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sabato, ottobre 29, 2022

Dello sguardo

 Fin da quando iniziai a insegnare canto, mi accorsi che molti allievi durante la lezione fissavano lo sguardo e il più delle volte lo rivolgevano verso l'alto. Nonostante le mie ripetute richieste di tenerlo "normale", cioè non fisso e soprattutto rivolto in alto, non sono quasi mai riuscito a ottenere apprezzabili risultati. Però non mi ero mai soffermato sul perché e il percome. In questi giorni, riflettendo su altre questioni, ho rammentato un post di qualche tempo fa, dove segnalavo una performance direttoriale di Sir Georg Solti che dirigeva il funerale di Sigfrido, dall'omonima opera di Wagner, che segnalai per spiegare che il fatto di utilizzare varie parti del corpo per la direzione, ha come causa il fatto di non avere la piena padronanza dello strumento specifico, cioè le braccia, per cui si usa altro per sopperire a quella carenza. La questione è la medesima. Il o la cantante che si concentra con lo sguardo verso un punto immaginario, in realtà sta togliendo attenzione dal senso fondamentale, cioè l'udito! Chi canta deve concentrarsi sull'ascoltarsi, o meglio, ascoltare se sta pronunciando correttamente e se il suono è libero. Ho persino sentito dire che alcuni insegnanti suggeriscono agli allievi di sollevare le sopracciglia e guardare con attenzione. Pessimo consiglio, assolutamente da non seguire! Lo sguardo deve essere sereno, ed è necessario che la fronte, quindi anche le sopracciglia, restino tranquille e basse. 

lunedì, ottobre 17, 2022

Non imparare-insegnare

 La civiltà scientifico-razionale dell'Occidente, ha portato questa società a ritenere che tutto provenga dall'esterno, tanto il sapere quanto le malattie, fino alla stessa Verità. Se questo può già definirsi erroneo nel campo della cultura in senso lato, diventa un grave sbaglio se applicato a una qualunque arte. L'illusione di tanti è quella di recarsi da un insegnante e pensare che imparerà, nel nostro campo, a cantare. Non è e non può essere così. Altrettanto erroneo è il pensiero di quell'insegnante che si illude di insegnare, per lo meno nel senso tradizionale del termine. La Conoscenza è già in noi, però è quasi sempre bloccata, in parte dalla nostra natura animale, in parte dalle nostre illusioni, dal nostro ego, dalla nostra volontà coercitiva. Lo stesso insegnante è coercitivo, persino violento nel tentativo di indurre insegnamenti nella mente e nel cuore degli allievi. Noi dobbiamo considerare che ciò che può funzionare è il risvegliare, se non addirittura, che è la formula migliore, il rinascere. Il maestro non insegna, ma esemplifica, induce pensieri, riflessioni, può motivare e arrivare a provocare, allo scopo di attivare quel fuoco interiore, unica chiave che possa palesare quel sapere che alberga in ciascuno di noi. Molti animali per poter nascere devono distruggere quel mondo in cui si sono formati, le uova. Per noi l'uovo è il mondo che ci circonda e ci tiene ingabbiati in un reticolo di dogmi, di informazioni fasulle o superflue, impedendoci di fatto di liberarci (ecco la parola fondamentale ed essenziale). Nessuno può realmente "imparare" se non raggiunge sé stesso, se non si libera dalla schiavitù delle convenzioni e dal bombardamento cui siamo sottoposti continuativamente e che ci portano a pensare come alcuni vogliono che pensiamo. Ma non è una questione di complotti, è la nostra condizione, soprattutto occidentale, che innesca questo meccanismo perverso. Noi abbiamo la possibilità di liberarci, però il nostro guscio è durissimo, e dentro quel guscio noi ci stiamo bene, ci sentiamo al sicuro e al calduccio, mentre romperlo ci fa paura, non sappiamo cosa può esserci fuori e a quali pericoli, responsabilità e a quali fatiche può portarci. Anche nel canto, quando ci si avvicina alla libertà, avvertiamo paura, pericoli, allontanamento dalla sicurezza e dal controllo, per cui è più facile tirarsi indietro; anche se il maestro ci fa sentire come appare la voce libera, non siamo sicuri di poterci arrivare anche noi, ed ecco che il credere in sé stessi diventa il passe-partout fondamentale per aprire quella porta che ci mostra il vero universo verso cui siamo ciechi. Noi vediamo sempre un piccolo mondo, che non ci crea fobie da spazi immensi. Ma quello spazio possiamo essere noi, non è fuori di noi. In ogni modo sappiamo bene che ciascuno è arbitro del proprio destino, quindi si tratta sempre di scelte, il più delle volte dolorose e che ci prospettano decisioni più grandi di quelle che ci aspettiamo. Un conto è essere molto giovani, un po' o molto irresponsabili, percepire il futuro e l'anelito della libertà che può scaturire da un lungo tempo di elaborazione. Un conto è il non esserlo più e quindi rinunciare a mettere in gioco le sicurezze acquisite. E' comprensibile ma bisogna fare una ulteriore riflessione. Il tempo è una condizione; noi siamo perennemente legati a una percezione fisica di esso, fissiamo appuntamenti, assistiamo a giorno, sera e notte, primavera estate autunno e inverno, contiamo gli anni e così via. Questa è la dimensione materiale, fisico-meccanica dell'esistenza. Ma chi ha avuto la fortuna-sfortuna di avere una propensione artistica, deve considerare l'eternità. Il tempo nell'arte non ha confini e noi possiamo immergerci in essa annullando i nostri fastidi, il nostro passato e le preoccupazioni del futuro. Noi siamo "ora e sempre". Ma non è questione di volerlo o di saperlo. Si tratta di raggiungerlo mediante una discesa profonda in noi. E' riflessione, è meditazione, è annullamento. Non è difficile, non è complicato, ma è impegnativo per l'uomo-animale. Dobbiamo guardare a una condizione che ci accomuna, anche se pochi ci credono e pochissimi vogliono guardare, la condizione della scintilla divina che è in noi. Accendetela, se volete, o accontentatevi e non illudetevi di arrivare all'arte per altre strade.