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martedì, novembre 26, 2019

... Alto, basso...

Come tutti i termini e le definizioni, anche dire "suono alto", "suono basso", "respiro alto" o "basso", lasciano il tempo che trovano, nel senso che si possono contestualizzare durante una lezione, e si spera che ci si intenda, altrimenti possono essere ampiamente interpretati e quindi indurre in errore e non avere alcuna utilità, se non l'opposto.
Il termine "alto" viene utilizzato quasi sempre con un'accezione positiva; suono alto, o posizione alta, che vengono quasi sempre intesi internamente. Si parla quindi di suono alto intendendo a livello di testa, quindi naso-occhi fronte, se non addirittura calotta cranica. Già così possiamo dire che si tratta di indicazioni fuorvianti, errate e controproducenti. Qualche scuola del passato, e più raramente recente, si riferisce a un suono a livello di palato e denti superiori. In questo caso ci troviamo su un'indicazione meno negativa, anche se i riferimenti all'interno degli apparati sono sempre da usare con estrema parsimonia.
Il termine "basso" è, invece, quasi sempre utilizzato in senso negativo. Siccome moltissimi insegnanti fanno continui riferimenti all'appoggio basso, a spingere "giù", e altri consigli in tal senso, per bilanciare affermano che "più vai giù, più viene su"!... come se ci fossero dei contrappesi!
Allora si può affermare che esista un binomio tra suono alto-buono, suono basso-cattivo? Per l'appunto, dipende da cosa s'intenda e dal livello formativo in cui si trovano le persone che ne parlano. Spesso si è parlato del suono "alto" della Callas, del fatto che il suo canto "piovesse" dall'alto della volta del teatro, che superasse il coro e l'orchestra "volandoci" sopra. Sono percezioni rispettabilissime, da non deridere e da non sottovalutare. Ma a livello didattico possono essere disorientanti, perché... come si ottiene un simile risultato? Si pensa che si possa far volare la voce come un uccello o un aereo? Cosa crea questa "magia"? Evidentemente sempre e solo la respirazione, giacché il canto E' fiato. Ma perché in qualcuno può dare quello straordinario effetto e in molti altri no? Evidentemente perché quel fiato ha ottenuto, guadagnato, quelle caratteristiche di leggerezza che possono permettere al suono di sovrastare tutto quanto. Quindi è la scorrevolezza, la "scivolosità", l'espansività, a permettere la piena efficienza del fiato-suono. E perché ciò si possa ottenere, occorre disciplinare il fiato in continuo rapporto con la voce cercando sempre di escludere tutti quei maltrattamenti che possono impedire quel risultato, quindi spingere-premere (in qualsivoglia direzione), trattenere, tirare, schiacciare (in ogni direzione), ma sempre e solo lasciar scorrere, non ostacolare, liberare. Sono tutte indicazioni che possono sembrare banali, ma sono tremendamente difficili da ottenere nel canto, specie quando si parla di canto lirico. Anche nell'inspirazione occorre correggere certi luoghi comuni delle scuole recenti, che vorrebbero l'inspirazione "alta", dove poi si canta (cioè in maschera, cioè tra naso e fronte, dicono....!!). Io non solo metto in guardia, ma sconsiglio di adottare questo sistema, perché vuol dire alzare la colonna d'aria, vuol dire non rilassare, vuol dire assumere poca aria. Come ho suggerito nel post precedente, se si rilassa la bocca e il mento, si possono assumere grandi quantità d'aria senza accorgersene, senza controindicazioni.

mercoledì, novembre 13, 2019

La respirazione "bassa"

Sono sempre molto dubbioso su cosa scrivere che possa indurre ad azioni controproducenti. Il problema, come si può comprendere, deriva dal punto in cui si trova colui che legge e che può essere indotto a replicare quanto scrivo. Del resto non si possono scrivere solo cose elementari. Quanto vado a scrivere ora, per un verso può già interessare i neofiti, però realmente è più da esperti. In tutti gli scritti, prima del maestro Antonietti e poi miei, si parla sempre molto poco di "come" si respira, suscitando una certa meraviglia in chi inizia una studio con me, abituato solitamente a compiere lunghi e complessi esercizi respiratori. Come ho già scritto molte volte, il fiato, o meglio la respirazione, E' canto, è tutto!! Pensare di risolvere qualcosa separando la respirazione dal processo vocale, sonoro, è un errore piuttosto serio, e lo è tanto più quanto prima viene commesso, e siccome è abitualmente una delle prime cose che si fanno, i problemi conseguenti possono essere già da principio piuttosto importanti.
Da molto tempo, l'interesse degli insegnanti di canto si concentra sull'inspirazione. Si parla di due-tre tecniche con alcune varianti. Ne ho già scritto in passato, non replicherò qui. Devo dire che già una trentina d'anni fa Rodolfo Celletti, citando qualche altro studioso, faceva presente che il focus della respirazione non sta nell'inspirazione ma nell'espirazione, che poi è il momento canoro vero e proprio. Detto questo, il discorso era finito, cioè non ha scritto altro di significativo, continuando a parlare di posture respiratorie. Ma è difficile capire il momento che separa l'inspirazione dall'espirazione nel corso del canto. Cosa cambia di significativo tra una espirazione fisiologica e una vocale? Se noi ci osserviamo mentre parliamo, probabilmente non notiamo particolari differenze, perlomeno se è un parlato tranquillo (e questo è già un dato su cui riflettere); viceversa quando pensiamo di cantare, specie se abbiamo in testa che per l'opera ci vuole un "imposto", ecco che la presenza della laringe può diventare un "oggetto ingombrante"! Quando questo accade, ed è molto facile e frequente che accada, ecco che la "funzione valvolare" diventa rilevante, quindi non può più assumere il ruolo musicale che noi le vorremmo assegnare. Tutto questo ha una soluzione, che definiamo SEMPLICE, ma molto difficile da raggiungere, cioè far sì che la voce si espanda all'esterno della bocca, come il parlato, e abbia la stessa naturalezza del parlato. Si comprenderà che la cosa molto difficile è far sì che l'apparato respiratorio si comporti durante tutto il momento canoro in un modo che assomigli a quello del parlato o dell'espirazione fisiologica. I cantanti di musica leggera hanno solitamente più facilità in questa operazione, perché non pensano a "fare voce", a spingere, a gonfiare, ma sono più portati a dare risalto al testo; il problema che possono incontrare riguarda la zona acuta, che però in molti casi è naturale.
Spesso è capitato che allievi di questa scuola siano stati accusati di avere una voce da musica leggera, o di essere privi di imposto. Anche questo è un tema già trattato; l'idea che esista una voce "lirica" è un inganno davvero assurdo. Non esiste nessuna voce lirica, esiste una voce che corre, che si espande, che può governare in un ambito di tessitura piuttosto ampio tutti i caratteri musicali ed espressivi esistenti, necessari. E' poi vero che una voce "piena" è anche molto ricca, e questo crea un timbro con uno spettro più ampio, ma questo richiede tempo e caratteri individuali. In ogni modo, per tornare al tema, e andare a concludere, la questione sta in una chiusura del cerchio della respirazione. Molte persone sono nervose quando stanno per cantare, sono preoccupate, e quindi procedono con inspirazioni altrettanto nervose, rapide, rubate. Per la maggior parte delle persone, il problema del fiato è prenderne tanto! Per esperienza personale, ho verificato che tutte le tecniche per respirare di più, spesso sono fallimentari. L'ingrediente fondamentale del canto, che è lo stesso della respirazione (inspirazione-espirazione), è IL RILASSAMENTO. Inspirare rilassando: cosa? rilassare tutta la bocca, le labbra, la lingua (soprattutto la lingua), il collo (specie la parte sotto la bocca). L'aria deve penetrare principalmente dalla bocca, LENTAMENTE, massaggiando e solleticando la stessa lingua, e penetrando a fondo. Come nei tanti inganni, così facendo avremo due sensazioni che potranno sembrare non positive: che sia un'inspirazione "bassa", penetrando a livello di una lingua rilassata, quindi bassa, (consideriamo che molti insegnanti dicono di inspirare nella stessa posizione in cui si canta, cioè "maschera", ovvero alta, quindi naso-occhi [secondo loro]), e che penetri poca aria. La realtà è esattamente opposta, cioè è una inspirazione profonda e molto efficace; l'aria se pur silenziosamente, trovando tutto aperto, entra in gran quantità; ciò che ci dà la falsa impressione è la mancanza di FORZA! Eliminare le barriere delle pressioni, dello forzature, è sempre la chiave del successo. Si dirà che questo è possibile prima di iniziare il canto, ma difficile o impossibile durante l'esecuzione. E' vero solo in parte. Bisogna considerare che le pause fanno parte della musica, non sono interruzioni!!! Sono sospensioni del suono, ma resta in esse una tensione musicale. Non deve succedere che si fanno apnee, che si blocca la fluidità. Noi continuiamo su un ritmo musicale, e all'interno di quello dobbiamo inspirare prendendoci il tempo. L'errore di molti è di aver sempre fretta, di pensare che non c'è il tempo di... Invece il tempo c'è sempre, quando si sa studiare con la dovuta concentrazione e pazienza. Quindi per un po' di tempo bisognerà anche prestare attenzione a come si respira durante un brano. Ricordarsi che l'inspirazione è un'azione in gran parte passiva! All'interno dei polmoni si forma una depressione, per cui l'aria, se i condotti sono liberi e rilassati, entra senza alcuna nostra volontà!! Già questo è un dato importante, che potrebbe risolvere parte dei problemi che molti si fanno. La respirazione rumorosa spesso nasconde problemi, e in ogni modo non è MAI efficace, perché l'aria incontra ostacoli (è quello che produce un rumore), e nella stessa logica non deve mai essere solo nasale.
Ultima cosa, la più difficile e che non dipende dalla volontà. Si canta nello stesso modo. Quella rilassatezza che non è molto difficile da assumere in fase inspiratoria, si deve mantenere nel canto. Potremmo dire che i muscoli inspiratori restano attivi anche in fase espiratoria. Lo dicevano alcuni insegnanti del passato, e qua e là lo troviamo ancora scritto, però resta un dato fondamentale, cioè che non deve essere una azione volontaria, indotta, ma a carico del fiato, cioè deve avvenire anch'essa in totale rilassatezza. Questo è il cerchio chiuso!!

lunedì, novembre 11, 2019

La voce non è niente...

"La musique n'est rien", quindi "la musica non è niente", è il titolo di un libro scritto da Patrick Lang, un direttore d'orchestra allievo "stretto" di Sergiu Celibidache. La frase si può ascoltare all'interno di un film dedicato dal figlio, che è regista, al maestro rumeno. Al suo apparire il libro ha destato un certo stupore, come si può immaginare, ma ciò è dovuto alla sua decontestualizzazione, mentre nel film è ben comprensibile. In ogni modo sono dell'opinione che è un bel titolo, attrae l'attenzione su un tema molto importante. Proprio oggi il m° Raffaele Napoli, altro allievo "stretto" di Celibidache, su facebook ha scritto "la musica è morta". Avrei potuto benissimo intitolare anche io questo post "il canto è morto", perché le vicende sono molto simili. Ci stiamo battendo da anni per cercare di risollevare le sorti di queste arti fondamentali (non che le altre stiano molto meglio...), ma è come il classico svuotamento del mare con un cucchiaio. In ogni modo, noi continuiamo a svolgere quello che riteniamo un dovere e una forma di ringraziamento nei confronti di chi si è speso per noi. Proprio ieri mi è tornata in mano una lettera del m° Antonietti in risposta a una mia (di cui non ho copia) del '96, in cui mi incoraggia a andare avanti, avendo percepito un certo scoraggiamento. Sono passati 23 anni, e sono andato avanti con un po' di alti e bassi ma senza mai mollare, e continuerò così.
Dunque, per tornare al titolo: il m° Celibidache cosa intendeva con "la musique n'est rien"? Che non è un oggetto del pensiero. La nostra mente razionale ha la necessità di avere delle varie cose di cui ci occupiamo, una definizione concreta, ferma, ben circoscrivile, altrimenti rischia di sfuggire. Ed è così! Tutta l'arte, facendo parte del bagaglio spirituale, non è definibile; una definizione ne limita la portata. Molti vorrebbero che fosse "un linguaggio". Può "anche" essere un linguaggio, ovvero per poter essere comunicata e trasmessa, sempre nell'ottica razionale del nostro funzionamento cerebrale, ha richiesto l'uso di un linguaggio, o meglio di più linguaggi. Ma questa è stata una limitazione, che però lo studio approfondito può superare, ed è proprio in questo sforzo che sta la capacità di un vero musicista di potersi avvicinare alla Musica. Se è fondamentale che si impari la morfologia musicale, cioè saper leggere le note in tutte le chiavi, capirne la durata, saper replicare correttamente il ritmo, l'altezza con la voce e con un eventuale strumento, o più d'uno, comprendere e usare segni espressivi, dinamici, agogici, ecc. ecc., è altrettanto fondamentale capire che essi sono una necessità pratica, ma con forti limitazioni, e che se si eseguisse la musica basandosi solo su quanto scritto, il risultato sarebbe ben misero. E quanti sedicenti "grandi" musicisti ripetono "facciamo tutto ciò che è scritto"!?  o ti dicono: "studiare la partitura, perché lì c'è tutto...". Purtroppo è un'ammissione di debolezza, anche se il significato di queste frasi solitamente si riferisce al fatto che nel tempo a molte partiture sono stati apportate delle modifiche, che senz'altro non fanno del bene alla musica, ma certo la questione non sta tutta lì. Gli stessi compositori il più delle volte tornano sui propri lavori, non sono mai del tutto soddisfatti; talvolta hanno avvalorato modifiche portate da altri... Insomma il "linguaggio" si rivela sempre un mezzo insufficiente, ma necessario all'uomo.
Nel canto la questione è anche più concreta. In tempi lontani, un giorno scrissi: "la voce non è un vaso di fiori"! Il problema (uno... dei tanti!) degli insegnanti di canto degli ultimi decenni, è di considerare la voce come "qualcosa", come un oggetto che si può spostare, mettere da qualche parte. La voce è un flusso, una corrente, proprio come lo è il fiato, anzi E' fiato, con una diversa qualità, una periodizzazione, un ritmo interno, una vibrazione, che ne conferisce un valore sonoro, che poi l'uomo è in grado di modulare in vari modi. Questo flusso può variare il proprio percorso in funzione dei moti dell'apparato fono-respiratorio, cioè faringe, lingua, palato, labbra, ma queste variazioni devono essere dettate dalla mente in funzione di un carattere che si vuol dare (o che viene in base alle nostre emozioni, sentimenti, ecc.). Invece si pensa di "ingabbiare" la voce, di dominarla, di farne ciò che si vuole. Così non può essere perché sfuggente, perché, per l'appunto, "non è niente". Tutti i movimenti che vengono indotti volontariamente spostano il flusso, sì, ma non necessariamente come pensa il soggetto, quindi si formano moti e reazioni, per cercare di mandarlo dove si vorrebbe (che poi non è detto che sia un "luogo" efficace) e soprattutto si creano forti tensioni nella muscolatura, che impediscono la fluidità necessaria al fiato-suono.

sabato, novembre 09, 2019

Indipendenza degli apparati

Oggi ho ritrovato un appunto del m° Antonietti, non scritto direttamente da lui, probabilmente dettato a qualche allievo nel periodo in cui aveva problemi alle mani e non riusciva a scrivere. E' interessante, ma ancora una volta ho dovuto notare quanto lo scritto sia passibile di interpretazione, quindi non "universale", cioè non acquisibile con un unico senso, ma a cui la propria esperienza può dare più significati.
Il tema dell'appunto è "l'indipendenza della laringe". Il presupposto è che la laringe nella vita comune è dipendente dal fiato, cioè in base alle esigenze e ai moti del fiato fisiologico, essa compie movimenti (ciò che in altre parti del blog e nel trattato abbiamo indicato come "funzione valvolare"). Nel canto questo non dovrebbe avvenire, nel senso che la laringe dovrebbe compiere movimenti in base alle esigenze vocali e musicali. E qui nasce un possibile equivoco, che mi ha colto leggendo. Sembra che laringe e fiato diventino indipendenti l'uno dall'altro, ma non è esattamente così. L'indipendenza deve avvenire, solo durante il canto, in relazione alla fisiologia respiratoria, ma ne nasce una nuova, che potremmo dire opposta, cioè è il fiato che diventa dipendente dalla laringe, ovvero dalle necessità vocali e musicali che attraverso il sistema nervoso animano la laringe. Il fiato deve dosarsi in quantità e qualità in base all'atteggiamento delle corde vocali. Anche così potrei avere da ridire, perché la verità è che tutto risponde a un solo principio artistico, quindi fiato, spazi glottici, atteggiamento laringeo si conformano alle esigenze espressive, emotive, sentimentali, comunicative, spirituali che ci portano ad esprimerci col canto.

Dello studio

Sul tema dello studio occorreranno diversi post, essendo un argomento piuttosto complesso. Intanto preciso che parlo sempre e solo di studio in presenza di un insegnante o maestro, non di autodidatti. Nessuna arte, e in particolare il canto, può apprendersi correttamente senza un ottimo insegnante, o meglio di un maestro. Quindi parlerò dello studio tra una lezione e l'altra. Quando si inizia lo studio del canto è meglio astenersi dal fare esercizi; la cosa migliore e riflettere su quanto svolto, specie se si sono presi appunti o si è registrato. La registrazione è un'ottima pratica, permette di risentire sé stessi, l'insegnante (eventuali altri allievi) e le correzioni. E' bene ascoltare a pezzi, risentire anche più volte ciò che è stato detto e le correzioni apportate. Dopo qualche lezione si potrà cominciare a eseguire semplici esercizi. In questo periodo è sempre bene evitare di affrontare il settore acuto, specie se anche a lezione risulta difficoltoso. Anche gli esercizi più semplici non devono provocare stanchezza, per cui è bene non superare frazioni di studio di più di 10 minuti, anche per migliorare la concentrazione. Gli esercizi non devono mai essere svolti meccanicamente, non deve essere un allenamento fine a sé stesso. Per molto tempo l'esercizio a casa è consigliabile si svolga in un ambiente tranquillo, con una buona o discreta acustica e dotarsi di uno specchio. E' anche importante che il luogo permetta di svolgere questa attività senza troppi imbarazzi. Si sa che nei condomini queste attività sono mal tollerate, quindi chi si esercita spesso si trattiene per non disturbare, ma questo non va affatto bene, si rischia di produrre più danni che vantaggi. In questo caso è meglio evitare. Lo specchio è importante, sia specchi da tavolo, per controllare il viso e la bocca in particolare, sia specchi grandi per controllare la figura e i movimenti, specie quelli involontari, che si manifestano durante il canto. Questi nel tempo diventano sempre più importanti. All'inizio dello studio è abbastanza normale che si compiano gesti inconsci, che però bisognerebbe cercare subito di controllare, perché possono diventare difficili da eliminare. Un primo esercizio da compiere, molto utile, senza voce, consiste nel pronunciare molto lentamente delle parole e poi frasi, verificando allo specchio che la bocca si articoli armoniosamente secondo quelle parole, senza esagerazione, ma rigorosamente. La parte alta del viso, naso, occhi e fronte, devono restare rilassati e sereni. Il tutto dovrà essere fatto molto lentamente. In sostanza è come se dovessimo farci comprendere mediante la lettura labiale. Il fatto che possano insorgere dei piccoli dolori alla muscolatura adiacente la bocca, non solo non è negativo ma è un buon segno; questi muscoli sono solitamente dormienti, li utilizziamo pochissimo, quindi il rimetterli in  funzione vuol dire reimpadronirsi di una parte dimenticata del nostro corpo. Ricordarsi sempre che ci vuole molta ma molta pazienza. L'esercizio può considerarsi un dovere per chi vuole affrontare questa attività, ma se non c'è piacere, se non c'è motivazione e voglia, può essere controproducente, per cui esercitarsi sempre e solo se si ha voglia. Naturalmente se la voglia non c'è mai... forse c'è qualcosa che non va, ed è bene ripensare se si sta affrontando la giusta scuola.
[continua]

domenica, novembre 03, 2019

Il punto di vista

Leggevo una frase su un libro di circa 50 anni fa che è ancora piuttosto famoso e venduto, cioè "Coscienza della voce" di Rachele Maragliano-Mori (ed. Curci). Bel titolo, piacerebbe anche a me darlo a un eventuale libro sul canto (ma ne ho comunque uno altrettanto valido..!), peccato però che per avere coscienza della voce un libro non serva assolutamente a niente. E' un grande concentrato di frasi, di suggestioni prese da numerosi trattati di canto ma anche carpiti qua e là da vari artisti che la Maragliano ha incontrato nella sua carriera, o riportati. Naturalmente la signora ha una propria idea, che però non esibisce chiaramente, però si intuisce.
La frase è: "... mentre dal 19° Sec. si addice l'uso generoso della risonanza totale ed ampia dilatazione della faringe, che si ritiene instaurata dal tenore Duprez per ottenere timbri caldi, scuri e pieni, consoni all'espressione drammatico-romantica di cui era l'interprete." Il tenore Duprez è noto più che altro per gli acuti, ma anche per aver portato nella cultura francese lo stile italiano; in Francia dominavano per lo più gli "haute-contre", cioè i contraltini, con emissioni molto chiare, morbide, flautate sugli acuti, mentre in Italia già c'era un maggior ricorso alla voce piena. Ciò che però vorrei sottolineare, è l'inversione del punto di vista che la Maragliano propone, e che è alla base di tutta la scuola degli ultimi decenni (non per nulla al libro ha partecipato anche un nullasapiente come Celletti e il suo degno maestro E. Gara). Cioè "...l'ampia dilatazione della faringe per ottenere timbri caldi, scuri e pieni..." e non il contrario! Cioè il VOLERE timbri scuri caldi, ecc., provoca NATURALMENTE e AUTOMATICAMENTE ampia dilatazione della faringe o qualunque cosa, anche a noi ignota, come lo era nel passato, instauri quella nostra esigenza. Garcia notò queste cose e le descrisse, ma non disse "bisogna far così per ottenere..". Se io dovessi costruire uno strumento, è logico che dovrei conoscere molto bene alcune leggi fisiche per ottenere determinati colori, in base anche ai materiali utilizzati (benché nel 500, 600, ecc., le conoscenze fisiche erano sicuramente molto ridotte, eppure costruivano strumenti di una perfezione che oggi ci sogniamo...!!!), ma nella voce non possiamo e non dobbiamo applicare quei principi, perché sono già presenti in noi e dobbiamo solo richiamarli con la volontà. Conosciamo tanti imitatori, in tv, che producono le voci molto differenti di tanti personaggi pubblici, alcuni con voce scura, altri chiara, morbida, aspra, ecc. Ma anche senza andare lontano, penso che tanti, da ragazzi, avranno imitato i propri professori o qualche personaggio della tv, facendo voci chiare o scure o particolari; io l'ho fatto tantissimo: ai miei tempi alla radio c'era una trasmissione molto in voga, Alto gradimento, con tanti personaggi buffi, che io e i miei amici spesso scimmiottavamo. E quando facevamo questo pensavamo (o pensano questi attori-imitatori) a dare ampia dilatazione alla faringe? No di certo, il nostro orecchio aveva percepito quella voce, il nostro cervello aveva raccolto e memorizzato quel timbro, e spontaneamente si provava a imitarlo, e il cervello "manovrava" le varie strutture anatomiche per replicare quel timbro. Tutti hanno questa facoltà; il fatto che alcuni riescano meglio di altri sta nella miglior memorizzazione e nel possesso di una voce centrale, che consente un ampio spettro di giochi coloristici. Nel canto in genere non ci serve tutta questa tavolozza timbrica, a meno che non si sia dei caratteristi, come certi bassi "buffi", e ovviamente la cosa da evitare nel modo più totale è l'imitazione. Quindi la base è che si canta con la propria voce, e le caratteristiche di questa ci condurranno verso il repertorio più idoneo. Cercare di modificarla con stratagemmi, artifici, per affrontare ruoli inadatti può anche essere un modo per aumentare le proprie possibilità di carriera; non dovrebbe appartenere al mondo dell'arte, ma ce ne facciamo una ragione. Però sarebbe bello che anche in questo caso ci si arrivasse... con coscienza!