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mercoledì, maggio 25, 2022

Lo scappamento

 Le persone che non hanno idea di come funzioni un pianoforte, immagino che pensino che premendo un tasto questo sia collegato a un martelletto che colpisce la corda. Questo elementare congegno sortirebbe un esito orribile, infatti fu proprio al centro dei vari progressi che portarono alla creazione dei moderni pianoforti. Non sono assolutamente esperto in materia, dunque mi scuso se la descrizione che vado a fare sarà approssimativa, ne parlo, oltre che per dare qualche ragguaglio informativo, per motivi legati al canto, come è ovvio. Dunque il tasto non è legato direttamente al martello, in quanto se quest'ultimo battesse sulle corde in base al tempo per cui si mantiene premuto il tasto, la risonanza delle corde sarebbe impedita. L'aspetto funzionale sta nel fatto che il martello deve battere... e andar via, non fermarsi mai contro le corde. Per far ciò ha bisogno di uno slancio e di una ricaduta, per cui il tasto è legato a una prima meccanica che a sua volta esercita una sorta di "schiaffo" alla meccanica del martelletto, che viene quindi sospinto verso le corde con una sorta di slancio, e quando incontra le corde viene fermato e quindi torna in sede. In questo modo le corde sono libere di risuonare. Il tasto è invece legato direttamente allo smorzatore, cioè un feltro che si alza dalle corde quando si abbassa il tasto e si riabbassa quando si lascia andare il tasto, oppure al pedale, che fa alzare tutti gli smorzatori e quindi fa suonare tutte le corde per simpatia. Lo scappamento è dunque questo meccanismo che "schiaffeggia" posteriormente il martelletto e gli consente quello slancio che lo spedisce verso le corde. 

Nelle varie analogie che spesso ricerco per esemplificare in modo semplice e "innocuo" il canto libero, non mi era venuto ancora in mente lo scappamento, finché non ho visto un tecnico all'opera su un pianoforte. Ovviamente l'analogia è puramente simbolica, non esiste alcuna meccanica del genere nel corpo umano. La analogia cui faccio riferimento può, tutt'al più, riguardare il fiato e NON nella catena dentro fuori, ma solo fuori-fuori. Come ho già descritto in vari momenti, compresi recenti video, non si deve mai spingere il suono dall'interno verso l'esterno; il suono è suono, cioè è una vibrazione senza qualità; ciò che imprime qualità (o meglio CONOSCENZA) al suono è la pronuncia, la quale però non può essere fornita compiutamente all'interno del cavo orale, ma si esplica in modo perfetto solo all'esterno della bocca. Questo processo, che compiamo continuamente in modo semplice e automatico ogni volta che parliamo, riusciamo a replicarlo nel canto, forse, solo quando accenniamo o "canticchiamo" senza pensare. Voler cantare inserendo volume, intensità, espressività, ricchezza timbrica ed estensione, è difficile perché non è un dato che abbiamo assimilato nel DNA, per cui il nostro sistema istintivo lo rifiuta e lo combatte, però lo può tollerare quando lo alleniamo incessantemente senza procurare troppi danni. Ecco a cosa si risolvono la maggior parte dei metodi di insegnamento, scritti, orali e pratici: "tecniche" cioè procedimenti meccanici, che reiterando determinate formule (perlopiù vocalizzi), associate a vari movimenti muscolari e respiratori, consentono di forzare la tolleranza dell'istinto e a consentire quindi un canto di una certa qualità. La possibile durata nel tempo di un simile modo di cantare è legata innanzi tutto a quanto violento o intelligente è l'approccio, ma forse prima ancora a quante risorse fisiche, muscolari, strutturali possiede il cantante, cioè la sua resistenza. Parlo di doti naturali. La conquista di una vera vocalità artistica non può essere legata a esercizi ginnici! O meglio, può, ma con i limiti che un simile procedimento possiede. Se si affronta la vocalità cercando, coscientemente o meno, di forzare la tolleranza istintiva, si genererà necessariamente un conflitto. La bontà del canto e la durata nel tempo della qualità e della stessa voce sono legate a quanto si riesce a rendere meno cruento questo conflitto e/o a quante risorse fisiche si riescono a opporre alla reazione istintiva. 

Qual è dunque l'alternativa, purtroppo destinata a pochissimi nella Storia del canto artistico? Comprendere che il grande canto è "SEMPLICEMENTE" l'evoluzione del parlato, ovverosia l'evoluzione della RESPIRAZIONE che sostiene il parlato. Non v'è altro da dire. Chi comprende questo e si mette nella disposizione per realizzarlo, forse potrà; diversamente alimenterà la schiera interminabile dei cantanti da mediocri a validi, buoni, piacevoli. Ma sono forze spirituali interiori che non tutti avvertono e a cui non si presta troppa attenzione, perché hanno un costo personale che posso definire quasi spaventoso. Per cui la mia "crociata" per un canto artistico puro, cosciente, perfetto, potrei dire che è tempo perso, parole al vento. Ma è una mia necessità interiore quella di seminare, nella remota ipotesi che possa trovare qualche lembo di terra fertile ove germogliare e fruttificare. Ciò che mi amareggia di più, però, è constare che persone che avrebbero l'intelligenza e la cultura per avvicinarsi a questa scuola, se ne tengono lontane e farfugliano senza un concreto pensiero conchiuso in sé. 

Dopo questa ennesima tiritera, veniamo allo scappamento, o meglio, a quanto posso suggerire analogicamente nel canto. Qual è la differenza tra il parlato e il canto? Il primo è sostanzialmente statico, essendo per lo più formato da una serie rapida di fonemi piuttosto slegati tra di loro. Questo consente al fiato di non stancarsi, di non avere un impegno continuativo e soprattutto di non subire una pressione costante. Il canto è, all'opposto, una procedura dinamica dove la qualità cresce al crescere della costanza. In questo senso purtroppo si commette il peccato mortale di confondere la voce, che è espressione di parole, con i suoni, che sono un limite, essendo unicamente vibrazioni fisiche, carenti della qualità spirituale più elevata, cioè la parola. Ora, cosa succede quando si vuol cantare, cioè emettere suoni legati alle parole? che si tende a staticizzarle, come nel parlato comune, oppure a "suonarle", specie nel canto legato, cioè a badare unicamente alla continuità sonora, tralasciando la pronuncia come un impedimento e un limite. Il che sembra vero! La parola veramente per molti cantanti risulta un intralcio, e quindi la deformano, la piegano in ogni modo pur di riuscire a emettere suoni continuativi. Questo è, mi pare evidente, un accontentarsi, un limitarsi per raggiungere un risultato accettabile per molti. 

La parola deve formarsi immediatamente sulla labbra o poco avanti. Non deve nascere dentro e non deve essere in alcun modo "mandato" fuori. Però il problema è il movimento, il dinamismo che lega la durata del suono vocale e il legame con ciò che segue, la melodia, il canto. Quello che fanno moltissimi, istintivamente, è un po' quello che si pensa essere il funzionamento del pianoforte, cioè che il tasto faccia battere il martelletto sulle corde, schiacciandole. Viceversa, come è realmente, ci sono elementi indipendenti in relazione tra loro. Il suono prodotto dalle corde vocali non deve essere premuto o messo in movimento verso l'esterno. La parola vocale nasce istantaneamente sulle labbra o poco più avanti ma anch'essa non deve essere premuta o spinta, ma slanciata - come avviene per il martelletto che viene sospinto verso le corde, ma liberamente, capace di tornare immediatamente al suo posto - verso lo spazio libero. Così noi dobbiamo concentrarci sulla rilassatezza muscolare e sulla capacità autonoma della parola che però necessita di alimentazione, cioè il fiato che non deve mai arrestarsi o tantomeno frenare. Quindi ogni vocale che debba durare un tot di tempo, dobbiamo considerare che non va tenuta premuta, perché ne impediamo la libera risonanza, quindi una volta pronunciata (perfettamente), è come il martelletto che torna alla sua sede, deve risuonare nello spazio aperto del luogo ove si canta. Le note o parole o vocali che seguono, devono essere sempre lanciate e non premute, imposte, schiacciate, ma sempre lanciate, quasi "schiaffeggiate", in modo da non mantenere alcuna pressione ma sempre lasciando la più ampia libertà di espandersi, risuonare. 

sabato, maggio 07, 2022

L'inizio della fine

Mi è stato chiesto: quand'è iniziato il declino dell'arte vocale? La risposta è difficile, perché poco sappiamo sul periodo ante 900. Sulla base di quanto è stato scritto nel tempo, possiamo ipotizzare che la vocalità abbia avuto una parabola ascendente almeno fino a buona parte del 700 e forse il primissimo 800. A cosa è dovuto l'inizio del declino? In primo luogo ai compositori, che hanno perso la competenza al trattamento della voce, essendo stati spesso loro stessi buoni cantanti. Poi lo squilibrio che si è andato a creare a favore dell'orchestra e a sfavore del palcoscenico, e questo si è aggravato sempre più. Poi ci mettiamo anche l'innalzamento del diapason. Ma la crisi più importante è nata e si è sviluppata per l'ingerenza eccessiva della scienza. E' un discorso che ho già trattato a lungo e non starò a ripeterlo qui.

 E' emblematico consultare un trattato sul canto piuttosto noto, scritto dalla cantante Lilli Lehmann a inizio 900. Già il titolo mi lascia perplesso: canto - arte e tecnica. Sono termini poco compatibili, quindi difficilmente ci può essere coerenza. La Lehmann vorrebbe farci credere che per ben cantare occorre affidarsi alla scienza. Ebbene, nel suo libro di scienza ne ho vista poca o niente. Tutta la trattazione è basata su sue esperienza personali, che oso dire discutibili. Il lato scientifico starebbe nel fatto che il libro è costellato di immagini della testa e linee colorate che segnano percorsi assolutamente soggettivi, personali. Ma anche riferimenti a muscoli, e apparati sono trattati con linguaggio discutibile e non sempre comprensibile, perlomeno non sempre condivisibile. Comunque basta leggere la prefazione per capire che si è basata su fondamenti alquanto labili e discutibili. Riporto le prime frasi:

Se solo gli allievi, così come i cantanti professionisti, si rendessero conto che il suono cantato va cercato all’interno della risonanza del proprio corpo (quindi nella cassa toracica e nella testa) e non all’esterno, dove i cantanti spingono il fiato pensando di ottenere così voci forti e suoni intensi!

In questa frase c'è una verità e una grande sciocchezza. La verità è che i cantanti (molto spesso) spingono. Non è detto che spingano per cantare all'esterno, infatti oggigiorno, dove ben pochi sono indotti a cantare esternamente, il problema della spinta è lungi dall'essere risolto. La sciocchezza è che "il suono cantato va cercato all'interno". Una enorme sciocchezza, che certamente può trovare accoglimento laddove si spinge per indurre la voce a suonare esternamente. Io dico la verità: come si fa a pensare che la voce vada cercata internamente? E' una tale assurdità che mi lascia basito che una cantante oltretutto d'altri tempi possa averlo scritto! Eppure è così, e ovviamente ha fatto storia e su questo falso fondamento si sono costruite scuole e altri trattati. La voce deve correre ed espandersi in uno spazio acustico. Se la voce resta internamente a un organismo, come è il nostro, come può compiere quel miracolo? Certo, se il modo è sbagliato, come è appunto lo spingere, lo schiacciare, il risultato sarà pessimo, ma non è che cercando il suono internamente lo si sia risolto, tutt'altro, si saranno creati altri e ben peggiori problemi!

I muscoli sono le corde che dobbiamo imparare a tendere e ad accordare.

Anche questa frase non ha il minimo senso! Ma chi può imparare a tendere e "accordare" le nostre corde? E' un processo mentale del tutto involontario; è somma presunzione pensare di poterlo controllare.

Come il meccanismo di un orologio deve essere caricato per mettere in funzione tutte le parti che lo compongono, così noi cantanti dobbiamo accordare gli organi e i rispettivi muscoli in modo da formare un meccanismo a incastro e predisporlo al funzionamento. Inoltre dobbiamo regolare continuamente e mantenere in attività questa nostra macchina, anche per il Lied più semplice o per la frase musicale più breve.

Ecco, si vuole equiparare il nostro meraviglioso strumento a una macchina, a un meccanismo. Io invece dico esattamente l'opposto, che NON dobbiamo assimilare la voce ad alcun congegno meccanico, perché il nostro è un ORGANISMO biologico, elastico e modificabile in quanto soggetto alle esigenze spirituali. Ma anche su questo punto la Lehmann prende una cantonata, separando lo spirito che, a suo dire

invece è affidato il controllo dell’espressione artistica. 

Separare è sempre un errore. Olismo, unità sono le parole magiche, e del resto proprio l'aver voluto avvicinare i termini "arte e tecnica" è l'errore fondamentale, perché l'arte è la base evolutiva, mentre la tecnica è statica, produce risultati privi di prospettive, privi di vita.

Cosa dice, poi, all'inizio del capitolo "propositi"? 

Il mio intento è quello di descrivere in modo semplice e comprensibile, e da un punto di vista pratico, le sensazioni fonatorie...

Sensazioni?? Altra disgraziata sciocchezza. Sappiamo bene che le sensazioni sono aspetti SOGGETTIVI, e come tali sono diversi da persona a persona, dunque NON TRASMISSIBILI. In poche righe abbiamo già compreso non solo l'inutilità di questo libro, ma la sua dannosità. In ogni modo prossimamente, se lo riterrò utile, pubblicherò altri passi del libro, non con l'intento di criticarlo ma di comprendere i suoi punti di vista e valutare cosa può esserci di utile e se vi siano dei fondamenti, anche se è chiaro fin dall'inizio che non vi siano, perché il solo fatto di voler trasmettere sensazioni è già di per sé la negazione di una base oggettiva.  

domenica, maggio 01, 2022

Come siamo fatti

 Avere a che fare con una qualsivoglia disciplina artistica, significa dover fare i conti con la nostra interiorità, cioè con la nostra coscienza, il nostro funzionamento fisico, psicologico e spirituale. Si crede di poter fare ciò che si vuole, ma in realtà ci sono due problemi da superare: 1) alcune necessità ontologiche ci portano a seguire determinati percorsi e non altri; 2) la nostra volontà potrà trovare una più o meno forte opposizione dalle forze istintive. Quali sono le leggi o forze cui dobbiamo sottostare, e quali i principi interiori con cui confrontarsi? 

La principale legge che guida molte nostre azioni, è quella di gravità. Il nostro peso, i nostri movimenti sottostanno alla gravità, non possiamo escluderla, dunque muoversi in determinati modi potrà essere facilitato, quindi potremo sfruttarla, oppure reso difficile e quindi richiederà dell'energia per vincerla. Partendo da un dato fisico molto semplice, dobbiamo constatare che l'uomo, nella sua Storia, ha seguito questa legge anche laddove non sembrerebbe rientrare. Un "battere" di un movimento musicale, ovvero un levare .- l'opposto - non sono altro che il seguire o l'opporsi alla forza di gravità. Quindi una frase musicale, il solfeggio, la direzione d'orchestra, sono tutti continui confronti con questa forza. Il ritmo stesso nasce da questa legge. Ma anche il suonare alcuni strumenti, come il pianoforte, necessita di un approfondito studio di come sfruttare o reagire ad essa. Quando il pianista affonda le mani nei tasti lo fa in virtù di una spinta o di un peso? E' una domanda fondamentale per chi affronta lo studio di questo strumento. E quando rialza le mani? Ci sarebbero altri elementi di rilievo da esaminare. Che tipo di movimenti "comodi" può fare l'uomo nello spazio in cui opera? Un pianoforte ha una tastiera orizzontale e lineare. Ma quando allarghiamo le braccia, dovremmo accorgerci che compiamo movimenti rotatori, quindi la tastiera più comoda dovrebbe in un certo senso avvolgerci, cioè curvare, la qual cosa non è possibile considerata la meccanica del piano. Ci sarebbero molte cose da dire, ma qui sto solo facendo piccoli esempi per far capire i principi a cui occorre ispirarsi per studiare seriamente un'arte. 

Ancora a carico della gravità dobbiamo segnalare la polarizzazione, cioè la necessità di trovare punti di impatto e punti di risoluzione, ovvero ancora poli di attrazione e di repulsione. Il sistema "tonale" che riguarda gran parte della musica, si basa su questa necessità. All'inizio del 900 si pensò di comporre musica "democratica" che superasse questo concetto (la dodecafonia), ritenendo che si potessero realizzare sequenze che esorbitassero dalla polarizzazione. Ovviamente è stato un buco nell'acqua, perché trovare un polo di attrazione è un'esigenza della coscienza, per cui ciò che si pensava intellettualmente di poter vincere, tornava nella necessità interiore, e quindi suonando in modo espressivo una sequenza anche dodecafonica, ci si renderà conto che le quinte e le ottave subiranno dei processi tensivi o distensivi, per cui si avranno, pur meno evidenti, punti di attrazione e di repulsione che necessiteranno anche di diverse dinamiche. 

Un secondo problema che incontra chiunque debba compiere azioni artistiche, è di natura fisico-istintiva. Il nostro corpo risponde in primo luogo a esigenze vitali e di sopravvivenza. Le nostre mani, che sono lo strumento fondamentale di ogni artista in qualunque campo, sono in primo luogo "attrezzi" con cui compiere semplici ma fondamentali azioni vitali, quali lo stringere, il battere, il picchiare. Quindi una sorta di pinza, di martello e di paletta. La scioltezza e l'agilità delle dita sono considerati aspetti superflui, per cui abbiamo bisogno di studio ed esercizio per liberarle dal giogo dell'istinto, che lo permetterà perché non è un'evoluzione che può danneggiarci, ma è comunque considerata un'azione superflua, per cui se non giunge ad essere considerata una esigenza fondamentale, cioè non entra nella coscienza, la mancanza di allenamento farà sì che col tempo le mani tornino ad articolarsi con meno libertà. Dobbiamo considerare che analogamente, molte parti del corpo soggiacciono a priorità animalesche, che nel presunto volerle libere per motivi artistici, ci troviamo a incontrare difficoltà persino insormontabili, e che ci fanno gridare al miracolo quando qualcuno riesce laddove la maggior parte delle persone fallisce. Alcune nostre capacità innate, come il senso dell'orientamento, si stanno ormai atrofizzando essendo sempre meno utilizzate. 
Ma veniamo ad alcuni aspetti veramente fondamentali con cui non possiamo fare a meno di confrontarci. 

Una prima necessità ontologica riguarda l'articolazione. Questo è un aspetto anche della Conoscenza con cui dobbiamo fare veramente i conti. Cos'è realmente l'articolazione? E' la necessità che deriva dall'impossibilità di mantenere una massa in condizioni stabili oltre un certo limite. Lo spiego con un elemento architettonico: se prendiamo una trave di cemento armato, sappiamo che ha un peso rilevante. Le dimensioni della trave dipendono dalla lunghezza e dalle forze che dovrà sostenere, entro le quali entra anche il peso stesso della trave. Più la trave e grande, più pesa, e più pesa più dovrà essere grande, la qual cosa a un certo punto diventa paradossale, quindi non si può andare oltre. Cosa succede, allora, che la trave dovrà cambiare forma! Non più un unico blocco pesantissimo, ma tante piccole travi


collegate tra loro (si chiama trave reticolare) con cui si possono fare ponti e grandi strutture (anche se in genere si scelgono materiali diversi, come l'acciaio, ma il discorso non cambia). In un certo senso possiamo dire che abbiamo tolto (TOGLIERE) dalla trave unica, tutto il superfluo, lasciando solo le parti fondamentali che seguono le linee d'azione. Possiamo dire, e qui entriamo in un discorso più filosofico, che ogni unità avrà bisogno di scomporsi e differenziarsi in unità più piccole. Del resto uno dei principi della musica, cioè il suono, altro non è che questo, cioè una vibrazione che dopo un istante, non reggendo l'unità (fondamentale), si suddividerà in tanti suoni inferiori (armonici). Un esempio semplice della necessità di articolare, riguarda la numerazione. Quando dobbiamo comunicare un numero, lo suddividiamo in tanti gruppi. Ma del resto la necessità di categorizzare (maschi-femmine, bianchi-neri o altri colori, grassi-magri, e così via) deriva fondamentalmente da necessità articolatorie. Nella musica questo è un paradigma fondamentale! Un brano musicale, in quanto unità è inconcepibile, troppo grande salvo quando di esigua durata. Dunque questa unità, che noi dobbiamo sempre considerare, se vogliamo realmente accostarci a quest'arte, non potendosi reggere in quanto unità, dovrà articolarsi e suddividersi in note, battute, frasi, ecc.

Deriva da questo, ma anche da altre realtà, la ritmica. Il nostro corpo ha sostanzialmente un funzionamento binario (battito cardiaco, respirazione - che però in determinate situazione diventa ternario -, passo...). Da questo ne conseguono necessità di suddividere per due o tre e le articolazioni superiori sono sempre moltiplicazioni o articolazioni dei valori minimi. 

Altro fenomeno da considerare è l'inerzia, e il suo limite. Quando noi produciamo determinate forze, è possibile che l'elemento su cui agiamo prosegua per qualche tempo il suo movimento. Peraltro, nella nostra dimensione, è destinato a terminare. Anche nel suono avviene questo; quando percuotiamo una corda o una lamina, essa produce una vibrazione, e proseguirà per un po', ma è destinata a esaurirsi in un certo tempo. Questo poi va considerato anche in un'accezione più grande, che riguarda la ripetizione. Se noi produciamo una sequenza di suoni e la riproduciamo ripetutamente, pur fisicamente potendosi estendere all'infinito, genererà in chi ascolta una sorta di assuefazione, per cui possiamo dire che anche in questo caso, come per l'inerzia, il fenomeno è destinato a scomparire, in questo caso, dalla coscienza. Essa cerca attraverso i sensi ciò che conosce, e in primo luogo sé. In un brano musicale un tema può essere riconosciuto dalla coscienza come immagine di sé, e per questo motivo manifesta gioia quando il tema ritorna, perché si riconosce. De resto anche nelle immagini sappiamo che ogni volta che mettiamo due cerchietti (ma anche due rettangoli) con una linea verticale in mezzo (può succedere anche con il fronte di una casa), la nostra coscienza subito ci vede un volto! Essa è legata all'ambito multidimensionale, per cui la bidimensionalità di un foglio e di un disegno sono limitative; se disegniamo un esagono e ci mettiamo tutte le diagonali, noi vi vedremo subito un cubo, cioè una figura tridimensionale. Si tratta di una sorta di effetto ottico, ma dovuto a cosa? Si fa presto a dire che è un effetto ottico, una illusione, ma cosa la genera? La necessità della coscienza di riconoscere.

Ci saranno ancora altri fenomeni da individuare, ma al momento ne espongo un ultimo. Lo chiamo "l'allarme". La nostra coscienza e soprattutto il nostro istinto sono incredibilmente attenti a ciò che succede attorno a noi, e svolgono un compito silenzioso che noi forse manco immaginiamo. Pensate di camminare in una strada molto trafficata, dove ci sono moltissime persone che camminano e parlano, e di fianco una strada dove passano automobili e mezzi di ogni tipo, più una città attiva, con fabbriche, negozi che emetteranno vari tipi di rumore. Quindi voi siete circondati e affondati nei rumori. Camminate e pensate ai fatti vostri, e tutto che c'è attorno può non distogliervi affatto dai vostri pensieri. Cosa lo potrebbe? Diciamo fondamentalmente due fenomeni: una voce che riconoscete, in mezzo a mille, o un volto, se osservate, oppure un segnale d'allarme, una sirena, o un grido di una persona che segnala un pericolo. Magari ci sono anche diversi bambini e ragazzi che gridano e vociano, ma un grido allarmato sarà riconosciuto più facilmente, perché sono gli istinti che lo conoscono e producono reazione.