior tensione delle corde vocali, Pur essendoci in genere un rapporto tra la struttura di queste, la capacità respiratoria e la muscolatura di supporto (soprattutto il diaframma), la facilità o meno di salire verso le zone più acute, sempre in registro di petto, ha ampi margini di soggettività. Si può dire grossolanamente che le voci leggere salgono più facilmente e le voci più sonore meno, però le voci più gravi hanno solitamente maggior estensione. 

Ma veniamo a un secondo punto: la voce di falsetto-testa. La produzione di questa modalità vocale è determinata da una vibrazione parziale delle corde vocali e, per questo motivo, da una loro maggior tensione. Inoltre la parte vibrante è formata da fibre connettivali, e non da tessuti muscolari come avviene nella vibrazione "di petto", che sono più resistenti, ma anche duttili. Da ciò ne deriva che anche solo parlare in modalità "di falsetto-testa" risulta più impegnativo per il fiato e richiede maggiore energia. Qualcuno (maschio) obietterà che in genere il falsetto risulta molto facile, ma qui si presenta il solito equivoco, cioè confondere il falsetto-testa, cioè l'effettivo settore centro acuto della voce, con il cosiddetto "falsettino", che altro non è che il primo armonico della voce, ovvero un'emissione vocale priva di vibrazione, ottenuto tramite lo sfioramento del fiato sulle corde atteggiate in registro di petto ma non perfettamente addotte, insomma una sorta di "fischio" ottenuto anziché dalle labbra dalle c.v. Naturalmente il falsettino o armonico non può produrre il cosiddetto appoggio, cioè la pressione del fiato è quasi nulla, per cui non si può definire un registro cantabile, se non per effetti particolari, e il fatto che possa avere una qualche sonorità è solo dovuta al fatto che si trova in un range sonoro più acuto e quindi più udibile rispetto alla nota fondamentale (il primo armonico si trova un'ottava sopra la nota fondamentale). 

Parlando invece del vero falsetto (è corretto definire "testa" solo la porzione di estensione oltre il Re4), per quanto detto prima, costituisce un impegno abbastanza considerevole anche nella sua zona più bassa. Qui bisogna fare un distinguo, importante, tra voci maschili e femminili. 

Le voci maschili trovano equilibrio di emissione con il falsetto salendo oltre un'ottava dalle proprie note centrali; il basso dal Reb3, il baritono dal Mib3, il tenore dal Fa3 e il contraltino dal Fa#3. Raggiungono queste note, quindi, con una energia già piuttosto elevata, e provando a cantare in falsetto su queste note, incontreranno una notevole difficoltà, specie all'inizio dello studio, solitamente, però dal momento in cui riescono a emettere suoni in questo registro, questi risulteranno piuttosto forti, sonori, timbrati, e l'eventuale spoggio che dovesse verificarsi, sarà alquanto evidente. Lo spoggio sugli acuti nelle voci maschili è frequente e comporta grossi problemi; la voce risulterà difficilmente gestibile, decisamente sgradevole e andrà incontro a rotture e stonature. 

Parliamo invece delle voci femminili: Le donne, soprattutto i soprani, incontrano il falsetto nella zona centro-grave, cioè dal Fa3, però quasi tutti i soprani, soprattutto per induzione da parte degli insegnanti, tendono a cantare di falsetto anche diverse note al di sotto di questa. Ciò comporta che quando devono per forza utilizzare il petto (ma spesso non lo fanno, forzando in modo assurdo il falsetto, che comunque risulterà impotente a fornire una corretta emissione), esso risulterà eccessivo, rozzo, sgradevole e comunque disomogeneo. Credo di parlare della stragrande maggioranza delle voci femminili, che sono in rari casi presentano un settore centrale davvero omogeneo. Il problema fondamentale è che il settore più proprio del falsetto femminile (tra il Fa3 e il Do4) si presenta quasi sempre privo di appoggio (per le stesse ragioni che ho spiegato più sopra), per cui debole piuttosto "vuoto", ma, a differenza delle voci maschili, non si rompe, si mantiene gestibile e piacevole. Il motivo fondamentale di questa carenza è dovuto al fatto che istintivamente non è un registro di voce parlata. Ho il sospetto che un tempo le donne parlassero in voce di falsetto, ma è una mia ipotesi, poco suffragata da dati oggettivi, e in ogni modo è poco importante. Il fatto è che oggi uomini e donne parlano di petto, salvo questioni personali. Il nodo della questione quindi è che mentre le note più consone al registro di petto, dove si parla, suonano abitualmente esternamente, e ci permettono una valida articolazione e una certa facilità di emissione anche di un canto leggero, il falsetto-testa, per il maggior impegno che richiede, tende a suonare internamente (senza contare ciò che fanno fare gli insegnanti). Quindi le due linee del petto e del falsetto si trovano parallele e divergenti. Questo è il motivo fondamentale per cui per le donne l'articolazione delle parole è così difficile da praticare. Inserisco una grossolana raffigurazione di quanto ho scritto, poi interrompo e proseguo in altro post, per non farlo troppo lungo.