Translate

giovedì, dicembre 31, 2015

Posizione e registri

Tento ancora una volta di descrivere un fenomeno fondamentale nell'acquisizione di una vocalità artistica di alto livello. In fondo si tratta dei due obiettivi fondamentali: intensità vocale (sonorità) e omogeneità, cui se ne riallacciano altri di non poco conto: possibilità di ogni sfumatura dinamica e cromatica, agilità, precisione e cura espressiva. Contrariamente a quanto vogliono affermare diverse scuole di canto "moderne", cioè dissimilmente da quanto si faceva fino a un Secolo fa, poco più o poco meno, la possibilità di un voce veramente sonora, veloce, espansa nell'ambiente in cui si canta, è legata alla posizione avanzata ESTERNA, anteriore e NON interiore. Qualunque sia il modello e comunque lo si intenda, quando la voce è dentro, è arretrata, indietro, quindi non può dare il meglio di sé e produce difetti e carenze. La posizione anteriore però NON è mai da intendersi in senso pressorio, cioè la voce non va mai spinta, mandata fuori con forza, pressione. Ripeto che è fondamentale distinguere (non in senso divisorio ma di evoluzione) il SUONO dalla VOCALE. Il suono nasce internamente; la sua evoluzione qualitativa acquisisce lo status di vocale, da cui VOCE, pertanto quando ci riferiamo alla voce la intendiamo come produttrice di vocali perfette. Ancor più precisamente, la vocale deve NASCERE fuori dalla bocca, non muoversi dall'interno verso l'esterno, perché questo provocherebbe spinte, schiacciamenti e quindi errori. Salvo rari casi di privilegio vocale, la posizione esterna della voce è molto ma molto difficile da acquisire compiutamente. Quando ciò avviene, si focalizza in un unico spazio esterno la pronuncia di tutte le vocali, pure e impure.
L'altro punto, miraggio per tantissimi cantanti, è l'assoluta omogeneità vocale in tutta l'estensione, il che significa annullamento dei registri. Non starò qui a rispiegare per la millesima volta cosa sono o si intende per registri, come li abbia considerati questa scuola. Ci sono numerosi post che i lettori possono andare a leggere o rileggere in merito. Ciò che interessa qui esporre è il processo di eliminazione e il legame con il suono esterno. Possiamo ben dire che, sempre in quella logica di coerenza e visione olistica del canto e in particolare della vocalità, le due cose sono intimamente legate, anzi possiamo dire che non è pensabile raggiungere l'annullamento dei registri senza una esternalizzazione del suono.
Pronunciare in modo puro, perfetto, le vocali, significa tout cour produrle fuori dalla bocca. Questo però comporta anche una conseguenza non di poco conto sul piano respiratorio; significa infatti che il tubo vocale si allunga di diversi centimetri rispetto ai punti dove solitamente nascono e si "gonfiano" le vocali. Questo "allungamento" del tubo significa un aumento per niente indifferente del "peso" del suono che deve generare la vocale e conseguentemente dell'aria che quel suono produce. E' una catena, come si può facilmente immaginare. Detto e assimilato questo, riesumiamo un altro elemento importante: le masse contrapposte. Come ho avuto modo di spiegare in passato su questo blog, è possibile giungere all'annullamento della sensazione di spezzamento della colonna fiato-suono a livello laringeo (come avviene solitamente parlando) quando la massa di suono che si forma nello spazio oro-faringeo è in equilibrio con la massa aerea (fiato respiratorio) che l'ha generata. Se manca questo equilibrio, la laringe o è premuta dal basso dal fiato (spinta diaframmatica) o dall'alto dal suono. In ogni caso manca quella libertà glottica che è anche svincolamento dalla funzione valvolare. Come si apprende dal parlato, che relativamente al contesto (funzione relazionale) è in equilibrio con il fiato che lo produce, noi abbiamo uno stato di accettabile benessere vocale. Si tratta di elevare a potenza questo stato, sviluppando la sonorità là dove già esiste il fuoco del parlato, e non in altri luoghi, inopportuni. Questa situazione riproduce quella condizione di equilibrio tra le masse che evidentemente il nostro status umano, evoluto, ha individuato come ottimale, per cui nel momento in cui noi riusciamo a cantare come e dove si parla, avendo educato il fiato a generare la massima efficenza respiratoria atta allo scopo. Quando ciò avviene (avverrà...) ecco che si produce un effetto meraviglioso, e cioè la laringe può FLUTTUARE. Fuori da tutte le sciocchezze prodotte da decenni di erronee osservazioni, indicazioni e deduzioni, che in genere vogliono la laringe bassa, essa non ha e non può avere una posizione fissa e immobile, perché questo è in netta contraddizione con il suo funzionamento vocale. Essa DEVE potersi muovere, quindi qualunque pensiero o volontà riguardante lo strumento produttore non può che influenzare negativamente il processo vocale.
La fluttuazione laringea che si può arrivare a possedere quando la vocalità si produrrà completamente fuori, genererà anche la risoluzione ottimale dell'elasticità cordale, e cioè l'annullamento delle due meccaniche contrapposte (intrinseca ed estrinseca), origine dei due cosiddetti "registri" vocali. Le corde risulteranno sempre anch'esse fluttuanti in una condizione di gradualità tensiva ma anche integrale, cioè viene a interrompersi quella dualità tra corda sottile di bordo e corda piena muscolare che è responsabile delle due modalità note come petto e falsetto-testa, e saranno per tutta l'estensione vocale in correlazione e attive.
Questa condizione di assoluto benessere vocale permetterà ogni sfumatura voluta dall'esecutore musicale, dall'agilità all'uso di colori e caratteri particolari (drammatico, affettuoso, comico, eroico...), a ogni gradazione di intensità. Si noterà anche, non in condizioni esecutive pubbliche, la possibilità di eccedere anche notevolmente dai propri limiti di estensione. Bisogna però sempre ricordare che i limiti esistono e vanno rispettati! Anche una disciplina artistica straordinaria, anche condizioni personali straordinarie, non devono consentire, se non del tutto eccezionalmente, di abusare delle caratteristiche del nostro corpo e del rispetto dei sistemi naturali e istintivi di difesa.

lunedì, dicembre 28, 2015

Video - vocali

Ho realizzato un video, il peggiore, credo, dal punto di vista visuale perché ho piazzato male la videocamera e mi sono quasi tagliato via la testa, comunque credo sia sufficientemente eloquente per quanto riguarda ciò che avevo da dire in merito alle vocali.

venerdì, dicembre 25, 2015

Ausili contrapposti

Sotto un certo profilo può sembrare, anche avvalorato da alcuni post presenti in questo blog, che la consontante sia comunque e sempre subordinata alla vocale; del resto in quasi tutti gli scritti sul canto si parla del canto "sulle vocali" e del primato della lingua italiana per la maggior presenza di vocali. Direi che su tutto questo è bene fare chiarezza e anche un po' di tara. Intanto mi piacerebbe sapere cosa intendono alcuni quando puntano il dito verso certi insegnanti che, a loro dire, insegnano "sulle consonanti". Ho sentito diverse volte questa frase, ma non ho mai capito cosa volesse dire. Credo che anche Celletti l'abbia scritto in passato, senza peraltro spiegare.
Possiamo dire che i ruoli di vocali e consonanti sono contrapposti ma entrambi indispensabili. La vocale potremmo definirla "dissipatrice", cioè l'energia che immettiamo per emetterla andrà tutta dispersa; la consonante invece è "ausiliaria", cioè l'energia che immettiamo aiuta l'emissione della vocale successiva. Di fatto se non avessimo le consonanti sarebbe estremamente difficile poter contare su un canto esterno, perché la vocale, a causa della "pigrizia" dell'istinto, tenderà sempre a una certa imperfezione, "mollezza", imprecisione e arretramento. Solo alcuni privilegiati beneficerebbero di questa condizione, e il canto, già ora assai difficile da elevare ad arte, sarebbe a un livello ancora più basso (sembra difficile da credere!).
A causa dell'idea che la consontante è subalterna, spesso viene imputata di non aiutare il canto, e quindi gli insegnanti consigliano di pronunciarla poco. Naturalmente è giusto non enfatizzarla, come anche il resto d'altronde, ma la sua utilità è impareggiabile e inoltre la parola se le consonanti non sono ben pronunciate, doppie comprese, risulterebbe difettosa. Pensiamo all'inizio di un'aria:
"Bella siccome un angelo in terra pellegrino": abbiamo una doppia in quasi tutte le parole che contiene: due volte L, C, R. Si può dire "bela sicome un angelo in tera pelegrino"? Ma alcuni non dicono le I ma u francese, non le E, ma le oe tedesche, non le A (non sia mai) e le O che tendono a U. Cosa vien fuori immaginatelo (o ascoltatelo).
Dunque, partiamo dalla vocale. Noi sappiamo che le corde vocali non producono vocali, ma suoni. Questi suoni successivamente diventano vocali. Si potrebbe presumere che questa trasformazione sia "gratuita", non costi niente in termini energetici, ma non è affatto così! E di queste cose quando mai se ne parla? Si presume che sia solo un diverso atteggiamento delle pareti oro-faringee, il che è vero, ma nel momento in cui esse si predispongono, provocano assorbimenti, ostacoli, frizioni che sottraggono energia. Del resto quando mai un percorso qualificante può richiedere meno lavoro rispetto al materiale grezzo originario? A parte la A, che essendo molto ampia è la vocale che presenta meno ostacoli (ma guarda caso è anche quella che molti trovano più difficile), le altre farebbero più fatica a svilupparsi al punto focale ideale, fuori delle labbra, perché c'è questo difficile e contrastante dialogo tra il mondo dei suoni vocali-canori di qualità e la base del fiato che li deve produrre, per cui se si spinge vengono a mancare le relazioni virtuose tra fiato e apparato produttore e si entra in una dimensione urlante, ma se non c'è sufficiente energia le vocali non arrivano a compimento. Ecco dunque dove entrano in gioco le consonanti e la loro caratteristica impulsiva e proiettante. Grazie all'uso costante delle consonanti all'interno delle parole, la vocalità può mantenere un certo grado di tonicità, e nel momento dello studio del canto possono offrire un valido e naturale mezzo per lo sviluppo armonioso e costante della voce.

domenica, dicembre 20, 2015

L'interruttore

Sto leggendo in questo periodo un interessante libro sul canto che mi è stato donato e di cui conto di fare commento nel prossimo futuro. Tra le tante cose ho letto un particolare su cui mi soffermerò in questo post.
L'argomento, in sostanza, riguarda le consonanti e in particolare alcune di esse. L'autore non sembra molto favorevole all'utilizzo, in fase di studio, soprattutto iniziale, delle consonanti "esplosive" e labiali in quanto interrompono il flusso (l'interruttore, appunto!). E' quindi più propenso al vocalizzo e all'utilizzo di consonanti più scorrevoli quali la "m" e la "n".
Come accade spesso in questi casi, l'apparenza è del tutto favorevole a questa visione dei fatti, ma, come invece ripeto sempre, occorre esaminare il fenomeno complessivamente e soprattutto avere un fondamento che ci guidi. E' evidente che la maggior parte delle consonanti precludono per qualche frazione di tempo il flusso aero-sonoro, ma questo che significa? Intanto occorre verificare il livello di libertà di questo flusso. E' indubbio che se io emetto un suono continuo apparentemente c'è un flusso e se io inserisco una consonante non sonora (b, k, gh, q, p, t, d, b) avvertirò una istantanea interruzione del flusso, ma in che condizioni si trovano gli apparati? Siamo sicuri che questo flusso sia veramente libero, cioè non vi siano ostacoli? Questo, come sappiamo, dipende dal grado evolutivo della respirazione nei riguardi dell'emissione stessa e il grado di evoluzione si coglie dalla perfezione con la quale è pronunciata la vocale (infatti poco sopra ho usato il termine "suono" e non "vocale"). Come sa chiunque segue questo blog, facciamo una fondamentale distinzione tra suono anonimo o simil-vocale e la vocale pura, laddove quest'ultima, frutto di una respirazione elevata all'arte vocale che sottende, si forma compiutamente solo ESTERNAMENTE, quindi OLTRE la pronuncia di una qualsivoglia consonante. Non è che questo annulli il fatto che il suono subisce una microscopica interruzione, ma questo non significa un bel niente, perché è lo scopo della consonante che svolge un compito ARTICOLATORIO che fornisce alla parola caratteristiche fenomenologiche ma anche tecniche fondamentali. Le consonanti, infatti, e in particolare quelle esplosive e labiali, svolgono un compito PROPULSIVO importantissimo (e quindi di appoggio, che come si può comprendere si svolge non verso il basso, ma in avanti). La vocale, di per sé, consuma più energia e, in particolare, se non ben pronunciata, come pressoché sempre, soprattutto nel parlato, spreca molta aria, per cui se le parole fossero troppo ricche di vocali dovremmo respirare più frequentemente il che disturberebbe il nostro automatismo funzionale. La consonante quindi svolge anche un ruolo di pianificazione ed equilibrio in questo senso. Ma venendo al canto, ecco che se io comprendo bene il ruolo di questa particella, mi rendo anche conto che le cose stanno proprio al contrario di quanto viene espresso in quel libro. Siccome la pronuncia perfetta della vocale è un obiettivo di gran lunga ambizioso, per niente facile (PER NIENTE) da raggiungere nel canto, ecco che io trovo una sorta di "leva" (da non enfatizzare, sia chiaro) proprio in buona parte delle consonanti, che aiutano, senza forzature, a "esplellere" il suono verso la destinazione "vocale", senza ricorrere a espedienti utilizzati da alcune scuole, che con i soli vocalizzi poi invitano a premere (quindi a spingere) in avanti, rischiando di schiacciare il suono e non solo non raggiungendo l'obiettivo ma addirittura provocando una parziale chiusura della valvola (laringe) e quindi una serie di gravi problematiche ai fini dell'educazione vocale. Pronunciando in modo normale le parole che contengono determinate consonanti anteriori, mi ritroverò senza bisogno di alcun tipo di consiglio "tecnico" (schiaccia, spingi, tira, alza, premi...) a migliorare sensibilmente anche l'emissione delle vocali che sono correlate a quelle consonanti (mArtEdI', ad es.). L'inconcepibile errore di tanti "teorici" e "intellettuali" del canto, è che secondo loro nel nostro normale funzionamento ci siano degli errori e che noi intelligentoni dobbiamo correggerli o evitarli ricorrendo a funambolismi che LORO hanno ideato. Le cose stanno esattamente al contrario: i vari esercizi e manovre pensate e trasmesse in gran parte delle scuole di canto (e che definiscono "tecniche") nella malata illusione di raggirare gli "ERRORI" di Natura, sono proprio il brodo di coltura di ogni più grave difetto vocale di ogni tempo. Peraltro, occorre sempre ricordare che la Natura non ci vuole cantanti artisti, è fuori dal proprio ordine di priorità e quindi ci pone ostacoli al raggiungimento di quello stato, il che non significa trovare manovre meccaniche per superarli, bensì inserirsi in un percorso di EVOLUZIONE che non si ponga in contrapposizione con il nostro funzionamento ma favorisca lo sviluppo, l'elevazione, ricordando bene che per far ciò occorre un fondamento, un piano integrale e integrativo delle nostre già presenti funzionalità, presenti nel nostro potenziale umano.
Due piccoli post scriptum: il primo relativo alla posizione della consonante, il seoncdo relativo alla "m" ed "n". L'autore del libro parla in modo generico delle consonanti, ma sembra soffermarsi maggiormente sulla presenza iniziale di queste. Allora occorre anche rettificare un possibile errore. Se io ho una parola ENTRO la quale si trovano determinate consonanti, è indubbio che avrò una momentanea interruzione del flusso, ma se la consonante è in apertura di parola, il flusso deve ancora partire, quindi non v'è interruzione. Al contrario la consonante iniziale esplosiva e labiale risulterà particolarmente utile proprio nel ruolo propulsivo e motore, per cui non solo non è sconsigliabile, ma al contrario consigliabilissima.
Per quanto riguarda la "M" e la "N" ci sono da fare queste osservazioni. La "N" è una consonante decisamente nasale, per cui è da utilizzare con parsimonia all'interno delle parole, verificando che il suono non appaia eccessivamente nasale. Se lo è occorre sviluppare esercizi che accoppiando questa consonante ad altre decisamente più legate al flusso orale, lentamente portino anche la "N" a una emissione più in sintonia con il quadro generale. Sia chiaro che non si tratta di modificare la consontante, di "uniformarla", ecc. La "N" è e resta una consonante nasale, però in molti casi questa assume un carattere eccessivamente improntato che può rischiare di svolgere un ruolo di sollevamento del fiato e quindi della colonna aerea. La "M" è una consonante decisamente meno nasale. La sua corretta emissione avviene con la semplice schiusura delle labbra e quindi è senz'altro consigliabile a patto che venga emessa in purezza, cioè EVITANDO il pre-suono a bocca chiusa tipo "mmmMamma". La M deve partire, piccola, pura, immediata e non essere mai raddoppiata (o triplicata, ecc.) se non all'interno delle parole che lo richiedono (tipo "mamma", ma quella iniziale deve essere assolutamente singola! di M ce n'è una sola!!!).

mercoledì, dicembre 16, 2015

Appoggiar

Anni fa in una sezione dedicata al canto in un forum musicale, un interlocutore scrisse: "prima di discutere mettiamoci d'accordo sulla nomenclatura". E partì dando una sua definizione di maschera. Al che, già mi passò la voglia. La questione è la seguente: qualcuno, un giorno, si inventa un termine, nuovo o esistente nel vocabolario - con altra accezione - per descrivere sinteticamente una sensazione, una osservazione, un dettaglio, una percezione, ecc. Propagandosi tra allievi e amici, il termine a un certo punto può piacere e diventare di dominio pubblico. Rodolfo Celletti, scrivendo frequentemente e abbondantemente su libri, riviste e periodici, inventò una miriade di parole per descrivere le sue critiche a questo e quel cantante, al punto che diverse di esse diventarono "patrimonio" dei tifosi melomani che talvolta ancor oggi li utilizzano (voce anfotera, tonitruante...). Se si può perdonare l'uso giornalistico, molto più seria è la questione in ambito didattico. Purtroppo Celletti, incocepibilmente, percorreva anche quello!. Comunque, una volta adottati determinati termini, gli stessi possono sparire allorquando i colleghi non vi si ritrovano più. Termini come "gorgia" e "garganta" sono definitivamente spariti dal vocabolario vocale; altri come petto e falsetto sono rimasti. Il brutto della situazione è che essendo stati scritti, un tempo, oggi vengono interpretati da chi va a rileggere quei testi; lo fece Celletti e diversi altri l'hanno fatto successivamente. Siccome allora non si creò una sorta di vocabolario che definisse in modo inequivocabile cosa intendesse l'autore con quel termine, hanno buon gioco insegnanti e pubblicisti a dare una propria versione, il più delle volte diverse l'una dall'altra.
La terminologia, le parole, nel canto sono più una spina nel fianco che un ausilio. Ognuno può dirle e interpretarle come meglio crede, le smentite comunque valgono allo stesso modo, non si può imporre una verità terminologica.

Per l'appunto, un giorno chissà chi si inventò l'appoggio. E' un termine mediamente recente ed è diventato un termine-mito! Non se ne è parlato per secoli, oggi se non ne parli ti considerano ignorante e disinformato. Gli insegnanti, quindi, fin dall'inizio del percorso parlano di voce appoggiata. Alcuni intendono voce appoggiata sul diaframma; altri intendono fiato appoggiato sul diaframma, altri dicono voce appoggiata sul fiato, corde vocali appoggiate sul fiato, e diverse altre sfumature. Non entro poi nella dolorosa differenza tra appoggio e sostegno, perché non ne uscirei più, se non con epiteti e ingiurie.
Nella vita quotidiana l'appoggio si riferisce a un oggetto che per questioni di stabilità fa forza su un altro oggetto che offre sicurezza. Molti allievi di canto si appoggiano al pianoforte o a sedie o altre suppellettili per scaricare un po' di peso e stanchezza. A volte si appoggiano su una gamba per far riposare l'altra. Atteggiamenti che andrebbero evitati perché squilibrano gli apparati. In genere, comunque, l'appoggio si rivolge verso il basso, favorito dalla Legge di Gravità. Le solette, le travi, i tetti delle case si appoggiano a muri e colonne. Questo esempio ci richiama propriamente a una scienza fisica, la statica, che già dovrebbe farci un po' riflettere sulla scarsa analogia col canto, perché esso è un procedimento dinamico.
Per la verità in testi più retrodatati, non pochi teorici del canto facevano riferimento a un appoggio diverso da quello oggi imperante, cioè diaframmatico, ma parlavano di un appoggio toracico. Non so se qualcuno, nel tempo, ha anche accennato, con ipotesi favorevole, a un appoggio laringeo o glottico, ma purtroppo esiste, anche se in termini molto sfavorevoli.

L'utilizzo continuato, ritenuto indispensabile, del termine appoggio, si lega a una pratica imperante nelle scuole, che consiste nel premere un qualcosa verso il basso, nell'illusione di ottenere un cospicuo vantaggio in termini di intensità e timbratura. Non è che non sia vero, ma è una pratica considerevolmente dannosa e errata dal punto di vista di un risultato artistico di rilievo. Cosa si preme verso il basso? Non è possibile premere l'aria (o il suono), per cui si premono muscoli e cartilagini. Se davvero si premesse l'aria, essa non uscirebbe, dunque con cosa si canterebbe?? L'ipotesi dunque di "voce appoggiata" è un modo di dire che non può corrispondere alla realtà. Si appoggia, ovvero si fa forza, su muscoli e parti interne per averne un ritorno energetico favorevole. Qualcuno lo descrive come la tensione dell'arco prima di scagliare la freccia. Peccato che in quel caso ci pensino le mani, nel diaframma non è possibile. Questo è il punto debole di tutti i pubblicisti e gli insegnanti. Tutti sanno che il diaframma non è governabile, ma tutti propongono una soluzione (salvo che sono pressoché tutte inventate e errate): premere la laringe, premere con i muscoli addominali oppure al contrario lasciare che la pancia avanzi, premere sulla schiena... ecc. ecc. Tutte, abbiate pazienza, idiozie! Le acrobazie che i cantanti, poveretti, compiono su pancia, schiena, ventre, fianchi, laringe... non fanno che deturpare il loro corpo e distogliere la concentrazione dalla cosa più importante: il canto! Se il canto è oggi un'accozzaglia (talvolta orribile) di suoni senza alcuna verità, è anche dovuto a questo.

Qualcuno giustamente domanderà: ma allora non esiste l'appoggio? In questo blog non se n'è parlato spesso? Nelle lezioni, in questa scuola non si parla e non si persegue l'appoggio? Sì, e infatti chi ha voglia e pazienza può trovare qui diversi riferimenti. La questione sta in termini piuttosto semplici, come sempre. L'appoggio esiste nel senso che il fiato, o meglio i polmoni, si appoggiano delicatamente sulla parete diaframmatica. E' vera anche l'altra cosa, e cioè che una parte del fiato, quando investito dalla pressione conseguente il canto, agisce verso il petto. Questo avviene naturalmente. Non c'è alcun bisogno di provocarlo e accentuarlo. Il grosso equivoco è nato, per l'appunto in tempi recenti, quando qualcuno si accorse che si poteva cadere nel problema opposto, cioè che la voce si "spoggiava", ovvero perdeva caratteristiche di pienezza, facilità, brillantezza e anche di estensione e intensità. Dunque non esiste alcuna necessità di appoggiare, cioè di provocare volontariamente ciò che avviene tranquillamente da solo! Il problema nasce quando le metodiche folli di insegnamento, provocando le reazioni del nostro fisico, richiedono in tempi insufficienti di raggiungere grandi esiti in termini di volume, intensità, estensione e timbro. Allora nasce l'opposizione del diaframma a lasciarsi dominare e la sua reazione e quindi il sollevamento anche repentino che provoca i difetti vocali di cui sopra. Quindi se parliamo di questo, e l'abbiamo fatto, è sempre e solo per illustrare la questione e consigliare orientativamente le persone di buon senso a prendere le distanze da chi induce a varie manovre fisiche per raggiungere un qualcosa che si raggiunge benissimo, e meglio, evitandole!!

Non ho ancora finito, abbiate pazienza. Questa spiegazione probabilmente a molti non basta per togliere dal capo anche un'altra fissazione, cioè che, spontaneamente o artificialmente, l'appoggio si debba avvertire, e lo si senta a livello grossomodo di pancia. Anche questa percezione deve sparire. Che ci sia un coinvolgimento del diaframma è ovvio, ma ancora una volta devo insistere affinché ci si rivolga NON alle percezioni e sensazioni fisiche, soprattutto interiori, ma al CANTO, alla VOCE. Noi possiamo parlare di un benefico riferimento all'appoggio quando avvertiamo che il fiato si è completamente mutato in voce, ovvero quando il flusso aero-sonoro è diventato canto, vocale totalmente sonorizzata nell'ambiente esterno, in totale libertà, quindi, ovviamente, senza incontrare alcun tipo di resistenza, di ostacolo o impedimento. La voce con la consistenza dell'aria giusto un po' più densa, ma ricchissima di vibrazioni interne, di squillo, di armonici e quant'altro è in potere del nostro corpo di renderla viva, elevata e profonda di significato e virtù. Comunque si intenda l'appoggio, la percezione deve sempre avvenire davanti, cantando, la conseguenza piacevolissima, beante, quasi magica o miracolosa, di aver abbandonato il corpo fisico e guidare solo con la volontà artistica, avendo soppresso ogni spinta, ogni appoggio interiore, ogni compromesso.

domenica, dicembre 13, 2015

Integrale

Al pari di canto "olistico", la grande scuola del canto è bene che affronti l'idea di una emissione integrale. E cosa significa? Il pericolo è quello di immaginare un coinvolgimento corporeo complessivo. E' una frase ricorrente dire: si canta con tutto il corpo. Ma questa è una delle tante frasi a effetto che serve a poco e confonde molto, per cui sono dell'opinione di non pronunciarla. Può essere un allievo che a un certo punto possa provare la sensazione di cantare con tutto il corpo; se è così, bene, ne avrà un senso di benessere, dirglielo, al contrario, può dare un senso di frustrazione per il fatto di non sentirsi in quella condizione. Dunque la mia proposta di un'emissione integrale riguarda il rapporto fiato-suono-vocale. Ritenere il fiato una componente slegata dalla voce - comunque la si intenda - non farà che mantenere la respirazione in una dimensione istintiva, animalesca, puramente chimico-fisica, e non la proietterà nella produzione sonora. Le mille e mille parole che riempiono libri, riviste e pagine di social network a proposito della respirazione per ben cantare, non raggiungono mai il nocciolo della questione, e cioè che nel momento di una perfetta emissione, quindi quale meta dell'apprendimento, vi è una integrazione o perfetta simbiosi tra fiato e suono, ovverosia diventano come una cosa sola. Quando diciamo che per ottenere un suono perfetto occorre una respirazione artistica, intendiamo una qualità del fiato elevata, suprema, ma questo che vuole ancora dire? Ad esempio una qualità dell'aria può essere il calore. Indubbiamente l'aria di emissione è diversa da quella di inspirazione in quanto si è scaldata, e quindi ha già modificato la sua natura e la sua fisicità. Ma se la scuola procede su una strada artistica, l'aria polmonare, nel momento in cui diventa alimentazione di suoni puri, si modifica ulteriormente nella direzione di mettere in vibrazione senza un'azione meccanica forzata e violenta le corde vocali, nonché instillare nell'apparato articolatorio-amplificante quelle massime caratteristiche di elasticità, libertà ed eufonia che il nostro corpo è in grado di sviluppare. Leggevo in questi giorni su un libro, che in massima parte non mi pare particolarmente interessante, che se si canta forzando, nel tempo non si riuscirà più a cantare se non forzando. Su questo sono sostanzialmente d'accordo. Alcune scuole si basano su esercizi estenunanti di carattere muscolare; nel tempo i muscoli si rinforzeranno, si ispessiranno e perderanno gran parte della loro elasticità e gradualità. La meravigliosa e paziente macchina umana può, in alcuni casi, superare questa condizione, che in molti casi porterà a patologie e gravi conseguenze, permettendo una vocalità di qualche gradevolezza sonora, se pur lontana da ogni criterio di buon canto, di agilità, di chiaroscuro, di legato, ecc. Viceversa occorre educare con la gradualità che parte dalla nostra condizione naturale, lasciando che il giusto rigore dell'insegnamento perfezionante la parola intonata scateni quell'esigenza respiratoria più elevata e mirata allo scopo, evitando per quanto possibile la reazione del fisico stesso che si sente minacciato da una modificazione profonda dei meccanismi che regolano anche la vita. Più il rapporto sarà leggero, gentile, sottile (come dice Falstaff!), delicato, piacevole, meno sarà interpretato dalle nostre difese in senso provocatorio e quindi da attaccare ed eliminare. L'idea che noi espiriamo nel canto così come nella normale respirazione è un'ottima concezione; notavo in questi giorni che anche Gigli in uno spezzone di lezione di canto usa il termine espirazione per dire canto, per cui aveva ben radicata la concezione che voce è veramente uguale a respiro sonoro. Questo in molti genera perplessità, perché si pensa che il suono "pieno di fiato" sia intanto uno spreco d'aria, con il falsissimo concetto che l'aria andrebbe risparmiata, in secondo luogo che non è voce piena, non è suono "sonoro" e dunque non si sente a sufficienza. Naturalmente non avallo la concezione di un suono davvero che soffi, cioè in cui la componente aerea sia avvertibile. In alcuni momenti di apprendimento questo è possibile, e spiego che quella percentuale di aria che si sente ancora, dovrà sparire completamente. Però preferisco, ripeto, in una fase propedeutica, sentire un po' d'aria, che non una spinta sul suono, sulle corde vocali, che non porteranno a niente di buono. Se c'è aria, abbiamo buone possibilità che essa si integri e diventi suono perfetto. Sentire suono premuto, ottenuto con forza, vuol dire mancanza di arte, mancanza di libertà.

martedì, dicembre 08, 2015

"Non cantare..."

Proseguo un po' il post precedente con qualche riflessione. Mi capita sovente con gli allievi, specie quelli con una formazione pregressa, non particolarmente positiva, di esclamare: "non cantare". A volte soggiungo: "parla" (non "spara", come nel titolo di un varietà degli anni 60!). Cosa significa, qual è il fondamento che sta alla base di questi suggerimenti? Il problema è che per molti, fuorviati da insegnamenti meccanicisti, vanno a cercare la voce cantata indietro, negli spazi interni, perdendo inesorabilmente ogni aspetto significativo del parlato, cioè la pronuncia e il ritmo intrinseco in essa.La differenza, giudicate voi di quale portata, è tra "suoni" anonimi, fasulli, spesso persino grotteschi e la voce vera, personale, ricca, portatrice di significati, di valori sentimentali ed emotivi profondi. Naturalmente il punto caratterizzante il canto è l'intonazione, ed è su quella che gioca l'educazione vocale; ma la cosa stupefancente, che ben pochi credo siano arrivati a comprendere, è che l'intonazione perfetta si può ottenere solo con una pronuncia perfetta. Siccome la pronuncia perfetta è frutto di una educazione respiratoria perfetta, si capisce come il cerchio si chiuda. Così come è inutile "cercare" la voce, il timbro, l'intensità, è altrettanto inutile cercare la pronuncia perfetta e l'intonazione perfetta. Esse sono già in noi. Il nostro compito è riscoprirle, valorizzarle, permettere di esprimere tutta la loro potenzialità. Certo che esagerare la pronuncia può essere negativo, ma non è così difficile comprendere quando essa diventa irreale, enfatica, statica, declamatoria o addirittura urlata o, al contrario, linfatica, inespressiva. Ma, visto che ho usato il termine "statica", vediamo meglio come coniugare questo termine con il canto, già a livello di esercizi.
Mentre un "mattoncino" nell'antologia degli esercizi, può essere rappresentato da una sillaba (Ba, bo, ti, te, ta, bro, la la la, ecc.ecc.), un passo avanti si fa con la parola intera (lunedì, martedì, ecc.), dove occorre già una notevole attenzione agli accenti e a non far "cascare" i punti centrali (dicendo "lunedì", ad es. si punta all'accento finale e non si coglie che magari la "e" non è affatto pronunciata, o, peggio, la "r" in martedì, mercoledì....oppure, al contrario, la si accenta erroneamente perché si tende a dividere la parola in sillabe, tutte accentate - lù-nè-dì). La staticità e il meccanicismo possono subentrare dicendo queste parole con un ritmo irreale, una nenia priva di significato, come se dicessimo parole in una lingua sconosciuta. E' sempre importante eseguire un passaggio dal parlato semplice all'intonato per comprendere cosa stiamo sacrificando, e recuperarlo. Quando poi mettiamo assieme i "mattoni", cioè le parole, ecco che spunta un importante problema, che riguarderà poi il canto vero e proprio. La tendenza è spesso quella di staticizzare, cioè esprimere le singole parole (o addirittura, come dicevo prima, le sillabe) senza dare a queste l'indispensabile dinamismo, cioè comprendere sempre dove la frase punta, sia musicalmente che nel significato semantico. Quindi si potrebbe dire che prima occorre separare i due livelli, per cui capire il senso, la direzione, della frase musicale, comprendere il parlato (dicendolo) e infine mettere insieme i due livelli. Non sempre essi coincidono; a quale dare precedenza? Non si può fare una generalizzazione. Il testo deve essere ben comprensibile nella sua globalità e non è buon costume dare accenti che stravolgano il significato di una parola anche se l'accento musicale così vorrebbe, però il valore musicale della composizione, visto che di musica si parla, comunque, non può essere a sua volta alterato per esigenze testuali, per cui in alcuni casi (piuttosto rari, direi) si deve ricorrere a qualche compromesso. Al di là di queste situazioni (che però sono più presenti in ambito corale che in quello operistico) l'aspetto fondamentale è dare verità non solo alle parole ma a tutti i periodi fino a percepire... la fine contenuta nell'inizio!

domenica, dicembre 06, 2015

Energia-ritmo-parola

Si fa riferimento all'energia come a una forza interiore che può avere diverse fonti. Ho più volte voluto distinguere la forza muscolare dall'energia, perché la prima produce solo una parte limitata di energia, quando abbiamo invece fonti molto più efficaci e mentre possiamo dire che la forza muscolare frena, rallenta e impoverisce l'energia vera. E' importante però comprendere cosa eccita e cosa stimola la produzione di quell'energia che permetterà al nostro canto di spandersi uniformemente e ovunque senza l'impiego di forze straordinarie. Ripeto sin dall'inizio del blog che questa scuola basa gran parte dei fondamenti dell'evoluzione vocale sulla parola. Detto questo, però, possiamo aver detto niente, e infatti molti pongono domande ed espongono perplessità. Qualcuno, più sottilmente, pone gli interrogativi su cosa significherebbe questa evoluzione o perfezionamento della parola, dubitando che si ricorra a una enfatizzazione o declamazione. Niente di tutto ciò. Come ho più volte ripetuto, la parola è portatrice di una verità di significato che quando passiamo all'intonazione astratta perde gran parte della sua forza e prende invece ogni sorta di difetto. Oltre che carenza di significato, nel passare a un esercizio intonato, la parola perde un altro importante attributo, e cioè il ritmo. La sincerità con cui si pronuncia una parola, o una frase, è in gran parte dipendente da un ritmo sottile con cui si articola l'intero termine o proposizione. La vocale tonica, dove cade l'accento, sarà di un quid più lunga delle altre sillabe, per esempio, ma qui il campo in cui ci addentriamo è davvero sterminato, se dovessimo esprimere razionalmente come si articola ritmicamente una qualunque parola o frase. Il compositore mette delle note sotto cui si dipanano le diverse sillabe (non senza, talvolta, difficoltà di comprensione) con un valore di carattere musicale, non sempre in sintonia con l'accentazione verbale. Ma questo è un altro problema. Ciò su cui vorrei puntare l'attenzione è come si pronuncia ritmicamente una parola nella realtà quotidiana e come la si pronuncia cantando. Purtroppo anche su questo argomento dobbiamo denunciare la decadenza verticale di qualunque attenzione e concentrazione. Una certa genericità, a volte, dei compositori, pur geniali, ha indotto schiere di "intepreti" (questa volta sì) a pronunciare a gola "spietata": Gloriààààà, sanctùùùùùs, vaga lunààà che... , nel sonnò almen..., e via dicendo. I mià, miò, tuà e tuò poi si sprecano proprio. Come si può esprimere con sincerità un pensiero se non riconosciamo le parole che stiamo (o stanno) producendo? Ci accontentiamo di rumori e suoni apparentemente piacevoli, e scusiamo (se non addirittura lodiamo) le più becere manipolazioni testuali. Pronunciare perfettamente, nel canto, sequenze di parole in modo da dare SENSO (sia nell'accezione psicologica che direzionale) a quanto si sta dicendo, ovvero conservare nella sua più raffinata ritmicità la stessa comprensibilità di significato che ha nella vita (sostenuto, poi ulteriormente, dal contesto e quindi dalle condizioni psicologiche del momento in cui vengono dette - nervosismo, rabbia, dolcezza, conversazione, bugia, ecc. ecc.) sarà uno stimolo fondamentale e gigantesco allo sviluppo sonoro di ogni genere di canto.

sabato, dicembre 05, 2015

Simulare l'errore

E' piuttosto frequente che l'insegnante simuli un errore per far capire come non si deve fare. Se posso ammettere l'imitazione immediata dell'errore compiuto da un allievo, seguito dall'esempio corretto, mi lascia più che perplesso la simulazione astratta. Si trovano in rete o in video, esempi eseguiti da insegnanti o cantanti, persino allievi, che vorrebbero far capire cosa non si deve fare simulando un particolare errore. La cosa è grottesca, inutile e ridicola.Uno può dire, ad esempio: "per cantar bene non bisogna aprir molto la bocca", e fare l'esempio aprendo molto la bocca ed emettere un suonaccio. Peccato che chiunque abbia un minimo di capacità canora, può far riferimento a qualunque cosa da non fare e pretendere di dimostrarlo emettendo orribili suoni mediante un esempio ad hoc. Infatti la stessa persona potrebbe benissimo dire subito dopo: "per cantar bene non bisogna tener chiusa la bocca", e rifare lo stesso suonaccio di prima! Molto più difficile il contrario, cioè dimostrare di saper emettere suoni giusti con il giusto modo e facendo riferimento a fondamenti verificabili. In ogni caso questo modo di pubblicizzare l'educazione vocale è poco utile e spesso confusionaria. Non si può dire: "fate così che verrà bene!" L'arte vocale è una conquista che richiede tempo (molto), e in questo tempo possono succedere mille cose. Può essere necessario aprire molto la bocca, ad esempio, in una fase iniziale dello studio, ma ci sono alcuni che esagerano, per cui occore chiedere di aprire meno. Ci sono persone che aprendo si irrigidiscono e quindi tale manovra provoca difetti. Qualunque cosa, consigliata come positiva, se non fatta con determinati criteri, può generare difetti. Ad esempio io faccio continuo riferimento al parlato. Se non fatto secondo giuste modalità, non solo non sarà utile, ma potrebbe comportare anche conseguenze negative. Quindi ogni esercizio, ogni consiglio, può avere controindicazioni, e di conseguenza chi insegna può simulare un difetto facendo l'opposto per convincere chi guarda che quel modo di fare è erroneo, ma se non è in relazione diretta con quanto sta facendo l'allievo in quel momento, è un'operazione di facciata, pubblicitaria, e dunque superficiale e poco onesta. Questo modo di fare, poi, è particolarmente utilizzato per mostrare gli errori "degli altri", e convincere che chi sta parlando invece la sa lunga. L'unico modo corretto, anche da un punto di vista etico, di deontologia professionale, è insegnare bene, dire cose sensate e fare esempi corretti.