Proseguo un po' il post precedente con qualche riflessione. Mi capita sovente con gli allievi, specie quelli con una formazione pregressa, non particolarmente positiva, di esclamare: "non cantare". A volte soggiungo: "parla" (non "spara", come nel titolo di un varietà degli anni 60!). Cosa significa, qual è il fondamento che sta alla base di questi suggerimenti? Il problema è che per molti, fuorviati da insegnamenti meccanicisti, vanno a cercare la voce cantata indietro, negli spazi interni, perdendo inesorabilmente ogni aspetto significativo del parlato, cioè la pronuncia e il ritmo intrinseco in essa.La differenza, giudicate voi di quale portata, è tra "suoni" anonimi, fasulli, spesso persino grotteschi e la voce vera, personale, ricca, portatrice di significati, di valori sentimentali ed emotivi profondi. Naturalmente il punto caratterizzante il canto è l'intonazione, ed è su quella che gioca l'educazione vocale; ma la cosa stupefancente, che ben pochi credo siano arrivati a comprendere, è che l'intonazione perfetta si può ottenere solo con una pronuncia perfetta. Siccome la pronuncia perfetta è frutto di una educazione respiratoria perfetta, si capisce come il cerchio si chiuda. Così come è inutile "cercare" la voce, il timbro, l'intensità, è altrettanto inutile cercare la pronuncia perfetta e l'intonazione perfetta. Esse sono già in noi. Il nostro compito è riscoprirle, valorizzarle, permettere di esprimere tutta la loro potenzialità. Certo che esagerare la pronuncia può essere negativo, ma non è così difficile comprendere quando essa diventa irreale, enfatica, statica, declamatoria o addirittura urlata o, al contrario, linfatica, inespressiva. Ma, visto che ho usato il termine "statica", vediamo meglio come coniugare questo termine con il canto, già a livello di esercizi.
Mentre un "mattoncino" nell'antologia degli esercizi, può essere rappresentato da una sillaba (Ba, bo, ti, te, ta, bro, la la la, ecc.ecc.), un passo avanti si fa con la parola intera (lunedì, martedì, ecc.), dove occorre già una notevole attenzione agli accenti e a non far "cascare" i punti centrali (dicendo "lunedì", ad es. si punta all'accento finale e non si coglie che magari la "e" non è affatto pronunciata, o, peggio, la "r" in martedì, mercoledì....oppure, al contrario, la si accenta erroneamente perché si tende a dividere la parola in sillabe, tutte accentate - lù-nè-dì). La staticità e il meccanicismo possono subentrare dicendo queste parole con un ritmo irreale, una nenia priva di significato, come se dicessimo parole in una lingua sconosciuta. E' sempre importante eseguire un passaggio dal parlato semplice all'intonato per comprendere cosa stiamo sacrificando, e recuperarlo. Quando poi mettiamo assieme i "mattoni", cioè le parole, ecco che spunta un importante problema, che riguarderà poi il canto vero e proprio. La tendenza è spesso quella di staticizzare, cioè esprimere le singole parole (o addirittura, come dicevo prima, le sillabe) senza dare a queste l'indispensabile dinamismo, cioè comprendere sempre dove la frase punta, sia musicalmente che nel significato semantico. Quindi si potrebbe dire che prima occorre separare i due livelli, per cui capire il senso, la direzione, della frase musicale, comprendere il parlato (dicendolo) e infine mettere insieme i due livelli. Non sempre essi coincidono; a quale dare precedenza? Non si può fare una generalizzazione. Il testo deve essere ben comprensibile nella sua globalità e non è buon costume dare accenti che stravolgano il significato di una parola anche se l'accento musicale così vorrebbe, però il valore musicale della composizione, visto che di musica si parla, comunque, non può essere a sua volta alterato per esigenze testuali, per cui in alcuni casi (piuttosto rari, direi) si deve ricorrere a qualche compromesso. Al di là di queste situazioni (che però sono più presenti in ambito corale che in quello operistico) l'aspetto fondamentale è dare verità non solo alle parole ma a tutti i periodi fino a percepire... la fine contenuta nell'inizio!
Buongiorno Fabio
RispondiEliminaconcordo (ora) sul fatto che si cerca il suono interiore che appaga e crea un senso di potenza. Poi si scopre che si deve spostare l'attenzione... ascoltare e dunque affinare il nostro orecchio all'ascolto del suono esterno. Puoi ampliare un pochino il discorso sull'ascolto del suono esterno? grazie per il tempo che mi vorrai dedicare e per il tempo che spendi a mantenere vivo ed interessante il blog. anna
Grazie, senz'altro. Nel frattempo puoi già cogliere alcune cose importanti in questo post: http://cantolirico.blogspot.it/2011/10/il-suono-esterno.html ciao
RispondiEliminatrovi questo e alcuni altri post sull'argomento nell'etichetta: punta del suono
Eliminagrazieeeeeeeeeeee
RispondiEliminaUna vera goduria questo post.
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