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giovedì, gennaio 12, 2023

La sostenutezza

 Quello che vado a fare è un discorso più mirato a chi studia già da un po' di tempo e bene. In tutte le scuole di canto si parla molto di respirazione, ma lo si fa come se fosse un'attività distaccata dal canto, la qual cosa sostanzialmente serve a poco o niente. Il respirare deve essere sempre legato all'attività per cui si compie quest'azione, quindi nel nostro caso, al canto. Dopo un periodo più o meno lungo in cui l'insegnante lavora per far sì che le reazioni del corpo si abbassino, e in quel periodo è più opportuno compiere una respirazione diaframmatica, ma non troppo caricata, più naturale possibile, ecco che diventerà più efficace passare alla respirazione costale, che rappresenta l'integrazione della diaframmatica. Per dirla tutta, è meglio iniziare sempre le lezioni o le sedute con la diaframmatica, per passare alla costale quando si avverte che il fiato è libero e fluido. La respirazione costale ha il vantaggio di non premere sugli intestini e di far sì che il diaframma assuma una posizione più orizzontale, quindi più vantaggiosa (nella diaframmatica tende ad assumere una posizione inclinata verso l'avanti, quindi a spingere verso la bocca dello stomaco). Ora, cosa capita quando si canta? Che diminuendo il fiato, le costole tenderanno a chiudersi, a ricadere, e quindi l'intero torace a premere sul fiato, che non avrà più la libertà di alimentare il canto. per questo motivo noi dobbiamo sostenere non la voce, come si dice in molte scuole di canto, ma il petto, perché è con quest'azione che si consente all'aria di "galleggiare", cioè di mantenere quella libertà che è fondamentale per un canto artistico. Gli antichi insegnanti parlavano e raffiguravano la sostenutezza con quell'atteggiamento "nobile" che risulta proprio dallo "stare su", dal non consentire MAI al petto di ricadere. E' un impegno importante che deve essere esercitato a lungo perché divenga naturale. Mantenere quella postura significa anche mettere la muscolatura respiratoria nella condizione di rimanere come se fosse sempre in inspirazione, cioè non creare l'apnea e la chiusura glottica dopo la presa del fiato. 

Questo atteggiamento diventa particolarmente importante da osservare quando si studiano i brani. Eseguita una prima frase, durante la quale si sarà consumato del fiato, se non si è stati capaci di mantenere il busto ben sostenuto, esso "cadrà", cioè non si sarà mantenuto il galleggiamento del fiato. La qual cosa è comprensibile per un certo periodo; ciò che diventa importante è il recupero successivo! Cioè il problema è che se non si prende il respiro successivo riportandosi nella postura del petto alta e fiera, la seconda frase ristulterà subito carente e alla lunga tutto ciò porterà alla stanchezza vocale. Certo anche rimanere in quell'atteggiamento può portare a stanchezza fisica (non vocale), ma in tempi piuttosto brevi si riuscirà a superare questo problema, perché il peso e l'impegno non sono affatto gravosi, non parliamo di pesi e carichi consistenti. Quindi sarà necessario studiare con una particolare attenzione e concentrazione: non andare avanti indifferentemente, ma ogni volta che si dovrà riprendere il fiato, lo si dovrà fare con il tempo necessario a far sì che sia completo, cioè che ci consenta di riportarci nell'atteggiamento più alto, nobile possibile ("datti delle arie" diceva il m° Antonietti). Questo, pertanto, ci impedirà di studiare con un accompagnamento eseguito a tempo, quindi questo è un esercizio da fare a cappella. Se subentra stanchezza fisica, ci si ferma per un po'. Se subentra stanchezza vocale, vuol dire che non lo si sta eseguendo correttamente. 

giovedì, novembre 26, 2020

Spingere da sotto o spoggiare?

 Spingere la voce, anche da sotto, è spesso una istintiva difesa contro il rischio di spoggiare la voce (che sembrerebbe un controsenso, visto che spingere in su è proprio l'azione di sollevamento del fiato...). Giacché i moderni insegnanti di canto sono ossessionati dall'appoggio della voce, molti anche dal possibile sollevamento della laringe (scioccamente ritenuta la causa dello spoggio), nel richiamare varie tecniche inducono gli allievi a bloccare quest'ultima, e comunque a premere verso il basso, che per conseguenza necessita di spinta verso l'alto per liberarsi (quindi due forze contrapposte). In questo pandemonio assume un ruolo importante la tecnica respiratoria utilizzata; gonfiando la pancia, come vogliono quelli della respirazione diaframmatica (o, peggio, addominale-ventrale), inizia una battaglia concorrenziale tra sotto e sopra, che porta fatalmente a premere verso l'alto, in quanto se si spingesse solo verso il basso la voce non uscirebbe!. Ecco perché per parecchio tempo è necessario liberare il corpo da queste guerriglie, perché il risultato sarà premere sul fiato dal basso per spingerlo verso l'alto. Ed ecco che si è creato un danno, perché la pressione agirà in primo luogo sulla laringe, che sarà portata a sollevarsi anche quando non dovrebbe, e la voce risulterà comunque compressa, priva di libertà e delle caratteristiche di ricchezza interiore. Il fiato non deve mai essere premuto, deve uscire spontaneamente, almeno fino a un certo punto, cioè fin quando agirà la differenza di pressione tra dentro e fuori, dopodiché continuerà ad agire con la stessa costanza la componente polmonare. Tutto il gioco vocale deve essere gestito dall'esterno della bocca, togliendo ogni azione volontaria dagli organi coinvolti. 

Però alcuni pensano che se non si preme, non si gonfia, ecc. ecc., la voce non è appoggiata, anzi, è proprio spoggiata. In linea di massima la maggior parte di essi confondono l'appoggio con l'ingolamento. Con le spinte e controspinte di cui sopra, la gola tende a chiudersi (anche se gli insegnanti continuano a dire - inutilmente - "apri la gola") e quindi il suono sfregando sulle pareti rumoreggerà, e questo è appunto un brutto ingolamento. In un certo senso noi dobbiamo proprio pensare, rispetto a quelle azioni, a spoggiare, cioè a lasciare che il fiato scorra, a non pensare e non favorire alcuna pressione o blocco vuoi a livello addominale, che, ancor meno, glottico. Si avrà una meravigliosa sensazione di rilassamento e libertà, che alcuni paurosamente riterranno mancanza di appoggio. In realtà in questo modo si favorirà proprio l'azione contraria al sollevamento della base della voce, cioè quella pressione che indurrà il diaframma, per conto dell'istinto, a sollevarsi e a creare le carenze e i difetti. Non che le cose siano così facili, perché l'istinto sentirà ugualmente una minaccia dalle varie azioni che si intraprendono per cantare con determinate caratteristiche teatrali, però si punta nella direzione di superare le reazioni e non si metteranno in moto azioni bellicose tra muscoli e parti interne del corpo, ma si favorirà invece la scorrevolezza, la totale libertà, il pieno controllo espressivo e musicale a livello mentale, scaricando da muscoli  e cartilagini ogni coinvolgimento. Solo in questo modo le pareti oro-faringee potranno assumere plasticamente le giuste posizioni e dimensioni foniche rapportate, e tutto potrà vibrare sinergicamente dando alla voce le caratteristiche più elevate che sia concepibile. 

domenica, dicembre 29, 2019

Non appoggiare!

Da ormai molto tempo, il tormento degli insegnanti di canto riguarda il far "appoggiare" la voce. Per molti è talmente assillante, che vanno oltre... SCAVARE!! Ormai non ci sono più limiti; premere, allargare, spingere: sugli intestini, sulla schiena, sul pube... non vado oltre, ma questa deriva porta a indicazioni che con la voce non hanno niente a che vedere, mentre molto hanno a che fare con situazioni intestinali ... lassative. Lasciate perdere, siete su una strada assurda, questo è il mio consiglio che posso ampiamente argomentare. Poi... ognuno è libero di fare ciò che vuole, però è consigliabile informarsi attentamente prima di iniziare un percorso che può non avere strade di ritorno.
Detto ciò, vediamo di comprendere in cosa consiste questo argomento.
Si ritiene che la voce per poter avere "spessore", sonorità, proiezione, intensità, timbratura, colore, estensione, debba avere un solido appoggio, e questo appoggio debba puntare sul diaframma. Ho letto che per qualcuno questo appoggio debba insistere invece sulla schiena. Per altri è più in basso ancora, ma queste differenze alla fin fine poco ci interessano. La questione è che per moltissimi insegnanti, quasi la totalità, con l'inizio dello studio del canto si debba praticare un lavoro per sviluppare e aumentare sempre più questo appoggio. Si ritiene, in sostanza, che la voce immatura di chi si accinge a studiare, povera, corta, fissa, sia dovuta allo scarso appoggio. Siccome il diaframma o le altre zone ritenute sede dell'appoggio stanno in basso, ciò che viene imposto agli alunni sia premere giù! Magari qualcuno meno violento non parla di pressione, ma più aulicamente di "sedersi" sulla "pancia", lasciare dunque che la parte superiore del torace si rilassi sopra quella inferiore, in modo che, senza una vera spinta, ci sia comunque questo appoggio. Da qui nasce una vera ossessione per tutto ciò che possa salire. Se la laringe sale: guai!! se la lingua sale, guai, ecc. Qui nasce poi la "dualità" delle scuole: quelle che ritengono che premendo in giù si faccia anche compiere un balzo alla voce che vada automaticamente anche "in maschera", contro quelle che invece ritengono che bisogna "mandare" volontariamente il suono nelle cavità superiori, o comunque verso il palato anteriore. Queste ultime quindi esercitano una doppia pressione: una verso il basso e una verso l'alto, avendo come fulcro la gola (e infatti è proprio lì che si ferma tutto). Purtroppo devo dire che queste metodologie, che hanno una loro logica, non portano ad alcun risultato artistico. Possono in alcuni casi creare voci molto forti, timbri "popolari", ma niente che possa realmente portare a risultati espressivi, musicali, sinceri. Tutto un mondo di artefazione, costruzione, superficialità.
Che la voce artistica debba avere un appoggio è più che corretto, è logico. Ma chi lo dice che la voce "naturale" non sia appoggiata? Dovremmo pensare che nella nostra vita di tutti i giorni ci sia una ragione per cui i polmoni siano "staccati" dal diaframma? o che esso non si distenda ma resti perennemente nella sua posizione rilassata? Certo, quando svolgiamo la nostra vita sedentaria esso parteciperà pochissimo, e idem quando camminiamo lentamente, tranquillamente. Ma quando acceleriamo, facciamo una salita o una scala, se non addirittura sport, esso parteciperà in modo più o meno ampio ed evidente.
Quando andiamo un po' oltre il parlato normale, quindi usiamo la voce in modo più incisivo, quindi utilizziamo anche il fiato in modo più impegnativo, creiamo un "peso" sul diaframma; entro un certo lasso (e questo dipende da una situazione del soggetto che può avere un grande margine di diversità) non avverrà niente di particolare, ma superando questa soglia di tolleranza, il diaframma (ovvero l'istinto) reagirà provocando una risalita più o meno violenta e risoluta del diaframma. E' quello che sinteticamente possiamo definire "spoggio" della voce. Questa è la situazione più temuta e quindi più "nel mirino" da parte degli insegnanti, che per evitare questa "catastrofe" fanno esercitare con l'opposizione. Premi giù! Ora, se il nostro corpo fosse un meccanismo, una costruzione meccanica, la cose potrebbe anche funzionare, ma purtroppo (ma direi fortunatamente) è un organismo biologico cui sottende un complesso apparato nervoso. Se l'istinto ritiene che tentare di forzare l'apparato respiratorio (vitale!) sia un "attentato", cioè un'azione che può mettere in pericolo la nostra vita, modificando - non si sa come - il funzionamento respiratorio, noi ci troveremo vita natural durante con una opposizione: noi che premiamo verso il basso per tenere giù il diaframma (o perlomeno con questa intenzione), lui che continuerà a reagire premendo in su. Succede però che l'istinto non è del tutto cieco, dopo un certo tempo che esercitiamo questa pressione, cederà un poco, poi un altro po', dando fiducia che non vogliamo proprio suicidarci, ma che abbiamo qualcosa da fare, tipo uno sport, che richiede questa manovra. Ma, sappiamo dallo sport, che ogni azione perdurante nel tempo ci offre dei vantaggi: corriamo più forte, saltiamo più in alto, lanciamo più lontano, alziamo pesi maggiori, ecc. ecc., MA a patto che noi quotidianamente o quasi, ci alleniamo. Se non lo facciamo, lentamente perderemo quanto conquistato. Questo perché l'istinto è "economo"; mantenere determinate caratteristiche, costa! in termini energetici, quindi la nostra "bolletta" è cara, e l'istinto spegne i nostri interruttori laddove non c'è continua richiesta di energia. Tradotto in campo canoro, l'istinto si riprende quella "tolleranza" che ci aveva concessa, e torneremo a trovare difficoltà. Questo avverrà comunque, salvo situazioni al limite del miracoloso, quando il corpo comincerà a perdere tonicità, quindi verso la mezz'età. Dunque ogni strada che faccia perno su un'azione muscolare, violenta ma anche solo "di peso", è destinata a un buon margine di fallimento, o comunque a forti limitazioni. Torno da capo: quando parliamo, per quanto insensibilmente, noi abbiamo un buon appoggio. Cioè, detto meglio, non spoggiamo! (a meno che non ci siano cause particolari, che se non sono patologiche, sono facilmente risolvibili). Quindi la realtà dell'apprendimento del canto artistico NON E' e NON DEVE INDIRIZZARE verso un'esaltazione dell'appoggio, perché esso, per quanto minimo, c'è. Si tratta di NON PERDERLO. E, guarda caso, il modo migliore per perderlo è proprio quello di premere verso il basso, perché è questo che origina la reazione dell'istinto e quindi il sollevamento di questo muscolo.
Le antiche scuole di canto ci hanno insegnato con la loro semplicità che è con l'esercizio semplice e graduale, che parte dalla sillabazione, dal parlato, che si sviluppa (noi diciamo EVOLVE) la respirazione artistica.
Adesso arrivo però al fulcro di ciò che volevo dire con questo post. Quando sento voci che sono state educate secondo modalità muscolari, quindi che "appoggiano in giù", avverto fin da subito come l'esistenza di "chiodi", legacci, uno in zona sternale, uno in zona glottica. Non sempre entrambi, e non sempre in modo rigido, fortunatamente. Ma comprendo che per loro a un certo punto questa situazione diventa una necessità. Se sei convinto che se "lasci andare" il diaframma, cioè non lo tieni giù con la forza, esso viene su e la voce si spoggia, non lo lascerai mai andare. Per contro, non avere un "freno" cioè sentire il tubo libero e aperto, come nella respirazione fisiologica, sia impossibile o pericoloso, crea uno stato mentale che irrigidisce e blocca, come se ci si trovasse sull'orlo di un precipizio. Quella fantastica sensazione di far uscire il fiato, non di frenarlo, di sentire tutto libero e aperto, in realtà non è una condizione che accettiamo facilmente e velocemente (a meno che non si studi fin dall'inizio così). Non voglio entrare in questioni psicologiche, ma spesso le persone si sentono più a loro agio in condizioni strette, limitate, imposte, mentre la libertà, l'ampiezza, crea disagio. Sentire SOLO il fiato, cioè non governarlo mediante spinte muscolari, è una condizione che si acquisisce dopo molto tempo, ma è straordinaria. Se fate un alito, un sospiro, voi sentirete che c'è solo il fiato, e lo potete dosare dall'esterno di voi, non internamente. Questo deve succedere anche durante la fonazione. Alla fine della fiera, come la mettiamo con l'appoggio? Prima di tutto, niente spinte, niente "appoggi" sul diaframma, ovvero premendo giù. Lasciare che il fiato esca, e quindi evitare nel modo più assoluto di opporsi alla risalita del fiato, anche se questo può dare la sensazione che il diaframma si alzi. Seconda cosa: quando sarà ora vi renderete conto che un vago senso dell'appoggio, nel senso di ampiezza, risonanza, intensità, ecc., lo potrete esercitare in avanti, cioè ampliando e intensificando... cosa? LA PAROLA!!! Parlate, pronunciate! E fuggite da chiunque vi dica che le "A", o le I o qualunque altra vocale non si devono pronunciare. Sono dei ciarlatani, non sanno NIENTE!

domenica, aprile 22, 2018

Antiche voci "spoggiate"

Sentendo oggi le registrazioni di voci dei cantanti attivi o in via di pensionamento all'inizio del 900, ci appaiono per lo più "vuote", prive di appoggio (direbbero o dicono oggi molti cantanti e insegnanti). E' veramente così? Naturalmente no; basta fare un po' di ricerca sui periodici musicali dell'800 e primo 900 (oggi possibile via internet senza andare a impolverarsi in biblioteche e archivi storici) per constatare che quelle voci erano considerate potenti, sonore, ricche, estese, ecc, e negli stessi teatri ancor oggi esistenti, quindi non "teatrini", e con orchestre certo non esigue. Dunque? Due aspetti: le registrazioni e le nostre orecchie. Le registrazioni, ieri come oggi, nonostante il presunto sviluppo tecnologico, possono cogliere diversi aspetti di una voce, ma non la capacità di espandersi, diffondersi, "correre". Sarebbe, almeno in parte, possibile mettendo dei microfoni a metà o in fondo a una sala così da cogliere in raffronto, quanto le voci riescono a essere presenti a una certa distanza. Questo però renderebbe le registrazioni molto poco appetibili dal mercato, che vuole la cosiddetta alta fedeltà, ma che realmente è un gigantesco inganno che da quando esiste non fa che corrompere e inaridire la capacità di ascolto, quindi inibire le capacità di cogliere la musica stessa. Se il disco ha questo grave limite, dall'altro ha la capacità di cogliere assai bene i rumori. Nel mondo del digitale, ormai da tempo si cerca di creare strumenti digitali, cioè strumenti dove non si crea un suono acustico dato da una percussione, uno strofinio, una vibrazione d'aria, d'ancia, ecc., ma le registrazioni digitali di questi suoni che vengono associati a tasti di uno strumento apparentemente classico (piano, organo, chitarra, ecc.). Al di là del fatto che questa è una missione impossibile, perché la quantità di informazioni contenute in un brano musicale eseguito almeno decentemente è talmente elevata da richiedere quantità di memoria ed elaborazione al di là di ogni immaginazione. Certo oggi a livello dilettantistico è conveniente far uso di questi strumenti, che costano poco, hanno poca manutenzione e si trasportano più facilmente, ma questo è un ulteriore aspetto che determina involuzione uditiva, infatti molte persone non sanno riconoscere uno strumento digitale da uno acustico... tutto detto. Comunque, dicevo, gli strumenti a percussione (tamburi, piatti, xilofoni, ecc.) sono quelli più idonei alla registrazione, e che rendono anche su apparecchiature modeste. Viceversa violini, flauti, oboi, trombe... risultano sempre molto "elettrici", facilmente riconoscibili nella artificiosità del digitale. La voce... dipende! Una voce ingolata o comunque molto impura, rende molto in registrazione (la campionatura è del tutto fuori portata), cioè la parte "rumoristica" della voce si imprime facilmente e rende la voce apparentemente più ricca, molto sonora. Se ne accorsero già i primi pionieri, come lo stesso Caruso, che in disco faceva la figura di un "tenorone" con un vocione enorme, mentre era un mezzo carattere, e non per nulla uno dei suoi emuli, Mario Lanza, che girò anche un film sul grande tenore napoletano, ebbe (e ha ancora) notevole successo nonostante in teatro abbia cantato poco o niente, in quanto voce poco teatrale. Si potrebbero fare molti nomi, anche recenti, di cantanti molto fonogenici ma di scarsa attitudine teatrale. La questione è che quello che molti definiscono appoggio in realtà è rumore, sono impurità prodotte da movimenti muscolari impropri. La voce ideale non ha "rumori", è pura, anche se ricchissima di armonici e risonanze (anch'esse pochissimo colte dalle registrazioni), ed è proprio in virtù di ciò se la voce si espande e risuona in un ambiente con grande sonorità anche a notevole distanza. Cioè proprio le caratteristiche indispensabili in passato, quando non vi era alcun mezzo di amplificazione che non fosse l'acustica stessa. Quindi non si cerchino in una voce le vibrazioni inopportune e che rendono la pronuncia incomprensibile e i colori del tutto casuali, ma le vere e "sane" caratteristiche di un'autentica voce belcantistica: pronuncia, purezza, varietà, musicalità.

domenica, marzo 18, 2018

Perdere tempo?

In gran parte delle scuole di canto attuali, una delle prime preoccupazione riguarda l'appoggio. Esercizi respiratori e appoggio, o esercizi respiratori per l'appoggio. L'ipotesi dovrebbe essere che chi inizia a studiare canto non possiede un adeguato appoggio vocale, il che sarebbe la causa della voce poco sonora, diseguale, ecc. Alcuni ritengono che proprio non ci sia alcun appoggio, che quindi vada ricercato, poi sviluppato. Quest'ultima ipotesi non è corretta, se non in casi che sfiorano il patologico. E' invece più che probabile che l'appoggio vocale sul diaframma, a meno di requisiti particolarmente fortunati, sia piuttosto modesto e necessariamente vada sviluppato per ottenere quei requisiti di diffusione e valorizzazione necessari a una voce artistica. La questione riguarda i tempi. Da cosa sento raccontare, e anche per esperienza diretta, appare che per molti insegnanti il raggiungere un appoggio ragguardevole in breve tempo rappresenti una (se non "la") priorità massima. Questo è ad esempio l'obiettivo degli "affondisti", che sia con manovre fisiche che respiratorie, lavorano costantemente su uno sviluppo rapido dell'appoggio. Questo può anche portare alla manifestazione di risultati incoraggianti, perché la voce appare in poco tempo molto "lirica", ricca e sonora. Qual è però la storia che sta dietro tutto ciò? Che se io inizio lo studio del canto, avendo una voce di modesta portata, non particolarmente sonora, estesa e ricca di sonorità, avrò un appoggio altrettanto labile, limitato, che richiederà un tempo piuttosto lungo per svilupparsi e evolversi alla vocalità artistica che desideriamo. Questo tempo consentirà un'educazione che eleverà gradualmente la qualità fonica complessiva, senza incontrare ostacoli straordinari. Viceversa se il mio intento è quello di "bruciare i tempi", adottando tecniche muscolari, meccanicistiche, respiratorie, ecc. e cercando di ottenere risulti evidenti in poco tempo, otterrò una reazione dal mio corpo, violenta in proporzione alla tecnica utilizzata. Quale sarà la conseguenza? Che se da un lato sembrerà esserci un risultato apprezzabile in breve tempo, dovrò utilizzare altro tempo per cercare di superare le reazioni che avrò suscitato, adottando ulteriori tecniche, e non pervenendo poi mai a una soluzione definitiva, cioè dovendo per sempre tenere a bada un sistema complesso che non accetterà mai definitivamente di compiere un lavoro per il quale non è stato progettato (il canto artistico). Quindi, in definitiva, con un'educazione graduale e "soft", io avrò un progresso apparentemente contenuto, forse non molto soddisfacente in tempi brevi, ma che nei tempi "giusti" consentirà di poter cogliere un risultato di grande rilievo e senza controindicazioni, cioè una voce educata, flessibile, espressiva, gestibile nelle dinamiche, nei colori, nelle sfumature, nell'agilità, di ampia caratura, estesa, sonora in ogni spazio (che non significa potente e/o fortissima, che sono caratteristiche intrinseche, soggettive; sonora vuol dire che anche se piccola e non particolarmente ricca, può essere ascoltata ovunque, in quanto "corre", sfrutta l'acustica del luogo per espandersi e rendersi udibile). Le voci "rigide" cioè educate a tecniche di appoggio rapido, difficilmente possono sottostare a queste caratteristiche, e in più potranno risultare davvero ben udibili solo se potenti in natura. C'è poi l'eterno problema di come sviluppare appoggio. Per la maggior parte degli insegnanti di canto, esso va ricercato nel basso, in direzione discendente, quindi con varie manovre fisiche che coinvolgano la zona addominale, e/o con respirazioni che coinvolgano la zona diaframmatico-addominale e la fascia renale della schiena. Non sto nemmeno a prendere in considerazione quelle ipotesi che vorrebbero addirittura coinvolgere la zona puberale. Pura follia. In ogni modo bisogna innanzi tutto considerare che qualunque ipotesi che preveda una pressione o comunque un indirizzamento verso il basso è già di per sé controproducente e antivocale, perché si oppone all'uscita regolare e naturale del fiato; in secondo luogo andrà a esercitare pressioni e forzature che non potranno che provocare reazioni e resistenze. Quindi lo sviluppo dell'appoggio, fin quando sarà necessario (su questo tornerò) si otterrà con una normale attività vocale che miri a migliorare la qualità dell'emissione, correggendo la miriade di errori che si fanno nel parlato spontaneo, quindi passando a intonarlo, gradualmente. Non che in questo modo non si incontrino difficoltà e resistenze! Quando si cercherà di immettere maggiore intensità, e soprattutto quando si andrà a "aggredire" la zona acuta, per quanto si stia moderati nei volumi e graduali nell'ascesa, è quasi fatale che il corpo si ribelli e crei problemi e che il soggetto, per cercare di superare, inneschi ulteriori problemi. Ciò che, nel tempo necessario, risolve tutto, sarà la completa emissione esterna della voce. Quando la voce nasce fuori dalla bocca, si genera un "polo" sopra i denti superiori anteriori, che, in provocherà automaticamente di riflesso un appoggio sul diaframma, dando vita a un organismo strumentale, vocale, assolutamente perfetto e dove le relazioni "unificano" tutte le parti coinvolte facendo sì che funzioni nel modo più efficace possibile. Non si tratta, e non deve trattarsi nel modo più assoluto, di pressione, spinta, schiacciamento, forzatura "in avanti"; questo sarebbe controproducente e creerebbe comunque gravi difetti. Si tratta di avere pazienza, lezione dopo lezione è come una torta con una lentissima lievitazione, cioè una vocalità che forma gradualmente la sua base in relazione all'esigenza artistica desiderata.

lunedì, gennaio 01, 2018

Leggerezza o spoggio?

Problema insidioso è quello relativo all'alleggerimento dell'emissione che in alcuni casi è o può portare o può essere confuso con lo spoggio (qualche anno fa sentii tutta un'Italiana in Algeri con un tenore che per l'intera opera cantò spoggiato!). Partiamo dal presupposto che il fiato appoggia naturalmente. Quelli che pensano di cercare (e trovare) l'appoggio, o migliorarlo o aumentarlo, possono solo far danni. Peraltro l'appoggio lo si può perdere o diminuire quando si commettono errori. Intanto, per l'appunto, il primo e più grave errore, che può compromettere un buon appoggio, è proprio quello di "cercarlo", premendo, schiacciando, affondando, ecc. Un buon appoggio lo si mantiene con il rilassamento del volto, della mandibola, del collo (tutto). Questo non basta, ovviamente. Lo spoggio può essere causato da errori nel tipo di emissione e nella concezione del canto. Chi pensa al canto come al movimento di un "oggetto" solido, già si predispone allo spoggio. Chi vuole intensificare il suono, idem; chi affronta il settore acuto anzitempo, chi vuole indugiare sugli acuti per molto tempo... idem. Lo spoggio è principalmente dovuto a reazioni di difesa del corpo, quindi non sono facili da inibire, e non sarà la "guerra" fisica a poterla vincere, tutt'al più potrà guadagnare delle posizioni (come avviene nei cantanti dotati di robusta struttura fisica e potenza muscolare), ma non potrà giammai impossessarsi di un canto artistico degno di nota, e comunque prima o poi l'istinto reagirà nuovamente, e questa volta vincerà. Una credenza popolare è che l'appoggio lo si conquisti e lo si consolidi con il suono forte, mentre i piani siano "pericolosi" e portino allo spoggio. Disgraziatamente in molti casi questo può essere vero, in base alla suggestione psicologica che ci sta dietro. Se per smorzare un suono si pensa di "tirare indietro", questo è già un errore potenzialmente fatale. Se si pensa che il piano spoggi e quindi occorra mettere in atto una contromisura per evitarlo, tipo spingere verso il basso, ecco un altro modo buono per provocarlo. Il discorso è un po' sempre lo stesso che vediamo quando si affronta la vocali "I" o "é", cioè la paura del sollevamento, dell'innalzamento, che una o qualche generazione di insegnanti (?) di canto hanno instillato negli allievi: "la laringe non si deve mai alzare", "non fate le I chiare" - ovvero "scurite tutto, così prevenite il sollevamento del diaframma". Tutte storie e pure false. Certo, se si comincia a "tirar su", facendo quegli orribili "giri" in gola, è fatale che si aiuti lo spoggio e il sollevamento. La pronuncia, la vocalizzazione, deve avvenire oltre le labbra. In tale posizione tutto avrà luogo col giusto equilibrio e i corretti giochi muscolari e cartilaginei automatici. La laringe e la lingua è corretto che in determinati momenti si alzino, e la mandibola dovrà abbassarsi o alzarsi in base a diverse variabili (intensità, altezza, colore). Non bisogna mai ostacolare il flusso e l'armonia dettata dal testo e dalla musicalità. Dunque alleggerire vuol dire "lasciar andare" il flusso respiratorio sonoro, senza ostacolarlo, senza trattenere e consentendo l'ampiezza vocale. Ampiezza vocale vuol dire che man mano che si sale si deve avere la percezione che la vocale che si sta (DEVE) pronunciando diventi sempre più grande, più ampia davanti a noi, staccata dal nostro corpo, senza per questo che aumenti l'intensità, anzi anche diminuendo. E questa è relativa a noi solo ed esclusivamente in virtù del fiato che ci unisce, come un cordone ombelicale. Se questo, che è un canale vitale, resta davvero l'unico tramite, cioè abbiamo realmente la sensazione di ESPIRARE per tenere in vita la voce, e non una sensazione di pressione o forza fisica, noi potremo sul serio giocare con tutte le dinamiche dal pianissimo al fortissimo senza alcuna difficoltà o fatica. Si tratta di provare, di rendersi conto che siamo schiavi delle informazioni del nostro cervello istintivo, informazioni che vanno allontanate, trascurate, fidandoci di quelle che ci perverranno dalle conquiste artistiche che andremo a compiere fidandoci del nostro fiato e della possibilità di raggiungere la perfezione. Se non crediamo in questo, siamo già fregati in partenza.

sabato, gennaio 14, 2017

Dinamismo e sostegno

Prendiamo il celebre incipit dell'aria "vissi d'arte" della Tosca di Puccini. Detta la prima parola, "vissi", che punta sulle due "i", la prima "a" presenta per molte cantanti un problema, perché si teme la 'caduta' della A. Da qui nascono varie strategie per evitare tale sciagura. La più utilizzata è il non dire A (pericolosisssssima!!! 😉), mettendo ad esempio una sorta di O ("vissi d'orte"); una altrettanto frequente, indipendentemente dal riuscire o meno a pronunciare la A, ricorre al non aprire la bocca (altra pratica considerata da ripudiare come il diavolo). Da dove nasce tale problematica? E' la famosa questione del "sostegno". Secondo la malcostumata tradizione vocale degli ultimi decenni, se non si "tiene su" la voce, quindi se non la si sostiene, alcune vocali cadranno, con vari tipi di effetto, che comunque ricondurebbero allo spoggio. In questi anni di dialoghi in internet, mi sono imbattuto spesso con studenti e cantanti che indottrinavano i cybernauti circa la necessità di sostenere il suono (badate ben, distinguendo il sostegno dall'appoggio) per evitarne la caduta e quindi spoggio e imbruttimento. Alcuni distinguono l'appoggio, che si fa sul diaframma, quindi in basso, dal sostegno, che si fa in alto, cioè "tirando su" (gran Dio!!), altri invece lo distinguono nel senso di ancora più giù, cioè si sosterrebbe il suono fin dall'inguine, se non dalle gambe e persino oltre! A mie semplici e pacate domande, non ho mai ricevuto risposte significative. La questione, come ormai sapranno o avranno capito coloro che sono entrati nella nostra disciplina, è sempre lo scambiare un procedimento respiratorio per un insieme di lavori fortemente muscolari e scheletrici. Le I del "vissi" si fanno con la bocca semichiusa; già lì può nascere il problema se non si ha un approccio corretto all'emissione vocale, che si scatena nel momento in cui bisognerebbe aprire la bocca, per cui si decide o di evitare di aprire o dire una vocale decisamente più raccolta. Certo che se la mandibola, nella I è rigida, perché la colonna d'aria sottostante punta sotto la mandibola stessa, come estensione della pressione sottoglottica, succederà che l'apertura improvvisa della bocca produrrà un suono aspro, ingolato, brutto, forse tendenzialmente spoggiato. La soluzione sarebbe semplice, se si decidesse finalmente di adbicare allo staticismo degli insegnamenti di tipo fisico (o peggio foniatrici) e si tornasse al dinamismo respiratorio. Non esiste la "A" in quanto oggetto (ovviamente nemmeno le altre vocali), per cui non esiste un momento in cui io passo dalla I alla A mediante meccanismi muscolari e scheletrici; il fatto di aprire la bocca è connaturato alla necessità di lasciar spazio alla fuoriuscita di maggior fiato data la maggior ampiezza di questa vocale, ma la I e la A, come tutte le altre vocali, sono CONTENUTE nell'inconsistenza materiale del sospiro che DEVE ESSERE DINAMICO! Cioè se io lascio che il fiato (sospiro, alito, flusso...) esca come nella normale respirazione contenendo al suo interno la vocale (in questo caso le due I di "vissi") e continuo in questo flusso respiratorio ininterrotto passando, senza alcun contributo fisico, alla A di "arte", senza dare accenti, pressioni, colpi, ecc., mi accorgerò che la bocca si apre tranquillamente senza alcuno sforzo, senza forza, senza pensarci, e si pronuncerà una bellissima e semplicissima A, coerente con quanto veniva prima. Il dinamismo respiratorio non ha nulla a che vedere con spinte, pressioni schiacciamenti, ecc., è il normale fluire del fiato e della parola parlata consueta. Viceversa, altrettanto importante, è che tutto ciò che è fisico è statico, non deve "alzarsi", abbassarsi, allargarsi, ecc., se non per movimenti involontari articolatori. Purtroppo per un certo tempo non risulterà per nulla facile e soprattutto non riusciremo a comprendere se lasceremo fluire il fiato o spingeremo, se faremo scorrere schiacceremo, ecc. ecc. La nostra guida deve sempre essere l'ottima pronuncia, ma non esasperata, ma con la tranquillità del parlato, però sempre corretta, ben articolata e priva di accentazioni improprie.

mercoledì, dicembre 16, 2015

Appoggiar

Anni fa in una sezione dedicata al canto in un forum musicale, un interlocutore scrisse: "prima di discutere mettiamoci d'accordo sulla nomenclatura". E partì dando una sua definizione di maschera. Al che, già mi passò la voglia. La questione è la seguente: qualcuno, un giorno, si inventa un termine, nuovo o esistente nel vocabolario - con altra accezione - per descrivere sinteticamente una sensazione, una osservazione, un dettaglio, una percezione, ecc. Propagandosi tra allievi e amici, il termine a un certo punto può piacere e diventare di dominio pubblico. Rodolfo Celletti, scrivendo frequentemente e abbondantemente su libri, riviste e periodici, inventò una miriade di parole per descrivere le sue critiche a questo e quel cantante, al punto che diverse di esse diventarono "patrimonio" dei tifosi melomani che talvolta ancor oggi li utilizzano (voce anfotera, tonitruante...). Se si può perdonare l'uso giornalistico, molto più seria è la questione in ambito didattico. Purtroppo Celletti, incocepibilmente, percorreva anche quello!. Comunque, una volta adottati determinati termini, gli stessi possono sparire allorquando i colleghi non vi si ritrovano più. Termini come "gorgia" e "garganta" sono definitivamente spariti dal vocabolario vocale; altri come petto e falsetto sono rimasti. Il brutto della situazione è che essendo stati scritti, un tempo, oggi vengono interpretati da chi va a rileggere quei testi; lo fece Celletti e diversi altri l'hanno fatto successivamente. Siccome allora non si creò una sorta di vocabolario che definisse in modo inequivocabile cosa intendesse l'autore con quel termine, hanno buon gioco insegnanti e pubblicisti a dare una propria versione, il più delle volte diverse l'una dall'altra.
La terminologia, le parole, nel canto sono più una spina nel fianco che un ausilio. Ognuno può dirle e interpretarle come meglio crede, le smentite comunque valgono allo stesso modo, non si può imporre una verità terminologica.

Per l'appunto, un giorno chissà chi si inventò l'appoggio. E' un termine mediamente recente ed è diventato un termine-mito! Non se ne è parlato per secoli, oggi se non ne parli ti considerano ignorante e disinformato. Gli insegnanti, quindi, fin dall'inizio del percorso parlano di voce appoggiata. Alcuni intendono voce appoggiata sul diaframma; altri intendono fiato appoggiato sul diaframma, altri dicono voce appoggiata sul fiato, corde vocali appoggiate sul fiato, e diverse altre sfumature. Non entro poi nella dolorosa differenza tra appoggio e sostegno, perché non ne uscirei più, se non con epiteti e ingiurie.
Nella vita quotidiana l'appoggio si riferisce a un oggetto che per questioni di stabilità fa forza su un altro oggetto che offre sicurezza. Molti allievi di canto si appoggiano al pianoforte o a sedie o altre suppellettili per scaricare un po' di peso e stanchezza. A volte si appoggiano su una gamba per far riposare l'altra. Atteggiamenti che andrebbero evitati perché squilibrano gli apparati. In genere, comunque, l'appoggio si rivolge verso il basso, favorito dalla Legge di Gravità. Le solette, le travi, i tetti delle case si appoggiano a muri e colonne. Questo esempio ci richiama propriamente a una scienza fisica, la statica, che già dovrebbe farci un po' riflettere sulla scarsa analogia col canto, perché esso è un procedimento dinamico.
Per la verità in testi più retrodatati, non pochi teorici del canto facevano riferimento a un appoggio diverso da quello oggi imperante, cioè diaframmatico, ma parlavano di un appoggio toracico. Non so se qualcuno, nel tempo, ha anche accennato, con ipotesi favorevole, a un appoggio laringeo o glottico, ma purtroppo esiste, anche se in termini molto sfavorevoli.

L'utilizzo continuato, ritenuto indispensabile, del termine appoggio, si lega a una pratica imperante nelle scuole, che consiste nel premere un qualcosa verso il basso, nell'illusione di ottenere un cospicuo vantaggio in termini di intensità e timbratura. Non è che non sia vero, ma è una pratica considerevolmente dannosa e errata dal punto di vista di un risultato artistico di rilievo. Cosa si preme verso il basso? Non è possibile premere l'aria (o il suono), per cui si premono muscoli e cartilagini. Se davvero si premesse l'aria, essa non uscirebbe, dunque con cosa si canterebbe?? L'ipotesi dunque di "voce appoggiata" è un modo di dire che non può corrispondere alla realtà. Si appoggia, ovvero si fa forza, su muscoli e parti interne per averne un ritorno energetico favorevole. Qualcuno lo descrive come la tensione dell'arco prima di scagliare la freccia. Peccato che in quel caso ci pensino le mani, nel diaframma non è possibile. Questo è il punto debole di tutti i pubblicisti e gli insegnanti. Tutti sanno che il diaframma non è governabile, ma tutti propongono una soluzione (salvo che sono pressoché tutte inventate e errate): premere la laringe, premere con i muscoli addominali oppure al contrario lasciare che la pancia avanzi, premere sulla schiena... ecc. ecc. Tutte, abbiate pazienza, idiozie! Le acrobazie che i cantanti, poveretti, compiono su pancia, schiena, ventre, fianchi, laringe... non fanno che deturpare il loro corpo e distogliere la concentrazione dalla cosa più importante: il canto! Se il canto è oggi un'accozzaglia (talvolta orribile) di suoni senza alcuna verità, è anche dovuto a questo.

Qualcuno giustamente domanderà: ma allora non esiste l'appoggio? In questo blog non se n'è parlato spesso? Nelle lezioni, in questa scuola non si parla e non si persegue l'appoggio? Sì, e infatti chi ha voglia e pazienza può trovare qui diversi riferimenti. La questione sta in termini piuttosto semplici, come sempre. L'appoggio esiste nel senso che il fiato, o meglio i polmoni, si appoggiano delicatamente sulla parete diaframmatica. E' vera anche l'altra cosa, e cioè che una parte del fiato, quando investito dalla pressione conseguente il canto, agisce verso il petto. Questo avviene naturalmente. Non c'è alcun bisogno di provocarlo e accentuarlo. Il grosso equivoco è nato, per l'appunto in tempi recenti, quando qualcuno si accorse che si poteva cadere nel problema opposto, cioè che la voce si "spoggiava", ovvero perdeva caratteristiche di pienezza, facilità, brillantezza e anche di estensione e intensità. Dunque non esiste alcuna necessità di appoggiare, cioè di provocare volontariamente ciò che avviene tranquillamente da solo! Il problema nasce quando le metodiche folli di insegnamento, provocando le reazioni del nostro fisico, richiedono in tempi insufficienti di raggiungere grandi esiti in termini di volume, intensità, estensione e timbro. Allora nasce l'opposizione del diaframma a lasciarsi dominare e la sua reazione e quindi il sollevamento anche repentino che provoca i difetti vocali di cui sopra. Quindi se parliamo di questo, e l'abbiamo fatto, è sempre e solo per illustrare la questione e consigliare orientativamente le persone di buon senso a prendere le distanze da chi induce a varie manovre fisiche per raggiungere un qualcosa che si raggiunge benissimo, e meglio, evitandole!!

Non ho ancora finito, abbiate pazienza. Questa spiegazione probabilmente a molti non basta per togliere dal capo anche un'altra fissazione, cioè che, spontaneamente o artificialmente, l'appoggio si debba avvertire, e lo si senta a livello grossomodo di pancia. Anche questa percezione deve sparire. Che ci sia un coinvolgimento del diaframma è ovvio, ma ancora una volta devo insistere affinché ci si rivolga NON alle percezioni e sensazioni fisiche, soprattutto interiori, ma al CANTO, alla VOCE. Noi possiamo parlare di un benefico riferimento all'appoggio quando avvertiamo che il fiato si è completamente mutato in voce, ovvero quando il flusso aero-sonoro è diventato canto, vocale totalmente sonorizzata nell'ambiente esterno, in totale libertà, quindi, ovviamente, senza incontrare alcun tipo di resistenza, di ostacolo o impedimento. La voce con la consistenza dell'aria giusto un po' più densa, ma ricchissima di vibrazioni interne, di squillo, di armonici e quant'altro è in potere del nostro corpo di renderla viva, elevata e profonda di significato e virtù. Comunque si intenda l'appoggio, la percezione deve sempre avvenire davanti, cantando, la conseguenza piacevolissima, beante, quasi magica o miracolosa, di aver abbandonato il corpo fisico e guidare solo con la volontà artistica, avendo soppresso ogni spinta, ogni appoggio interiore, ogni compromesso.

martedì, novembre 20, 2012

Me vojo fa na casa

Per quanto non ritenga la metafora il massimo dell'insegnamento del canto, credo che qualche utilità possa averla. Allora, nel parlare e nel cercare di spiegare, mi è sorta questa analogia che vado ad illustrare.
Se pensiamo alla voce come un edificio, possiamo ipotizzare che più è alto, o più piani ha, e più è sonora, intensa, diffusiva. Ciascuno di noi nasce con una certa struttura fisica e una certa disposizione anatomica e fisiologica, e quindi avrà in dote una voce che può essere paragonata a una casa con molti piani, quindi molto sonora, penetrante, persino assordante, o povera, piccola, di modesta portata. Un edificio deve la propria stabilità alla bontà delle fondazioni su cui poggia, che sono relative alle dimensioni dell'edificio stesso e al tipo di supporto su cui poggia (terreno, roccia, sabbia...). Quando si progetta un edificio, si calcolano le fondazioni (comunemente dette fondamenta) in primo luogo in rapporto alla consistenza del terreno, e in base al numero di piani che si intendono costruire. Se si vuole costruire una casa a due piani, si faranno fondazioni adeguate, ma se dopo un certo numero di anni al proprietario venisse in mente di soprelevare, bisogna vedere se quella base è sufficiente a sopportare un altro piano o no; se non è stato preventivato, il rialzamento diventa alquanto problematico da realizzare, e persino impossibile, comunque sempre molto costoso e complesso, non scevro da rischi. Nella voce ci possiamo trovare in queste condizioni: persone con una voce possente, quindi paragonabile a una casa con molti piani, ma con fondazioni inadeguate, oppure case piccole con più o meno buone fondazioni. Molto raramente ci si trova nell'idilliaca condizione di avere entrambe le strutture ideali e rapportate, direi persino mai. Succede allora ciò che succede sempre ai cantanti che partono alla grande, fanno enormi successi e dopo pochi anni già sono alla frutta. L'edificio piano piano affonda e si ripiega su sé stesso finanche a crollare. Ciò che si può fare nel canto, al contrario del campo edilizio, è sviluppare e rinforzare le fondazioni ogni volta che si intende aggiungere un piano. Quando una voce si trova nel primo caso esposto, cioè molti piani con fondazioni inadeguate, è la condizione più difficile, perché il cantante sente di avere una voce, la forza della gioventù gli consente di sostenere con una certa disinvoltura, se la voce è anche bella si troverà ammaliato da amici e parenti che lo osannano, che nutrono il suo narcisismo, il suo ego, accetterà facilmente proposte superiori ai propri mezzi e in breve andrà incontro a declino. La voce piccola sarà più propensa allo studio per potersi sviluppare, e il buon maestro saprà educare contemporaneamente il suo fiato-diaframma, cioè la base, che permetterà nel contempo di ampliare l'intensità, la sonorità, l'ampiezza, l'estensione.
Sono partito da questa analogia, in realtà, per cercare di spiegare un altro quesito che spesso viene posto e a cui raramente viene data una risposta chiara ed eloquente.
La voce parlata non è solitamente facile da sentire in un grande spazio; è d'uso dire che un cantante poco dotato, che si sente poco, nel teatro d'opera, "parla". Altra questione di poco superiore, ma anche questo in uso quando un cantante è deludente: "sembra un cantante di musica leggera". L'idea, dunque, è che la parola sia "povera", e solo il cantante di musica leggera, il "canzonettista", possa usarla nel canto senza inconvenienti in quanto aiutato dal microfono. Si fa largo, pertanto, l'idea che per passare al canto "stentoreo", da teatro, da grande palcoscenico con grandi orchestre, si debba ricorrere a qualcosa di diverso, di più meccanico, strumentale e più vicino al suono inarticolato che alla parola.
Ovviamente questo ragionamento è terribilmente sbagliato, illogico e senza senso, ma si è talmente radicato nell'opinione soprattutto di chi è vicino al mondo del canto, ma pure nell'opinione pubblica, che la logica si è ribaltata e sembra che sostenere questa verità sia raccontare favole, affermare una orribile scemenza, nemmeno da discutere!!
La voce parlata è la nostra casetta; in genere abbiamo tutti metaforicamente una casa a un piano o due, ma questo conta comunque poco. Ciò che ci preme sondare è la consistenza delle fondazioni, cioè quanto la base del fiato è in grado di reggere. Passando dal parlato comune a un parlato più ricercato, ben legato, con gli accenti giusti, le giuste intonazioni espressive e affettive, già ci troviamo in difficoltà, e occorre allenare, educare il nostro fisico a reggere questa condizione. Passando poi all'intonazione di frasi parlate, il problema si manifesterà maggiormente. In genere il cantante di musica leggera a questo punto potrebbe già fermarsi, se non ha pretese particolari, perché con l'ausilio del microfono non sente l'esigenza di migliorare e aumentare sensibilmente la qualità e le caratteristiche del proprio canto. Per gli altri inizierà, invece, il vero cammino verso il grande canto, il virtuosismo, l'esemplarità, il magistero vocale. Noi dobbiamo far conto di essere a questo punto con una casetta dotata di piccole fondazioni, e lavorare per irrobustirle, ovvero eseguire, sotto attenta vigilanza, tutti quegli esercizi che permettono al fiato di appoggiarsi il meglio possibile al diaframma, che costituisce, almeno per un primo, ma lungo, periodo di studio, la base della voce. Purtroppo, al contrario delle fondazioni vere, che se ben progettate svolgeranno sempre il proprio dovere, la base del fiato non poggia su un "terreno" inerte e prono alle esigenze vocali, ma su qualcosa di vivo e reattivo che mal accetta la nostra costruzione. Questo significa che le nostre azioni non devono dirigersi sempre e solo nella direzione di pesare, di comprimere staticamente, come avviene in edilizia, ma dovranno aggirare l'ostacolo utilizzando la dinamica, cioè premendo e rilasciando ad es. - o togliendo del tutto o gradatamente, e soprattutto utilizzando ciò che esse - fondazioni - sono abituate a sostenere per natura, cioè il parlato. Ecco, dunque, che quando io avrò appreso su una modesta tessitura, quella centrale o meglio quella dove sono abituato a parlare (diciamo: tessitura "comoda") a sostenere il canto intonato con facilità e impeccabile correttezza, io avrò la certezza di aver costituito la fondazioni per quel piano, e che esse sono "eterne", cioè da lì non si torna indietro, perché assorbite dalla nostra natura, che non le percepisce più come qualcosa di estraneo, di forzato, di indesiderato e fastidioso - di cui, quindi, liberarsi appena possibile - ma qualcosa che, seppur impegnativo, non turba l'equilibrio psicofisico del soggetto. E a questo punto io posso iniziare a innalzare la mia costruzione a un secondo piano o livello, cioè una tessitura più elevata (parliamo di SEMITONI!, non di terze, quinte o ottave, si badi bene!). Credo che poche persone nella Storia abbiano avuto la coscienza di avvertire quanto un solo, semplice, semitono, possa modificare e rendere difettosa una semplice frase cantata che solo un semitono prima (e sto parlando anche solo del centro vocale) sembrava immacolata e meravigliosa. Alzarci di un semitono vuol dire porre sul diaframma un uniforme peso in più, che, dopo aver accettato il peso precedente, torna a ribellarsi a un nuovo incomprensibile lavoro. E noi dobbiamo tornare a lavorare con la voce, con la testa, con la psicologia e l'intuizione, affinché anche questo "piano" possa trovare il pieno e incondizionato equilibrio statico e dinamico grazie a un fiato che avrà modificato il proprio assetto in relazione al diaframma (il "terreno") e rispetto allo strumento (c.v. + forme, che rappresentano l'edificio). In sintesi, noi, con infinita pazienza, dobbiamo alzare un piano alla volta, permettendo a ogni "step" di costituire la base ideale, irrinunciabile per una vocalità di alta classe. Naturalmente ognuno ha in sé già un potenziale palazzo, per qualcuno sarà un grattacielo, per altri una palazzina; ognuno dovrà accontentarsi di ciò che possiede, ma che potrà comunque manifestare al meglio.
Rinunciare alla parola o farla passare in sottordine a favore di suoni vocalici o, peggio, intervocalici, non può portare a qualcosa di più robusto, di più solido ed efficace, non c'è alcuna spiegazione del perché ciò dovrebbe avvenire, ma al contrario, sappiamo che il suono, in quanto astratto, privo di esigenza espressiva e affettiva, non può che contribuire al rigetto e alla ribellione da parte dei nostri organi. Ciò che, con delusione ed orrore, dobbiamo constatare, è che spesso il prodotto di questa ribellione e di questa forza e controforza (cioè il cantare gridando, di fibra, affondando, ecc. e la reazione diaframmatica che cerca di sollevare; nasce una incredibile situazione che potrebbe persino definirsi comica: una persona che tira una porta da una parte e dell'altra, sdoppiandosi! e contraddicendosi) è considerato un effetto piacevole e quasi necessario perché si possa parlare di canto lirico o operistico. Cioè se non ci sono sforzo, muscolarità, confusione lessicale, difficoltà e persino limite di emissione, si parla di canto "leggero" anche se la voce si diffonde, è sonora, bella, comprensibile, musicale, significativa, squillante... ecc. Vedo, leggo, abbastanza spesso di persone che sembrano pensarla come me, come coloro che frequentano questa scuola e che condividono quanto vado scrivendo, ma ho spesso dei dubbi su ciò che queste persone hanno realmente in animo. Celletti era capace di osannare Schipa al limite dell'incensamento, e quotare a un livello analogo cantanti imbarazzanti. Ricordo alcune recensioni di un giornalista che scriveva recensioni dei concerti di Celibidache da piangere per quanto riusciva a descriverne la perfezione esecutiva, e che pochi giorni dopo era capace di scrivere analoghe apologie per direttori per cui non ci sarebbe da sprecare un soldo bucato. Allora come la mettiamo? Celibidache disprezzava i recensori, li considerava semplicemente persone che sapevano scrivere, e direi che lo stesso possiamo dire per i tanti che si investono del ruolo di critici d'opera e, ahimè, canto. Ma non è necessario essere giornalisti "d'arte"per non capire niente; bisogna avere l'umiltà di mettersi in quella condizione e iniziare un serio e approfondito studio e disciplina che possa elevare e soprattutto ripulire la nostra coscienza, altrimenti niente sarà utile per aprirci gli occhi della mente e soprattutto dell'anima.
Allora, la mia esperienza porta a testimoniare che la semplice parola che usiamo comunemente, grazie alla disciplina di cui sono espressione e promotore un bel giorno esce "diversa", cioè "suona", senza sforzo, senza pressioni, senza tiraggi, pestaggi, schiacciamenti e gonfiamenti, esce sonora, si diffonde nell'ambiente con velocità, con ricchezza, con vivacità, con significato, con libertà. Che si vuole di più! Quale suono "astratto" "intervocalico", oscurato, schiarito, affondato, spremuto, potrà mai avere caratteristiche analoghe!? L'uomo è dotato di una ricchezza inestimabile: la musica, e del mezzo per poterla diffondere, la parola cantata, e da sempre è stata valorizzata. Solo questo tempo di crisi di valori, di etica, di affetti può incolparsi del grave stato di crisi artistica e musicale e vocale in particolare. Abbiamo tutti tanto da lavorare per tentare di riportare la nave sulla giusta rotta, non pensiamo che la musica e il canto siano espressioni secondarie rispetto le gravi condizioni economiche e sociali cui stiamo assistendo. Ho molto apprezzato un aneddoto raccontato da Daniel Barenboim: un palestinese lo ringraziava per aver portato la musica a Gaza, spiegando che il cibo, i medicinali, si sarebbero potuti portare anche per degli animali, la musica solo per l'essere umano! Allora ricordiamoci di essere uomini, e coltiviamo la musica e il canto come meritano.

lunedì, marzo 28, 2011

Appoggio sostegno e sostenutezza

Noto una certa perplessità nell'uso di questi termini, al punto che io stesso per qualche tempo ho quasi abolito l'uso del "sostegno", dunque è meglio chiarire. Ho sentito, da parte di un insegnante di un "metodo" che sta andando forte, di cui si occupa anche un (IL) celebre foniatra, che l'appoggio si realizza col diaframma mentre il sostegno lo si realizza con i muscoli del collo! Ovviamente sono rimasto paralizzato dalla meraviglia e dall'orrore! Questa visione non solo mi trova del tutto in contrasto, ma la reputo una dichiarazione di antivocalità.
Per quanto riguarda questa scuola, appoggio e sostegno sono solo due facce della stessa medaglia, per cui come dico che la voce appoggia sul fiato (/diaframma), così posso dire che il fiato (/diaframma) deve sostenere il suono. Se il tetto appoggia sui pilastri, è evidente che i pilastri devono sostenere il tetto, non sta appeso alla volta celeste! La sostenutezza di cui parlano gli antichi si riferisce al petto, cioè quell'erezione del petto che ne impedisce la caduta e la pressione sul fiato/diaframma e che ne limita l'efficacia nel canto, ovverosia quando realizzata correttamente permette quel passaggio alla postura costale e quindi galleggiante che sono le fasi artistiche più avanzate del canto.

lunedì, febbraio 21, 2011

Il sostegno

Torno su questo argomento perché realizzo che può dar luogo a equivoci.
Il suo uso può essere di tipo musicale "sostenere una frase", che significa di non farne scemare la tensione o l'intensità drammatica. Possiamo dire, a livello educativo, che non deve venir meno il legato all'interno della perfetta pronuncia. Sostenere il suono invece può già dar adito a errori anche seri, infatti molti lo traducono in "spinta". In effetti si può dire che non ci sia bisogno di sostenere attivamente un suono, giacché il nostro fisico è perfettamente in grado di farlo, almeno per diversi secondi, finché non si va a incidere sull'aria di riserva. E proprio qui sta il nocciolo della questione. Occorrerebbe cantare sull'aria "in eccesso", dove la qualifica non intende aria eccessiva o esagerata, ma propriamente quell'aria di scambio che eccede la riserva. Ora bisogna fare una piccola osservazione. Come mai l'uomo conserva una rilevante quantità d'aria nei polmoni, che non viene emessa, anche dietro considerevole sforzo? Il motivo, che già ho esposto in diversi post, è legata all'erezione del petto. Il torace, in quanto esterno alla colonna vertebrale, porta a un potenziale ripiegamento del busto in avanti, cioè a una "caduta" in avanti. Per evitare questo, una parte del peso viene scaricata sui polmoni, quindi sul fiato, e quindi sul diaframma. In parole povere, il nostro fiato è quasi sempre, più o meno, compresso dal peso del petto (ovviamente nelle donne il fenomeno è più rilevante). Una quantità di fiato sempre presente nei polmoni ha, pertanto, lo scopo di evitare o contenere che la parte alta del busto si pieghi in avanti con possibili conseguenze posturali (che sono, nonostante ciò, presenti, e che rappresentano una problematica sociale molto diffusa). Il consiglio di stare ben diritti, presente un po' in tutte le scuole di canto, ma alcune in particolari, è, comunque motivato, sempre giusto e da osservare. Però noi adesso andiamo oltre. Per il sostegno del petto, si utilizza tutta una serie di muscoli presenti nella fascia lombare o poco sopra; se l'istinto è molto attivo, come può esserlo facilmente in chi inizia a cantare, la pressione muscolare sull'intestino può riversarsi sotto il diaframma e procurare un ulteriore motivazione al suo sollevamento. Ecco dunque che nei primi mesi di studio è sconsigliato adottare una respirazione di tipo "costale". Quando, a giudizio del maestro, la fase iniziale è terminata e le reazioni istintive sono più contenute, si può passare all'integrazione respiratoria costale, cioè con leggera tensione della parete addominale superiore e quindi con miglior erezione del busto. Questo è già in grado di far funzionare meglio il diaframma, in quanto buona parte del peso del petto potrà correttamente confluire sulla colonna vertebrale. Con l'andare del tempo si potrà ulteriormente perfezionare questa postura, con un sostegno sempre attivo del petto da parte anche della muscolatura sottoascellare e dorsale. Attenzione! Questo procedimento, fatto impropriamente o nei tempi sbagliati, porta fatalmente a un aumento, anche considerevole, della compressione sottoglottica, dunque sbagliato e nocivo alla vocalità! La respirazione, in questa posizione, deve risultare assolutamente libera e profonda. Quando il petto, terminata l'aria d'eccesso, tende a ricadere, forma come un cuneo di aria compressa che punta verso la cosiddetta "fontanella dello stomaco", all'incrocio della costole o plesso solare. Questo cuneo va contrastato facendo lentamente rientrare la fontanella dello stomaco. Ciò che deve essere chiaro, in questa fase, è che ciò che si sostiene NON E' il suono, ma la gabbia toracica, cioè l'involucro strutturale che contiene il fiato, e la nostra azione non deve agire su quest'ultimo, in nessun modo! Se questo procedimento prosegue correttamente, si potrà allora aspirare al traguardo della respirazione galleggiante, di cui abbiamo parlato alcune settimane fa, però ho fatto questo intervento proprio per precisare che le due cose, pur essendo correlate, non sono la stessa cosa. Se il petto viene sostenuto e non cade MAI durante la frase musicale, noi ci accorgeremo che il consumo d'aria cala sensbilmente, che il suono risulta più facile e sonoro e che la fatica, al di là del sostegno stesso, diminuisce considerevolmente. Certo, bisogna anche essere pronti ad accettare che il suono sul fiato risulti leggero e scorrevole, che contrasta un po' con l'idea comune che i suoni lirici dovrebbero coinvolgere il corpo in senso molto attivo; in effetti c'è un modo di dire, secondo cui si canta con tutto il corpo, che viene inteso come una vibrazione di tutte le parti, il che è pesantemente sbagliato, anzi quasi l'opposto, perché ciò che deve vibrare considerevolmente, alla fine, è solo l'aria esterna.

domenica, dicembre 05, 2010

Coniugare sopra e sotto

In un tempo piuttosto lontano, usavo dire alle persone che si interessavano di canto e che parlavano ostinatamente o della maschera o dell'appoggio, che il fiato è come la classica coperta, che "se la tiri di sopra ti scopre i piedi, se la tiri di sotto ti scopre la testa". Quando in una scuola si insiste molto nel "tirar su", c'è il forte rischio che la voce si spoggi, o, nel caso contrario, che i centri si "gonfino" eccessivamente, con alte probabilità di ingolamento, di "mangiarsi" gli acuti ecc.
Nel corso dello studio può capitare che per togliere un certo difetto o per migliorare un determinato aspetto vocale, si ometta di insistere costantemente su uno dei due punti di appoggio, anche perché dobbiamo considerare che un appoggio completo ha un costo elevato in termini di impegno fisico e/o di esborso di fiato, quindi se occasionalmente, appunto per circoscrivere un certo argomento o problema, anche l'appoggio non è completo, non è grave, rimarcando però che parliamo di un fatto occasionale.
Ma parliamo di come mantenere "coniugato" l'appoggio diaframmatico con quello palatale. Se emettiamo correttamente una "U", noi di regola abbiamo un appoggio diaframmatico piuttosto consistente, e mantenendo con forza questa vocale con le labbra, dovremmo avere anche un buon appoggio superiore. Ora, se da una U passiamo a un'altra vocale, specie se chiara, ad es. una "I", la prima cosa che capita è di "tirar su" il fiato, ovvero il diaframma. Questo è dovuto anche al fatto che nella I, come nella E, soprattutto quella stretta, la lingua sale e si ha la tendenza a seguire lo stesso movimento. Ora, non è che la lingua non debba sollevarsi, ma bisogna considerare che la pronuncia della vocale non è in zona faringea, ma oltre le labbra. Il che significa che il passaggio dalla U alla I non deve avvenire in bocca, o posteriormente, ma oltre le labbra. Si noterà che la risonanza della U occupa l'intera cavità orale. Un falso istinto induce il cantante a voler mantenere questo "corpo" vocale, e così facendo si produrrà lo schiacciamento della vocale, con prevedibile pessimo effetto. Invece occorre lasciare che il corpo della U svanisca, e la pronuncia della I si possa esplicare sulla "punta" del fiato, oltre le labbra. Non si deve aver paura di perdere sonorità o timbro, anzi, la pronuncia deve essere sempre perfetta, però non è facile, psicologicamente, accettare di ridurre la portata del suono, ma questa è la strada al canto sul fiato, che, dovendo abbandonare la fibra, vale a dire muscoli, fisico, ci mette in ansia e reagisce mettendoci paura e facendoci frenare, bloccare, trattenere il fiato e creando pericolose apnee.

sabato, novembre 06, 2010

Il tubo spezzato

In passati post ho paragonato il percorso del fiato vocale a quello di un tubo per innaffiare. Nell'esaminare l'affinità tra le due situazioni, facevo notare che se noi modifichiamo il "calibro" del foro d'uscita dell'acqua, per esempio con un dito, noi andiamo anche a modificare indirettamente la pressione interna e quindi anche il risultato esterno, perché se il foro d'uscita viene ristretto, la pressione aumenta e l'acqua fluirà più lontano, mentre se allarghiamo il foro, la pressione diminuisce e l'acqua cadrà più vicino. Quindi, se noi teniamo le labbra più strette ne conseguirà un aumento di pressione, più appoggio e una più ampia proiezione del suono nell'ambiente; se le labbra vengono abbandonate, la pressione diminuirà e il suono non riempirà la sala ove ci si esibisce. Questo paragone è utile anche per spiegare un altro fenomeno (difetto) molto diffuso, al punto di sembrare quasi la normalità, anzi un pregio: il suono "stretto". Ascolto spessissimo soprattutto tenori che al momento del passaggio STRINGONO il suono. Questo trucchetto consente di ottenere un suono più squillante, ma anche ingolato, quindi aspro, meno realmente appoggiato, ma che a molte persone piace. Questo fenomeno come si può spiegare? Ricorrendo sempre all'esempio del tubo, potremmo paragonarlo a una piega nel tubo. Se io piego quasi a 90° il tubo in un punto qualsiasi, otterrò nuovamente un aumento di pressione nella parte di tubo posteriore alla piega, però nella zona anteriore l'acqua subirà un'accelerazione e quindi l'effetto è simile a quello precedente. Ovviamente le differenze ci sono: nel primo caso io avrò una pressione costante in tutto il tubo, tutta l'acqua portata del tubo viene emessa con maggiore pressione; nel secondo caso la pressione riguarderà solo l'acqua nella porzione di tubo che va dal rubinetto al punto della piega (quindi dal diaframma al faringe, che è il punto della "piega"). Il tubo piegato comporterà, a fronte di un aumento della pressione, una diminuzione della quantità di acqua sotto pressione; nella voce comporterà in primo luogo una deformazione della pronuncia della vocale che si vuole dire, in secondo luogo una diminuzione della quantità di fiato-voce emessa, che avrà sì pressione, ma apparirà più striminzito, avrà minore portata, ampiezza, e non sarà omogeneo con il resto della gamma.
Nelle donne questo fenomeno è più presente, invece, nelle note basse. Siccome molti insegnanti sostengono, ahiloro, che il petto non fa bene, e soprattutto i soprani non dovrebbero usarlo, quando si trovano delle note centrali, sotto il re3, per non passare di petto, sono costrette a "stringere", per poter continuare a mantenere pressione e un po' di timbro (di gola, peraltro) e sonorità. Ovviamente sono suoni orribili!!

mercoledì, dicembre 30, 2009

Le labbra, briglie e timone

L'importanza delle labbra non sarà mai abbastanza capita ed esercitata. Chi capisce che le labbra, specie nella O sono le briglie e il timone della voce, ovverosia lo strumento di controllo del diaframma (non so se si comprende la portata di ciò che ho appena scritto: STRUMENTO DI CONTROLLO DEL DIAFRAMMA!!!), accelererà moltissimo il tempo di educazione della voce. Tenere il controllo delle labbra significa portare avanti la tensione (togliendola soprattutto dalla gola e da tutte le parti interne - figuriamoci cosa potranno pensare quelli che invece fanno di continuo esercitare pressioni sulla laringe, sul velopendolo, ecc.!), significa tenere sotto controllo la pressione dell'aria, che poi è quella grazie alla quale il diaframma si alza e si abbassa, impostare correttamente la dizione e ancor più l'attacco dei suoni, che vengono pressoché sempre iniziati nel faringe o nelle adiacenze. Se anche nel passaggio da una vocale all'altra si mantenesse sempre forte il controllo, ovvero la tensione, sulle labbra, il fiato continuerebbe a scorrere e non vi sarebbe il continuo pericolo che subentri la fibra a sostenere il suono; il fiato sarebbe l'unico artefice dell'emissione.

lunedì, dicembre 21, 2009

L'appoggio davanti

Una delle sensazioni più incredibili della disciplina artistica della voce, è quella che l'appoggio si avverte nel suono esterno, nella perfetta pronuncia. Credo che tutti pensino e avvertano l'appoggio come qualcosa rivolto verso il basso, come un peso che grava sul diaframma. Eppure non è così. L'energia insita nel fiato si proietta verso l'esterno dove potrà trovare libertà, sfogo, ma senza la spinta posteriore. Spingere e lasciar scorrere sono due questioni estremamente diverse e inconciliabili. Quando il fiato sonoro può esplicitarsi fuori di noi, trova sonorità, ricchezza, espansione, ampiezza. Quindi stiamo sempre attenti quando ci parlano di "appoggiare" il suono, ricordiamoci che esso si originerà all'esterno della bocca, e si amplierà verticalmente davanti ad essa.

lunedì, agosto 06, 2007

L'appoggio del suono

In altro post approfondiremo meglio il termine "sostegno", in quanto su di esso circolano le interpretazioni più improbabili. Nella realtà delle cose si presentano almeno 3 situazioni: 1) appoggio sul "fisico"; 2) appoggio sul fiato; 3) appoggio misto fiato-fisico. Devo subito spiegare cosa intendo con "fisico". Mi riferisco NON al diaframma o ai muscoli respiratori toracici, bensì alla zona glottica. Faccio subito un'affermazione forte e probabilmente antipatica, dicendo che la situazione 2, cioè appoggio unicamente sul fiato, è una condizione rarissima, oggi al limite dell'inesistente. L'ascolto discografico o teatrale mi riporta un solo nome di cantante che riuscì durante tutta la carriera, esclusi pochissimi momenti, a cantare perennemente sul fiato, e cioè Tito Schipa. E' vero che fu in questo aiutato dalla sorte, non avendo una voce particolarmente voluminosa e "pesante", però ciò non significa granché, visto che miriade di cantanti altrettanto "leggeri" non sono riusciti neanche ad avvicinarsi a questo sommo cantante, e parlo anche di tenori che tentarono di imitarlo, come Cesare Valletti e Ferruccio Tagliavini. Altri cantanti che giunsero a risultati di grandissimo rilievo, con momenti in cui raggiunsero risultati eccellenti, rispetto all'argomento che sto trattanto, furono Alfredo Kraus, Ezio Pinza, Beniamino Gigli, Italo Tajo, Mario Petri, Maria Callas, Dietrich Fischer Dieskau, Franco Corelli, Giuseppe De Luca, Mariano Stabile e altri ancora. La stragrande maggioranza dei cantanti si ritrova nella situazione 3, cioè con un misto di appoggio sul fiato e una percentuale variabile di appoggio sul fisico. Naturalmente più l'appoggio è fisico più il suono diventa difficile da "manovrare", poco flessibile, molto "materiale" e quindi alla lunga monotono, meno espandibile nello spazio circostante; un suono che in una parola possiamo definire "duro". Naturalmente la cosa si spiega: pensate se doveste sollevare un oggetto con la forza dell'aria: ci vorrebbe un getto molto potente e costante affinché il risultato fosse proponibile. Il suono vocale, specie nel canto lirico, ha un "peso" che non è per nulla indifferente, quindi far sì che rimanga "sospeso" nel vuoto per un lungo tempo (la frase musicale) sempre con la medesima qualità e con le variabili musicali ad esso relative (altezza, colore, dinamica...), è una impresa non da poco. Un appoggio anche minimo del suono in gola, senza modificare eccessivamente il timbro e la qualità, permette di sostenere un canto impegnativo con molto minor fatica e con un tempo di studio decisamente inferiore, quindi si può comprendere che la maggior parte dei cantanti ricorra, consapevolmente o meno, a questo artificio. Naturalmente ciò che non è accettabile è il suono prettamente fisico, cioè ingolato o "attaccato", come diciamo nella mia scuola. La differenza tra un suono appoggiato sul fiato e uno anche minimamente ingolato, è equiparabile a "spirito" o "energia" e "materia".
Tutto ciò che c'è da fare è rendere il fiato ogni giorno più "forte", più abile ad alimentare suoni sempre più acuti, sempre più potenti. Oppure scegliere la scorciatoia. La quotidianità si fa con la tecnica, quindi con suoni buoni, messi "meglio possibile"; la Storia si fa con l'Arte, con suoni perfetti, sostenuti in modo infallibile dal fiato/diaframma.