Le persone che non hanno idea di come funzioni un pianoforte, immagino che pensino che premendo un tasto questo sia collegato a un martelletto che colpisce la corda. Questo elementare congegno sortirebbe un esito orribile, infatti fu proprio al centro dei vari progressi che portarono alla creazione dei moderni pianoforti. Non sono assolutamente esperto in materia, dunque mi scuso se la descrizione che vado a fare sarà approssimativa, ne parlo, oltre che per dare qualche ragguaglio informativo, per motivi legati al canto, come è ovvio. Dunque il tasto non è legato direttamente al martello, in quanto se quest'ultimo battesse sulle corde in base al tempo per cui si mantiene premuto il tasto, la risonanza delle corde sarebbe impedita. L'aspetto funzionale sta nel fatto che il martello deve battere... e andar via, non fermarsi mai contro le corde. Per far ciò ha bisogno di uno slancio e di una ricaduta, per cui il tasto è legato a una prima meccanica che a sua volta esercita una sorta di "schiaffo" alla meccanica del martelletto, che viene quindi sospinto verso le corde con una sorta di slancio, e quando incontra le corde viene fermato e quindi torna in sede. In questo modo le corde sono libere di risuonare. Il tasto è invece legato direttamente allo smorzatore, cioè un feltro che si alza dalle corde quando si abbassa il tasto e si riabbassa quando si lascia andare il tasto, oppure al pedale, che fa alzare tutti gli smorzatori e quindi fa suonare tutte le corde per simpatia. Lo scappamento è dunque questo meccanismo che "schiaffeggia" posteriormente il martelletto e gli consente quello slancio che lo spedisce verso le corde.
Nelle varie analogie che spesso ricerco per esemplificare in modo semplice e "innocuo" il canto libero, non mi era venuto ancora in mente lo scappamento, finché non ho visto un tecnico all'opera su un pianoforte. Ovviamente l'analogia è puramente simbolica, non esiste alcuna meccanica del genere nel corpo umano. La analogia cui faccio riferimento può, tutt'al più, riguardare il fiato e NON nella catena dentro fuori, ma solo fuori-fuori. Come ho già descritto in vari momenti, compresi recenti video, non si deve mai spingere il suono dall'interno verso l'esterno; il suono è suono, cioè è una vibrazione senza qualità; ciò che imprime qualità (o meglio CONOSCENZA) al suono è la pronuncia, la quale però non può essere fornita compiutamente all'interno del cavo orale, ma si esplica in modo perfetto solo all'esterno della bocca. Questo processo, che compiamo continuamente in modo semplice e automatico ogni volta che parliamo, riusciamo a replicarlo nel canto, forse, solo quando accenniamo o "canticchiamo" senza pensare. Voler cantare inserendo volume, intensità, espressività, ricchezza timbrica ed estensione, è difficile perché non è un dato che abbiamo assimilato nel DNA, per cui il nostro sistema istintivo lo rifiuta e lo combatte, però lo può tollerare quando lo alleniamo incessantemente senza procurare troppi danni. Ecco a cosa si risolvono la maggior parte dei metodi di insegnamento, scritti, orali e pratici: "tecniche" cioè procedimenti meccanici, che reiterando determinate formule (perlopiù vocalizzi), associate a vari movimenti muscolari e respiratori, consentono di forzare la tolleranza dell'istinto e a consentire quindi un canto di una certa qualità. La possibile durata nel tempo di un simile modo di cantare è legata innanzi tutto a quanto violento o intelligente è l'approccio, ma forse prima ancora a quante risorse fisiche, muscolari, strutturali possiede il cantante, cioè la sua resistenza. Parlo di doti naturali. La conquista di una vera vocalità artistica non può essere legata a esercizi ginnici! O meglio, può, ma con i limiti che un simile procedimento possiede. Se si affronta la vocalità cercando, coscientemente o meno, di forzare la tolleranza istintiva, si genererà necessariamente un conflitto. La bontà del canto e la durata nel tempo della qualità e della stessa voce sono legate a quanto si riesce a rendere meno cruento questo conflitto e/o a quante risorse fisiche si riescono a opporre alla reazione istintiva.
Qual è dunque l'alternativa, purtroppo destinata a pochissimi nella Storia del canto artistico? Comprendere che il grande canto è "SEMPLICEMENTE" l'evoluzione del parlato, ovverosia l'evoluzione della RESPIRAZIONE che sostiene il parlato. Non v'è altro da dire. Chi comprende questo e si mette nella disposizione per realizzarlo, forse potrà; diversamente alimenterà la schiera interminabile dei cantanti da mediocri a validi, buoni, piacevoli. Ma sono forze spirituali interiori che non tutti avvertono e a cui non si presta troppa attenzione, perché hanno un costo personale che posso definire quasi spaventoso. Per cui la mia "crociata" per un canto artistico puro, cosciente, perfetto, potrei dire che è tempo perso, parole al vento. Ma è una mia necessità interiore quella di seminare, nella remota ipotesi che possa trovare qualche lembo di terra fertile ove germogliare e fruttificare. Ciò che mi amareggia di più, però, è constare che persone che avrebbero l'intelligenza e la cultura per avvicinarsi a questa scuola, se ne tengono lontane e farfugliano senza un concreto pensiero conchiuso in sé.
Dopo questa ennesima tiritera, veniamo allo scappamento, o meglio, a quanto posso suggerire analogicamente nel canto. Qual è la differenza tra il parlato e il canto? Il primo è sostanzialmente statico, essendo per lo più formato da una serie rapida di fonemi piuttosto slegati tra di loro. Questo consente al fiato di non stancarsi, di non avere un impegno continuativo e soprattutto di non subire una pressione costante. Il canto è, all'opposto, una procedura dinamica dove la qualità cresce al crescere della costanza. In questo senso purtroppo si commette il peccato mortale di confondere la voce, che è espressione di parole, con i suoni, che sono un limite, essendo unicamente vibrazioni fisiche, carenti della qualità spirituale più elevata, cioè la parola. Ora, cosa succede quando si vuol cantare, cioè emettere suoni legati alle parole? che si tende a staticizzarle, come nel parlato comune, oppure a "suonarle", specie nel canto legato, cioè a badare unicamente alla continuità sonora, tralasciando la pronuncia come un impedimento e un limite. Il che sembra vero! La parola veramente per molti cantanti risulta un intralcio, e quindi la deformano, la piegano in ogni modo pur di riuscire a emettere suoni continuativi. Questo è, mi pare evidente, un accontentarsi, un limitarsi per raggiungere un risultato accettabile per molti.
La parola deve formarsi immediatamente sulla labbra o poco avanti. Non deve nascere dentro e non deve essere in alcun modo "mandato" fuori. Però il problema è il movimento, il dinamismo che lega la durata del suono vocale e il legame con ciò che segue, la melodia, il canto. Quello che fanno moltissimi, istintivamente, è un po' quello che si pensa essere il funzionamento del pianoforte, cioè che il tasto faccia battere il martelletto sulle corde, schiacciandole. Viceversa, come è realmente, ci sono elementi indipendenti in relazione tra loro. Il suono prodotto dalle corde vocali non deve essere premuto o messo in movimento verso l'esterno. La parola vocale nasce istantaneamente sulle labbra o poco più avanti ma anch'essa non deve essere premuta o spinta, ma slanciata - come avviene per il martelletto che viene sospinto verso le corde, ma liberamente, capace di tornare immediatamente al suo posto - verso lo spazio libero. Così noi dobbiamo concentrarci sulla rilassatezza muscolare e sulla capacità autonoma della parola che però necessita di alimentazione, cioè il fiato che non deve mai arrestarsi o tantomeno frenare. Quindi ogni vocale che debba durare un tot di tempo, dobbiamo considerare che non va tenuta premuta, perché ne impediamo la libera risonanza, quindi una volta pronunciata (perfettamente), è come il martelletto che torna alla sua sede, deve risuonare nello spazio aperto del luogo ove si canta. Le note o parole o vocali che seguono, devono essere sempre lanciate e non premute, imposte, schiacciate, ma sempre lanciate, quasi "schiaffeggiate", in modo da non mantenere alcuna pressione ma sempre lasciando la più ampia libertà di espandersi, risuonare.
Qualche giorno fa, cantando, tenevo una nota lunga sulla e chiusa, essendo alta non era giusta ed infatti l'ho corretta mentre risuonava, ma alla fine mi era sembrata giusta. In realtà, stando a quanto scrivi, una vocale, una volta pronunciata, va lasciata andare. Come si conciliano queste due cose (correggere la vocale mentre viene cantata e lasciarla andare una volta pronunciata)?
RispondiEliminaLa pronuncia è staccata dal corpo ma tu la controlli mediante l'udito; se non è corretta la puoi modificare "in lontananza", cioè senza muovere niente, nella risonanza ambientale.
RispondiEliminaA volte, per esempio con la A, mi sembra che debba "raggiungerla" e il fiato non è sufficiente, nel caso della é mi sembra che debba modificare la postura delle labbra
RispondiEliminaSalve, sono un umile appassionato di musica e vocalità. Sono rimasto particolarmente colpito da alcuni tuoi articoli, in particolare da quello sulla corda da contraltino che hai pubblicato alcuni anni fa, categoria vocale che mi ha sempre affascinato, corda spesso mistificata anche da molti addetti ai lavori e spesso confusa col modo di cantare di contraltisti/sopranisti che sono tutt'altra cosa. Leggendo varie pagine e gruppi su Facebook in argomento canto ho scoperto l'esistenza qui in Italia di un contraltino naturale, però, ascoltando alcune sue incisioni pubblicate sul suo canale YouTube, noto una qualità vocale (seppur soggettivamente parlando mi piaccia molto) completamente differente da quella di tutti i contraltini citati nel tuo vecchio articolo, ossia i vari Lauri-Volpi, Loforese, Kraus, Pavarotti, Merritt, Kunde, Florez ecc. Eppure lui sostiene di essere un contraltino naturale e non un contraltista.
RispondiEliminaSiccome sono un semplice ascoltatore e appassionato ti chiedo se senti anche tu queste differenze timbriche fra i contraltini sopracitati e lui, fermo restando che a me comunque la sua voce piace e non chiedo giudizi estetici ma squisitamente tecnici. https://m.youtube.com/watch?v=0hAnPPzTg2o
Differenze timbriche? Questo canta da mezzosoprano con la tecnica di tutti i cosiddetti "controtenori". Non esiste possibilità di raffronto con Lauri Volpi, Kraus e compagnia, sono registri completamente diversi.
EliminaEcco non volevo dirlo esplicitamente per non fare la figura del presuntuoso sborone, non avendo studi seri di canto alle spalle, ma effettivamente sì, mi pare canti proprio da contraltista o controtenore secondo l'accezione più in voga del termine, e anche a me i suoi acuti suonano come quelli di un mezzosoprano piuttosto che come quelli di un contraltino autentico come Loforese o Kraus. Inoltre nel suo canale son presenti solo esecuzioni di arie scritte originariamente per contralti castrati, e fra queste si cimenta anche nell'esecuzione di un "Adagiati Poppea" il cui ruolo di Arnalda era originariamente scritto da Monteverdi per un contralto donna, nemmeno per un contralto castrato. Comunque c'è da dire che la sua personale esecuzione di "Domerò la tua fierezza" è decisamente migliore qualitativamente parlando rispetto a quella di un celebre controtenore quale Franco Faggioli, la cui esecuzione è a dir poco oscena.
EliminaLasci perdere i "controtenori" (virgolettato d'obbligo, trattandosi di un neologismo derivato dall'inglese "countertenor" - che era un high tenor chiaro e leggero paragonabile ad un contralto - in italiano storicamente inesistente). Ascolti invece le grandi voci del passato: tra i tenori - che nulla, ma proprio nulla c'entrano coi falsettisti - Francesco Tamagno, Bernardo de Muro, Schipa, Lauri Volpi, Gigli. Se vuole sentire i grandi mezzosoprani, senta la Berganza, la Supervia, oppure esplori i dischi del primo Novecento. Infine, per soddisfare la sua curiosità, alcuni esempi di veri countertenors: Richard Jose, Russell Oberlin, Rodrigo del Pozo.
EliminaNon conoscevo questi cantanti, hanno un suono vocale androgino e insolito, soprattutto Oberlin che sembra davvero una voce femminile. Ecco in questi cantanti noto la stessa qualità vocale di Galeano, non mi sembra tanto dissimile dalla loro, forse perché a differenza dei controtenori falsettisti come Fagioli cantano a voce piena?
EliminaI controtenori che io ho menzionato non hanno nulla di femminile, cantano in una tessitura di contralto con il loro timbro naturale, che può risultare al più ambiguo e asessuato, ma non femminile. Galeano come quasi tutti quelli che oggi si definiscono controtenori, ha una normale laringe maschile che mediante il registro di testa puro imita il registro di mezzosoprano. È completamente femminile e artificiale.
EliminaPer carità non intendevo femminile in senso offensivo, forse mi sono espresso male, in effetti timbro asessuato, androgino, è più corretto per definire queste vocalità (i controtenori veri come Oberlin, del Pozo eccetera). Riguardo Galeano non ho la più pallida idea di cosa sia realmente e neanche mi interessa, solo che la descrizione data dal vecchio articolo nel blog del contraltino (voce particolarmente estesa in acuto che sovente viene scambiata per baritono o addirittura per basso) sembrava combaciare alla perfezione con la storia vocale che Galeano raccontò in un vecchio gruppo pubblico Facebook sull'argomento "controtenore", diplomatosi come "basso-baritono" al conservatorio e poi scopertosi vero "controtenore / contraltino"... a questo punto però mi chiedo se la differenza fra contraltini quali Blake, Kraus, Loforese, Lauri-Volpi e controtenori come Oberlin, del Pozo, sia solo nel colore timbrico, molto acuto ma tendenzialmente un filo più scuro e "maschile" nei primi, piuttosto chiaro e "ambiguo" nei secondi. Dimenticavo, in ambito classico l'unico tipo di vocalità che non soffro è quella dell'ottavista... aveva ragione Garcia, i loro suoni ricordano il rutto di un porco.
EliminaCiao Massimo; condivido tutto quanto ha scritto Francesco. Contraltino e controtenore sono due termini alquanto distanti tra loro. Il contraltino è una voce sostanzialmente tenorile con alcune caratteristiche peculiari, che dipendono dal fatto che le loro corde vocali sono più lunghe rispetto a quelle del tenore, e quindi hanno maggiore facilità nel settore acuto, potendo raggiungere anche note sovracute notevoli, quale il "fa" dei puritani in voce piena. Questa particolarità delle corde dà anche a molti di loro la possibilità di un registro grave baritonale (Spyres, ad esempio). Quella del contraltino è una CLASSE vocale, non una sfumatura tenorile, come molti credono, quindi esistono contraltini leggeri, lirici e anche drammatici, come Gregory Kunde. Il contro/a tenore, come ha già spiegato Francesco, non canta in voce piena, ma con un artificio che accorcia la porzione vibrante di corda e che simula quella femminile. Quindi un controtenore può anche essere un baritono (anzi, lo sono spesso), che poi cantando con questa modalità imita la voce femminile, ma non c'è rapporto con la propria voce piena naturale. Saluti
EliminaBuonasera Fabio, grazie per la gentile risposta e per i dovuti chiarimenti. E Russell Oberlin invece lo si può definire un tenore molto leggero con voce piena appunto "ambigua" o con molta probabilità usava un meccanismo simile a quello dei controtenori attuali (credo che questo metodo si chiami damping o stop closure falsetto)? Leggendo proprio ora la sua biografia in inglese, lui iniziò gli studi canori come tenore leggero, e la sua voce parlata, per quanto chiara e acuta possa essere è comunque inequivocabilmente maschile. Di Richard Josè invece ho letto che pare fosse un "castrato naturale".
EliminaMassimo, il concetto di fondo è questo: quelli che oggi vengono chiamati "controtenori" sono quasi sempre normali individui di sesso maschile con una normale laringe maschile, che in voce naturale sarebbero tenori e baritoni. Imitano il mezzosoprano (i sopranisti sono più rari) semplicemente coltivando l'emissione di pura testa, bypassando completamente la propria voce naturale di petto. Di fatto imitano la voce femminile o infantile, fanno i surrogati. È una facoltà che tutte le laringi maschili possiedono, ed è stata utilizzata anche in passato per fini appunto imitativi, spesso in chiave comica. Con i moderni "controtenori", da ormai più di mezzo secolo è invece diventata una maniera di cantare accettata seriamente.
EliminaIl fatto che si chiamino contro-tenori, termine discutibile e per me storicamente infondato, non deve assolutamente indurre a credere che essi siano un sottogenere della classe vocale del tenore o del tenore contraltino! Sarebbe più corretto infatti chiamarli falsettisti, o mezzosopranisti/sopranisti a seconda della tessitura. È una categoria vocale ARTIFICIALE, ossia fondata su una tecnica artificiosa che non sfrutta la voce naturale del soggetto. Non c'entrano nulla né coi tenori, né coi tenori contraltini, e nulla con i pochi rari e veri countertenors come Oberlin.
Perfetto ora è tutto più chiaro, grazie! Infatti sono molto rare le voci maschili così naturalmente chiare e androgine come quella di Oberlin, e di recente mi è capitato di sentire sempre su Youtube la voce di un maestro di canto che non ha compiuto la muta vocale (come racconta lui stesso) e ha una voce da contralto/mezzosoprano naturale, una vocalità insolita ma che trovo, soggettivamente parlando, bellissima. https://m.youtube.com/watch?v=w2Ybs4VaovQ
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