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sabato, maggio 07, 2022

L'inizio della fine

Mi è stato chiesto: quand'è iniziato il declino dell'arte vocale? La risposta è difficile, perché poco sappiamo sul periodo ante 900. Sulla base di quanto è stato scritto nel tempo, possiamo ipotizzare che la vocalità abbia avuto una parabola ascendente almeno fino a buona parte del 700 e forse il primissimo 800. A cosa è dovuto l'inizio del declino? In primo luogo ai compositori, che hanno perso la competenza al trattamento della voce, essendo stati spesso loro stessi buoni cantanti. Poi lo squilibrio che si è andato a creare a favore dell'orchestra e a sfavore del palcoscenico, e questo si è aggravato sempre più. Poi ci mettiamo anche l'innalzamento del diapason. Ma la crisi più importante è nata e si è sviluppata per l'ingerenza eccessiva della scienza. E' un discorso che ho già trattato a lungo e non starò a ripeterlo qui.

 E' emblematico consultare un trattato sul canto piuttosto noto, scritto dalla cantante Lilli Lehmann a inizio 900. Già il titolo mi lascia perplesso: canto - arte e tecnica. Sono termini poco compatibili, quindi difficilmente ci può essere coerenza. La Lehmann vorrebbe farci credere che per ben cantare occorre affidarsi alla scienza. Ebbene, nel suo libro di scienza ne ho vista poca o niente. Tutta la trattazione è basata su sue esperienza personali, che oso dire discutibili. Il lato scientifico starebbe nel fatto che il libro è costellato di immagini della testa e linee colorate che segnano percorsi assolutamente soggettivi, personali. Ma anche riferimenti a muscoli, e apparati sono trattati con linguaggio discutibile e non sempre comprensibile, perlomeno non sempre condivisibile. Comunque basta leggere la prefazione per capire che si è basata su fondamenti alquanto labili e discutibili. Riporto le prime frasi:

Se solo gli allievi, così come i cantanti professionisti, si rendessero conto che il suono cantato va cercato all’interno della risonanza del proprio corpo (quindi nella cassa toracica e nella testa) e non all’esterno, dove i cantanti spingono il fiato pensando di ottenere così voci forti e suoni intensi!

In questa frase c'è una verità e una grande sciocchezza. La verità è che i cantanti (molto spesso) spingono. Non è detto che spingano per cantare all'esterno, infatti oggigiorno, dove ben pochi sono indotti a cantare esternamente, il problema della spinta è lungi dall'essere risolto. La sciocchezza è che "il suono cantato va cercato all'interno". Una enorme sciocchezza, che certamente può trovare accoglimento laddove si spinge per indurre la voce a suonare esternamente. Io dico la verità: come si fa a pensare che la voce vada cercata internamente? E' una tale assurdità che mi lascia basito che una cantante oltretutto d'altri tempi possa averlo scritto! Eppure è così, e ovviamente ha fatto storia e su questo falso fondamento si sono costruite scuole e altri trattati. La voce deve correre ed espandersi in uno spazio acustico. Se la voce resta internamente a un organismo, come è il nostro, come può compiere quel miracolo? Certo, se il modo è sbagliato, come è appunto lo spingere, lo schiacciare, il risultato sarà pessimo, ma non è che cercando il suono internamente lo si sia risolto, tutt'altro, si saranno creati altri e ben peggiori problemi!

I muscoli sono le corde che dobbiamo imparare a tendere e ad accordare.

Anche questa frase non ha il minimo senso! Ma chi può imparare a tendere e "accordare" le nostre corde? E' un processo mentale del tutto involontario; è somma presunzione pensare di poterlo controllare.

Come il meccanismo di un orologio deve essere caricato per mettere in funzione tutte le parti che lo compongono, così noi cantanti dobbiamo accordare gli organi e i rispettivi muscoli in modo da formare un meccanismo a incastro e predisporlo al funzionamento. Inoltre dobbiamo regolare continuamente e mantenere in attività questa nostra macchina, anche per il Lied più semplice o per la frase musicale più breve.

Ecco, si vuole equiparare il nostro meraviglioso strumento a una macchina, a un meccanismo. Io invece dico esattamente l'opposto, che NON dobbiamo assimilare la voce ad alcun congegno meccanico, perché il nostro è un ORGANISMO biologico, elastico e modificabile in quanto soggetto alle esigenze spirituali. Ma anche su questo punto la Lehmann prende una cantonata, separando lo spirito che, a suo dire

invece è affidato il controllo dell’espressione artistica. 

Separare è sempre un errore. Olismo, unità sono le parole magiche, e del resto proprio l'aver voluto avvicinare i termini "arte e tecnica" è l'errore fondamentale, perché l'arte è la base evolutiva, mentre la tecnica è statica, produce risultati privi di prospettive, privi di vita.

Cosa dice, poi, all'inizio del capitolo "propositi"? 

Il mio intento è quello di descrivere in modo semplice e comprensibile, e da un punto di vista pratico, le sensazioni fonatorie...

Sensazioni?? Altra disgraziata sciocchezza. Sappiamo bene che le sensazioni sono aspetti SOGGETTIVI, e come tali sono diversi da persona a persona, dunque NON TRASMISSIBILI. In poche righe abbiamo già compreso non solo l'inutilità di questo libro, ma la sua dannosità. In ogni modo prossimamente, se lo riterrò utile, pubblicherò altri passi del libro, non con l'intento di criticarlo ma di comprendere i suoi punti di vista e valutare cosa può esserci di utile e se vi siano dei fondamenti, anche se è chiaro fin dall'inizio che non vi siano, perché il solo fatto di voler trasmettere sensazioni è già di per sé la negazione di una base oggettiva.  

12 commenti:

  1. Anonimo12:36 AM

    Bisogna ammettere però che i trattati di canto lasciano un po' tutti il tempo che trovano. E' un genere di letteratura tra i più inutili in assoluto: penso che se fossero stati tutti cancellati dalla storia, per il tramandarsi dell'arte del canto non avrebbe fatto alcuna differenza. Anzi, forse sarebbe stato anche meglio, visto che nella maggior parte dei casi contengono solo opinioni soggettive, più o meno bislacche ed infondate.

    Del resto vere scuole di canto non è dimostrabile siano mai esistite: voglio dire che la fonazione, l'emissione, il fiato, l'estensione, il volume, lo squillo, l'intonazione, è plausibile siano sempre dipesi più che altro dal talento naturale. In altre parole: cantanti si nasce. E' un dono. Frasi fatte, certo, eppure...

    Del resto la stessa direzione d'orchestra è una disciplina la cui didattica non ha storia. E' evidente che Celibidache e Antonietti siano stati due giganti solitari nella storia dell'insegnamento di queste due discipline.

    Ciò detto, la decadenza è argomento che mi infervora sempre. La scienza ha le sue responsabilità, ma secondo me non vanno ingigantite. Oltre la scienza, c'è un più vasto problema, che è la tecnica. La riproducibilità tecnica dei suoni, il disco, questa è in ultima analisi la vera sciagura, la piaga che ha flagellato l'arte musicale e l'arte canora a partire dal primo Novecento.

    Pensiamo a come oggi la tecnica sia arrivata a fare le veci dei cantanti anche per l'intonazione: a Sanremo cantano tutti con l'ausilio di sistemi di auto-tune.
    Uscire in compagnia è una cosa per me impossibile a causa dei volumi spacca timpani che gli amplificatori sparano in piazze, fiere, locali; e per milioni, miliardi di anime questo chiasso è musica. Viviamo in un'epoca di allucinante decadimento culturale, estetico, etico, sociale.

    Il disco ha corrotto profondamente anche la musica "classica". Basti pensare che i tempi di esecuzione vengono stabiliti a tavolino seguendo come riferimento le registrazioni su cd. Dal vivo è tutta una cacofonia. La gran parte di ciò che si sente eseguire è atroce, compresi i nomi blasonati.

    L'apocalisse per la musica, e per il canto, inizia con il disco, è inutile girarci tanto attorno.

    Poi si può discutere se prima fosse già in atto un qualche decadimento. Be', probabilmente sì, anzi certamente! Fu un decadimento dettato dall'evolversi delle forme. L'apice del canto, cioè la perfetta simbiosi di parola e intonazione, la più bella e potente parola intonata ritengo siano da ricercarsi nell'epoca di Monteverdi. Ascoltavo in questi giorni alcuni salmi intuonati da questo genio assoluto, e mi sono reso conto ancora una volta che questo per il canto è il repertorio più bello di tutti.

    Già con il Seicento e peggio con il Settecento, la musica entra nei teatri e diventa un fenomeno di consumo, diventa roba vendereccia, si degrada, perde il proprio status nobiliare. Le note prevalgono sulla parola. Acrobazie e virtuosismi esornativi sostituiscono la fine inventiva dei madrigalisti rinascimentali. Nel contempo la tecnica permette l'emanciparsi degli strumenti musicali, fino a quando nell'Ottocento i compositori cercheranno clangori sempre più nocivi per la voce.

    I dischi a 78 giri ci fotografano cos'era il canto nel primo Novecento, e bisogna pur dire che non erano mica tutti Tito Schipa.


    Francesco N.







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    1. Sono sostanzialmente d'accordo su tutto quanto hai scritto. Forse aggiungerei che non tutto il male vien per nuocere, cioè bisogna considerare che determinate spinte, come possono essere stati i teatri, hanno contribuito anche a qualche evoluzione. Cioè il rischio dell'adagiarsi, connaturato all'istinto, reprime la ricerca. Poi la ricerca esorbita e crea danni, ma questo è nel gioco, l'evoluzione comporta anche aspetti involutivi.

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  2. D'accordo su molte cose, ma non sul fatto che cantanti si nasce, o meglio, non con la voce "in tasca", forse si nasce con una esigenza interiore di cantare, ma l'imposto va lavorato, anche per i più dotati, con un processo che Fabio insiste sempre a chiamare "evoluzione della coscienza"! Sul disco sono d'accordo e adesso sta succedendo qualcosa di simile con il video e le foto: il paragone è azzardato, ma il senso è che si tende a voler "registrare" gli eventi, piuttosto che a viverli

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    1. Credo di conoscere il pensiero di Francesco, ed è che oggigiorno per cantare bisogna avere la voce innata, perché difficilmente le scuole di canto sono in grado di portare un allievo con difficoltà iniziali a superarle e affrontare una carriera solistica professionale. Purtroppo questa è la verità cui assistiamo.

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  4. Anonimo2:39 AM

    Per cantare il repertorio lirico ottocentesco non basta avere una spinta interiore, né la migliore scuola del mondo. Servono una bocca, una gola, una faccia, due polmoni, con una notevole conformazione ed allineamento naturali. Serve la voce, e la voce te la dà mamma. L'opera lirica a partire dal Sei-Settecento è stata scritta per cantanti professionisti con doti eccezionali. Non dico che sia rarissimo trovare voci, anzi; ma chi la voce ce l'ha, con quella ci nasce, ed è immediatamente evidente la disposizione al canto. Arrivano al maestro che già potrebbero cantare. La scuola è secondaria rispetto alla natura, è sempre stato così. Parlo di chi ha ambizioni professionali, ovviamente: la natura per la carriera è il 90%.

    Francesco

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  5. Anonimo9:48 AM

    Del resto se così non fosse, chi mai canterebbe?! Si canta, quasi sempre, nonostante la scuola, e non grazie ad essa. Le "scuole" fissano solo difetti, con poche eccezioni. Se leggiamo la biografia anche del più infimo cantante, si tratta di soggetti che già cantavano, che già avevano una voce, prima ancora di approdare ad un maestro o al conservatorio. Questi allievi, alcuni dei quali prodigiosi, sono poi quelli che fanno la fortuna dei maestri, i quali si accaparrano il merito del loro talento, quando l'unico loro merito è stato tutt'al più averli subito selezionati intuendone il potenziale. Il canto è sempre stato questione di natura, di talento. Questo a conferma del fatto che cantare non è una tecnica, ma qualcosa di molto più profondo e difficile da acquisire.

    Francesco

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    1. Credo sia necessario un chiarimento, al di là delle sensazioni ottimistiche o pessimistiche, dove è chiaro che ormai da parecchio tempo sono queste ultime a prevalere.
      Fare una carriera professionale solistica primaria richiede dei requisiti. Imparare un'opera non è cosa facile; iniziare un'attività professionale significa molto spesso imparare molte parti secondarie di opere magari non molto note, quindi bisogna avere una buona lettura, un'ottima musicalità e una buona capacità di memorizzazione. In ogni modo significa che nell'arco di pochi anni occorre avere un repertorio, quindi un pacchetto di diverse opere complete e poi quando ti scritturano dover imparare anche in tempi molto brevi opere anche del tutto sconosciute. Anche solo andare a fare un'audizione richiede di dover sostenere arie e brani di una certa complessità e riuscire a cantarli di fronte a commissioni esigenti con credibilità, sicurezza. Saper dominare le emozioni non so se si può definire talento, ma in ogni modo è qualcosa che bisogna avere o imparare velocemente. Più si è giovani più è facile, e viceversa. Cantare in teatro significa anche avere buone capacità gestuali, e poi di questi tempi, con i registi pazzi che circolano significa saper cantare credibilmente mentre si sta facendo qualunque cosa. Se la carriera va bene, significa anche salire e scendere da aerei in continuazione e vivere lunghi periodi lontano da casa in alberghi e passare molto tempo in varie sale dei teatri, gestirsi economicamente, avere a che fare con agenti e direttori d'orchestra, registi e direttori di teatro. Insomma, sarà chiaro che non è un lavoro impiegatizio e ci vuole una tempra psicologica non indifferente e un buon fisico per reggere tutto questo. A me il termine talento non è mai piaciuto, però devo convenire con Francesco che fare il cantante di cartello richiede doti non comuni. Cantare bene, senza puntare alla celebrità, non è detto richieda tutto questo, e allora possiamo riparlarne in altri termini.

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    2. Anonimo10:52 AM

      Il mio discorso era al netto di tutte queste altre difficoltà e capacità che la professione richiede! Insomma, mi pare semplice: se con la mano prendo a fatica un'ottava, potrò forse praticare il pianoforte a casa mia, suonando Mozart o Bach, ma difficilmente potrò ambire ad esibirmi nel repertorio romantico che richiede mani grandi e robuste. Nel canto è uguale: l'opera lirica presuppone requisiti naturali che non tutte le voci hanno. E poi il talento è evidente che esiste, fin da bambini si vede. Io sono assolutamente convinto che tutti i cantanti della storia sapevano già cantare anche prima di aver mai preso una lezione.

      Francesco

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    3. Devo dire che non condivido del tutto il "tono" di questi messaggi. Io parto da un altro punto di vista, e mi azzardo a definire il talento un limite. Il talento è qualcosa che ti dà sicurezza, ti dà facilità, ecc. ma ti toglie coscienza. Allora facciamo l'esempio: Callas e di Stefano. Due enormi talenti. Di Stefano deve la sua celebrità, il suo mito, alla bellezza stratosferica della voce e alla sua grande generosità. Lui si rifiutò di studiare e per tutta la vita restò ancorato all'idea che si canta con il talento. Però vocalmente dopo pochissimi anni lui era già in crisi! Lui non deve la sua fortuna al talento vocale, perché con quello sarebbe durato pochissimo. La Callas, viceversa, sfruttò sì il talento enorme, ma buona parte della vita la dedicò a uno studio quasi maniacale. Se la Callas è un mito lo deve a sé stessa, in primo luogo, dove il talento ha costituito solo una parte del successo. Bisogna sempre considerare il criterio di valutazione. Se parliamo di successo di pubblico, allora il talento gioca un ruolo importante. Se parliamo di personalità artistiche allora dobbiamo rifarci al grado di coscienza, che non solo non ha rapporti col talento, ma è addirittura un limite, come dicevo all'inizio. Il discorso è lungo e non è questo luogo per dispiegarlo, ma credo ci siano tutti gli elementi per comprendere ciò che intendo.

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    4. Anonimo11:03 AM

      È ovvio che i veri grandi sono coloro che al grande talento hanno unito la grande scuola. Ma io partivo da una considerazione più bassa: i trattati di canto. A chi servono? Sono libri scritti per darsi visibilità, che in realtà non hanno mai insegnato a nessuno come si canta. La domanda che mi tormenta è: cosa può fare la scuola, senza il talento? Io per talento intendo trovarsi già di natura con una voce intonata, in grado di sostenere il canto, non importa se con difetti, ma di fatto in grado di cantare e di reggere la propria tessitura naturale in modo accettabile. C'è chi già parte da questa condizione, e allora qui sì se c'è una intelligenza ed una spinta interiore al raggiungimento di risultati artistici di un certo tipo, la grande scuola può forgiare un vero artista.

      Chi natura non ha messo in condizioni di avere già una voce decente, cioè chi vuole cantare unicamente per passione, e non perché prescelto dal proprio talento, dove mai può arrivare? Lascio la domanda aperta.

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  6. Anonimo1:24 PM

    Non per tediare o per il gusto di polemizzare, anche perché mi rendo conto che la discussione non è strettamente attinente all'argomento del post iniziale. Anzi forse meriterebbe un post a parte. Volevo fare una sintesi per chiudere, visto che l'argomento è comunque importante, pessimismi anticostruttivi a parte.

    Sulla terra abbiamo un tempo limitato, ed è ahinoi un mondo dove regna una forte, spietata competizione. La musica è disciplina tra le più avare e crudeli quanto a soddisfazioni e possibilità di raggiungere determinati obiettivi. Di fatto non si finisce mai di studiare e perfezionarsi. È così nello sport, e nelle materie artistiche a maggior ragione. Non oso pensare a cosa sia per esempio la danza. Una disciplina dove sicuramente impera una selettività severissima quanto a requisiti fisici innati, oltre poi all'enorme lavoro di studio e allenamento che richiede.

    Ognuno di noi nutre in sè, nel proprio spirito, sogni, ambizioni, passioni. Ogni soggetto è anche portatore direi nel DNA di determinate attitudini, capacità, predisposizioni, che possiamo chiamare talenti. Siamo tutti diversi gli uni dagli altri. Una cosa che a me riesce facile, per altri può risultare più complessa, e viceversa. Direi che ognuno nascendo "eredita" talenti ed anti-talenti. Cose per cui è ben portato, ed altre per cui è negato, inetto, incapace. La natura oltretutto non è sempre equa e democratica nella spartizione di queste qualità. A volte non lo è per nulla: c'è chi nasce con tutte le fortune, chi con niente.

    Non è detto poi che le passioni coincidano con i talenti. In certi casi può esistere una dicotomia. Ricordo che un po' di tempo fa girava un meme di un qualche famoso personaggio dell'imprenditoria, il quale in sostanza consigliava ai giovani di costruirsi una vita seguendo il talento, prima della passione. "Concentrati su ciò che ti riesce bene, non necessariamente su ciò che ti piace."

    Venendo al canto. Io so per certo che al di fuori di questa scuola, NON ESISTE e forse non è mai esistito, un maestro capace di tirar fuori una voce intonata, da un allievo del tutto negato, privo di attitudine naturale. Nei conservatori ci sono esami attitudinali per tutti gli strumenti. Se non sei già un cantante fatto, compresa la lettura a prima vista (un'altra cosa che o ce l'hai di natura, oppure ben difficilmente arriverai mai a padroneggiare al 100%) mica ti prendono. Se io apro bocca e quel che mi esce è un rantolo calante, non c'è maestro che possa fare qualcosa per me. Io l'ho trovato solo qui, ed è un lavoro certosino, di estrema pazienza, che non si trova da nessun'altra parte e che nella storia mi chiedo chi mai abbia saputo fare. Mi rendo conto che è una posizione drastica e assolutista, ma è una mia convinzione profonda.

    Francesco

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